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Lettere »

Paolo FARINELLA – Noi, 41 preti, inquisiti dalla Congregazione della Fede. Incontro col cardinale Bagnasco

03-09-2009

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Il giorno 7 agosto 2009 ho avuto un incontro di quasi tre ore con il cardinale Angelo Bagnasco, vescovo della mia diocesi e presidente della Cei; sul colloquio il cardinale mi ha chiesto riservatezza che ho rispettato fino ad oggi. Ora apprendo dalla stampa (Adista/Notizie  n. 86 del 5 settembre 2009) che parte dell’oggetto del colloquio è stata resa pubblica. Ciò mi esonera «ipso facto» dalla riservatezza promessa e mi impone di chiarire per amore di verità e libertà.
Il colloquio, avvenuto nell’appartamento privato del cardinale nella Curia di Genova, è stato tranquillo, affettuoso, disinvolto e libero. Il cardinale mi ha informato di una comunicazione della congregazione della dottrina della fede che lo invitava a verificare la mia ortodossia in quanto firmatario, insieme ad altri quaranta preti, dell’appello pubblicato su «MicroMega on line» del 23 marzo 2009, in margine alla strumentalizzazione politico-religiosa della vicenda di Eluana Englaro. Informandomi del procedimento d’inchiesta, il cardinale non mi ha fatto leggere la lettera, ma si è limitato a sintetizzarla e mi ha fatto vedere la fotocopia dell’appello allegato. Mi fece vedere, anch’essa allegata come testo a supporto, le «Risposte a quesiti della conferenza episcopale statunitense circa l’alimentazione e l’idratazione artificiali» della stessa congregazione della fede in data 1 agosto 2007.
Io eccepii sulle modalità dell’ex Sant’Uffizio che quanto meno avrebbe dovuto informarmi direttamente, in quanto inquisito, mentre ha scritto direttamente al vescovo; dissi che la congregazione non ha perso il vizio di espungere una parola o una frase dal suo contesto per imbastire un processo. Aggiunsi che è un metodo inaccettabile non solo in uno Stato di diritto, ma, a maggior ragione, dentro la Chiesa che dovrebbe essere il «Santo dei Santi» della coscienza e della trasparenza.
Il cardinale mi ha tranquillizzato e mi ha chiesto se avessi già una pubblicazione o se avevo intenzione di fare una dichiarazione pubblica per permettergli di dare una risposta e chiudere il caso. Ho risposto che il mio pensiero era coerente con la teologia, anche se non allineato con le opinioni correnti di qualche prelato ardente di eccessivo zelo. Per questo motivo l’ho rimandato al mio articolo «Il diritto di vivere il dovere di morire», pubblicato sempre su MicroMega 1/2007.
Il 16 luglio 2009 a Genova, nell’ambito della «Settimana dei Diritti», organizzato dal Comune di Genova – Promozione della Città, avevo partecipato ad un dibattito pubblico insieme a Peppino Englaro sul tema «Bioetica e Diritti» e avevo detto le stesse cose che da anni scrivo e dico. A riguardo, qualcuno ha riferito in curia che io avevo parlato – nientemeno! – a favore del suicidio. Il cardinale me lo disse come comunicazione, ma senza angoscia e con l’aria di chi ritiene l’affermazione totalmente incredibile. Ci lasciammo con la mia promessa che gli avrei mandato i testi «magisteriali» su cui avevo basato la mia adesione all’appello di «MicroMega» e il mio intervento nel pubblico dibattito di Genova.

Di seguito, per fugare ogni sospetto, pubblico la lettera che ho inviato al cardinale Bagnasco, il giorno 13 agosto 2009, subito dopo il nostro colloquio. 

