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Pietro ANCONA – 25 aprile: ricominciamo la Resistenza dall’articolo 1 della Costituzione

21-04-2011

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L’anno scorso il Capo della destra italiana partecipava per la prima volta alla celebrazione del 25 Aprile che aveva da sempre disertato negli anni precedenti anche da Presidente del Consiglio. Ha detto: “bisogna pacificare e riunire l’Italia in una memoria condivisa degli avvenimenti che diedero vita alla Resistenza e poi alla Repubblica. Partigiani e “ragazzi della Repubblica di Salò” accomunati dallo stesso afflato patriottico”. Una posizione non condivisibile perché lesiva dei valori della Resistenza che non sono equipollenti ai disvalori della repubblichetta nera satellite del nazismo ed organizzatrice dei treni di ebrei e soldati italiani spediti nei lager tedeschi.

Questa posizione è stata purtroppo condivisa e rilanciata qualche tempo prima dal comunista Luciano Violante e per giunta nella sua veste di Presidente della Camera dei Deputati. L’antifascismo italiano non può stringere la mano al fascismo come quello francese rappresentato dal generale De Gaulle non poteva e non ha stretto la mano alla Francia petainista. Non ho compreso perché mai Violante abbia fatto una simile scandalosa proposta tranne che in un disegno di recupero della destra in un incontro per il governo dell’Italia e delle sue istituzioni. I comunisti non sono nuovi a queste forme gelide e ciniche di “real politick”.

Non dimentichiamo l’art. 7 della Costituzione voluto da Togliatti con la opposizione di Pietro Nenni e dell’ala laica della Costituente. Gli effetti del riconoscimento del concordato firmato da Mussolini sono stati profondamente deleteri per l’integrità del Paese per cui l’Italia è ancora oggi un paese concordatario come dice il professor.Sergio Romano e cioè a sovranità limitata e con la enclave del Vaticano che è una vera e propria ferita nel cuore della Nazione. Sarebbero assai peggiori gli effetti di un pacificazione con i fascisti.

Non solo non è possibile nessuna memoria condivisa con il fascismo ma è bene tenere lta la tensione contro il totalitarismo che esso ha rappresentato nella storia d’Italia. Il fascismo ripudiato non solo perché responsabile della guerra che ha generato lutti terribili all’Italia ma perché fondato su una unità in una sola persona dei  tre poteri che debbono sempre essere distaccati: legislativo, esecutivo e giudiziario e che oggi la destra italiana vorrebbe appunto realizzare con le proposte di riforma della magistratura e con lo svuotamento di ruolo del Parlamento [già avvenuto malgrado la commediola della riforma dell’articolo 1, ndr).

Bisogna però dire che se 25 aprile vuol dire Costituzione oggi sotto diretto attacco del Governo, questa è stata oscurata da quella che si chiama “Costituzione materiale” specialmente in aspetti fondamentali della vita comune : il lavoro non è più un diritto e la peste dei contratti atipici, la legge Biagi, il collegato lavoro, hanno chiuso le sue porte  ai lavoratori. La scuola è sottoposta a torsioni spaventose. Proprio in questi giorni viene diffamata dal Presidente del Consiglio con l’attacco ai professori “comunisti” ed ai libri di testo; la pace viene disattesa con una presenza paracolonialista dell’Italia all’estero per missioni di guerra esaltata da Napolitano; il welfare viene intaccato giorno dopo giorno e il Vaticano riesce a bloccare fondamentali riforme necessarie alla eguaglianza dei diritti.

Non si può essere per la Costituzione e nello stesso tempo per la legge Biagi. Lo stesso dicasi per tante altre questioni che purtroppo spesso trovano una risposta “unitaria” del Parlamento. Ecco perché mi auguro che i precari, gli insegnanti, gli operai, le donne e quanti altri non si riconoscono nelle politiche di questo Governo e del Parlamento partecipino al corteo per ribadire la centralità del Lavoro sottolineata dall’art.1 della Costituzione.

Articolo che, non a caso, la destra vorrebbe abolire. Per salvare il retaggio della Resistenza non basta bloccare lo smottamento a destra del governo e della sua maggioranza: bisogna ridare identità e spessore ideologico e politico alla sinistra che oggi, traviata dal liberismo, condivide con la destra la esclusione dei ceti popolari dai diritti che la Costituzione garantisce a cominciare dal lavoro. Insomma la sinistra deve tornare ad essere se stessa.

Pietro AnconaGià membro dell'Esecutivo della CGIL e del CNEL, Pietro Ancona, sindacalista, ha partecipato alle lotte per il diritto ad assistenza a pensione di vecchi contadini senza risorse, in quanto vittime del caporalato e del lavoro nero. Segretario della CGIL di Agrigento, fu chiamato da Pio La Torre alla segreteria siciliana. Ha collaborato con Fernando Santi, ultimo grande sindacalista socialista. Restituì la tessera del PSI appena Craxi ne divenne segretario.
 

Commenti

  1. Mauro Matteucci

    Ilm problema drammatico per la sinistra è che non ha più un’anima, non parla più ai cuori, persa dietro le tattiche dei piccoli strateghi dalema e veltroni. Soprattutto non dice parole originali sulla pace, sulla guerra, sull’immigrazione, sul progresso, sull’ecologia. Basterebbe applicasse la bellissima e semplice frase di Vittorio Arrigoni: restiamo umani.

  2. roberto tutino

    Mi sembra uno scritto lungimirante, come un clavicembalista in un’orchestra rock. L’onesto Pietro Ancona, che nel ’76 -35 anni fa! – restituì la tessera Psi, stigmatizza la Chiesa e poi spiega la Costituzione come fosse un dogma. E la Resistenza come una religione.
    Molti decenni sono passati il mondo ha svoltato il secolo, tutto è cambiato.
    Please, sgomberare la scena.

  3. Giuliano Bugani

    Grande Pietro Ancona. Non fare caso agli imbecilli. Andiamo avanti. Resistiamo. Siamo in tanti.

  4. Franco Santangelo

    LA DEMOCRAZIA DEI NOSTRI COSTITUENTI NON HA PARADOSSI

    di Franco Santangelo

    Sto vivendo un momento particolare, non certo felice, per il fatto di sentirmi un privilegiato, io che questo privilegio l’ho sempre rifiutato, perché, momentaneamente, non seguo uno schieramento politico ben preciso, quale punto di riferimento delle mie idee o opinioni, ora che le strade della democrazia e della libertà, per i deboli, iniziano da Lampedusa, attraversano l’Italia per giungere in Europa, terra promessa dei disperati, che hanno capito tardi, che l’Europa non può comprendere la disperazione degli altri.

    L’Italia ha celebrato i 150 anni della sua nascita, attirando su di se il coacervo di tante speranze, come quelle che nascono dove c’è miseria e poca libertà, ma attira anche l’interesse dei cultori della democrazia che oggi giungono da paesi lontani, come l’Australia, per capire come un paese democratico risolve i propri conflitti senza ricorrere alla violenza.

    Per la prima volta appare “la piazza”, quale luogo istituzionale di trasparenza e di dialogo, allo stesso modo dell’Agorà dei Greci, per sancire il passaggio dalla democrazia rappresentativa a quella partecipativa? Questo passaggio sarebbe certamente di rilevanza positiva se non fosse contaminato dall’azione di diversi gruppi di pressione, i quali si muovono soltanto quando