Genova 13. 08.2009
Signor Cardinale,
in merito al nostro lungo colloquio di oggi pomeriggio che ci ha impegnati su diversi fronti, vorrei puntualizzare, come anche da lei richiesto, su un punto particolare: il rilievo della Congregazione della fede su una mia presunta eterodossia sul tema della vita e della morte. Il testo incriminato è un appello pubblicato dalla rivista «MicroMega», edizione on line, del 23 marzo 2009, firmato da me e da altri quaranta preti. Se non ho capito male la lettura da lei fatta per sintesi, la lettera della Congregazione della fede parla di affermazioni mie non consone con la dottrina ufficiale della Chiesa. Mi permetto di affermare e di osservare.
Affermo la mia piena adesione alla Chiesa in tutto ciò che è definitivamente definito sul piano dottrinale e morale. Mi avvalgo del mio diritto di riflessione teologica in tutto ciò che non è definitivo e come tale sancito. Riconosco, e non ho mai messo in discussione, l’autorità che, nella Chiesa, esercitano il Papa, i vescovi uniti con lui, attraverso il magistero straordinario e ordinario. Solo uno sprovveduto potrebbe non riconoscerla. Ciò non toglie che mi avvalgo ancora del diritto di valutare in forza del principio della «gerarchia delle verità» come descritto dal concilio ecumenico Vaticano II: «Nel mettere a confronto le dottrine si ricordino che esiste un ordine o “gerarchia” nelle verità della dottrina cattolica, in ragione del loro rapporto differente col fondamento della fede cristiana» Unitatis Redintegratio, 11/536).
Con la stessa consapevolezza con cui riconosco l’autorità della Chiesa e nella Chiesa, affermo anche il primato della coscienza formata e informata in un difficile, ma non impossibile equilibrio dialettico, teso sempre alla ricerca della Verità suprema che è Gesù Cristo (cf Gv 14,6). Non mi nascondo che oggi è invalso l’uso nel mondo ecclesiastico e nei mass-media, l’identificazione tra «Chiesa» e «Gerarchia», che impoverisce il contenuto della prima e amplia oltre misura e teologicamente in modo errato, quello della seconda. La Gerarchia è «nella Chiesa», di cui è una componente importante, ma non unica.
Ciò precisato, osservo e prendo atto che la lettera della Congregazione della Fede è stata spedita a lei, mentre avrebbe dovuto esserne spedita copia anche a me, se non altro per presa visione: è la norma giuridica universalmente riconosciuta dal diritto che chiunque è accusato di qualcosa o riceve un qualche rilievo debba essere informato direttamente. In sede giudiziaria questo «vizio di forma» sospenderebbe il processo.
Prendo atto che l’appello pubblicato su «MicroMega» è stato letto, come spesso accade, fuori dal contesto che lo ha generato, emotivamente forte e teso, come la lenta agonia di Eluana Englaro nei  cui confronti furono elevate accuse atroci, anche da eminenti rappresentanti della Chiesa che pubblicamente hanno accusato il padre di «omicidio» (card. Barracán) senza alcuna sensibilità cristiana e provocando una reazione a catena, in cui tutto è diventato complesso. A distanza di cinque mesi, quell’appello letto in un altro contesto, ha un sapore diverso. Quell’appello ha avuto il merito di fermare una protesta all’interno della Chiesa che poteva essere ancora più devastante. So per conoscenza diretta che gli estensori di quell’appello, riservato ai preti, si sono ispirati in forma prudenziale ai seguenti documenti:
–        Christliche Patientnverfügung- Disposizioni sanitarie del paziente cristiano [testo comune di cattolici e protestanti contenente disposizioni sul fine vita, firmato nel 1999 (e rivisto nel 2003), a firma del Presidente della Conferenza Episcopale tedesca cardinale K. Lehmann e del Presidente del Consiglio delle Chiese evangeliche tedesche M. Kock], che allego parzialmente.
–        «Lettre pontificale au Congrès de la FIAMC», a firma del segretario di Stato, card. Jean-Marie Villot,  in L’Osservatore Romano (12-13 ottobre 1970) con il titolo: «Lettre pontificale au Congrès de la FIAMC», riportata parzialmente qualche giorno dopo da “La Civiltà Cattolica” che la presentò come «lettera che il cardinale segretario di stato, a nome del Santo Padre [Paolo VI, ndr] ha inviato il 3 ottobre 1970 al segretario generale della FIAMC», e in questo stesso modo ripresa in un documento del pontificio consiglio “Cor Unum” del 1981.
–        Alcune interviste del cardinale Carlo Maria Martini, della cui ortodossia nessuno in buona fede può dubitare.
Questi documenti, che accludo, fanno parte del magistero ordinario e dicono cose alquanto diverse da quelle che di solito si sentono dire in materia da altri esponenti ufficiali e/o ufficiosi della gerarchia cattolica.  E’ forse segno che in materia può esistere un margine aperto di ricerca, di soluzioni e di convergenze anche con il mondo laico che non fa alcun riferimento all’insegnamento della Chiesa. E’ nella natura della cose che ognuno di noi, in base alla propria coscienza e sensibilità, si appoggi più volentieri ad autori e testi nei quali si sente più pienamente rispecchiato, senza togliere con questo la dovuta attenzione e il rispetto verso altre posizioni.
Nell’appello si legge che «la vita deve essere rispettata sempre e senza condizioni, finché resta vita umana nella coscienza, nella dignità e nella forza di sostenerla». Questa affermazione, a me pare, è la frase importante alla cui luce deve essere letto il resto. Se, però, si usa il metodo vecchio di smembrare un discorso in singole frasi indipendenti, allora salta la logica, l’ortodossia e ogni punto di riferimento. In questo modo mi sarebbe facile dire che la Bibbia non ammette l’esistenza di Dio: «Dio non c’è» afferma il salmista (Sal 53/52,2), solo perché si è espunta la frase precedente che introduce: «Lo stolto pensa: “Dio non c’è”». Quando la congregazione della fede dismetterà i metodi da sant’uffizio di antica memoria, allora potremo forse cominciare un catecumenato alla scoperta del Vangelo.
In conclusione: non mi sento rappresentato nella lettura che mi viene attribuita perché lontana dal mio cuore e dalla intelligenza della mia fede.

 Signor Cardinale,
Le accludo
a)       il testo base dal titolo «Vita, morte, diritti», sulla cui filigrana si è svolto il mio intervento a Palazzo Tursi a Genova in occasione della settimana dei diritti e, nel quale riporto:
1)       Il testo di Paolo VI.
2)       Alcuni interventi del cardinale Carlo Maria Martini.
b)      «Christliche Patientnverfügung – Disposizioni sanitarie del paziente cristiano», testo congiunto tra la Conferenza Episcopale Tedesca e le Chiese Evangeliche Tedesche sul testamento biologico.
c)      Il testo di una mia conferenza del 2007, dal titolo «Il diritto di vivere il dovere di morire» che sintetizza un più ampio articolo pubblicato sulla rivista «MicroMega» (1/2007).
Lei mi conosce bene e sa che i rilievi fatti dalla congregazione della fede sono senza fondamento e fuori dal mio contesto di pensiero e di vita perché sono pronto anche a dare la vita per la Chiesa e per il Papa, ma non per qualche monsignore che spezzetta i discorsi e ne fa uno spezzatino culinario. Se questi testi sono sufficienti come chiarificazione, io chiuderei qui l’incidente che non avrebbe nemmeno dovuto verificarsi, altrimenti sono sempre pronto a dare ragione della Speranza che mi e ci salva (cf 1Pt 3,15). 

Cordialmente, suo

Paolo Farinella, prete

Paolo Farinella, biblista, scrittore e saggista, è parroco nel centro storico di Genova in una parrocchia senza parrocchiani e senza territorio. Dal 1998 al 2003 ha vissuto a Gerusalemme "per risciacquare i panni nel Giordano" e visitare in lungo e in largo la Palestina. Qui ha vissuto per intero la seconda intifada. Ha conseguito due licenze: in Teologia Biblica e in Scienze Bibliche e Archeologia. Biblista di professione con studi specifici nelle lingue bilbiche (ebraico, aramaico, greco), collabora da anni con la rivista "Missioni Consolata" di Torino (65.000 copie mensili) su cui tiene un'apprezzata rubrica mensile di Scrittura. Con Gabrielli editori ha già pubblicato: "Crocifisso tra potere e grazia" (2006), "Ritorno all'antica messa" (2007), "Bibbia. Parole, segreti, misteri" (2008).
 

Commenti

  1. angela nicolini

    Caro don Paolo Farinella, leggo soltanto ora il suo articolo. Grazie per le coraggiose denunce che lei fa sul mal operato del Governo. Continui così! Mi spiace per le amarezze che le tocca subire. Abbiamo bisogno di persone come Lei. Purtroppo gli Italiani non si rendono conto dei rischi che corrono la nostra libertà e democrazia, dall’operato di questo governo che cerca in tutti i modi di ledere le nostre libertà, allo scopo di impedire che abbiano luogo i processi a Berlusconi e per permettere che le varie “cricche” continuino a fare i loro affari sporchi con i nostri soldi!

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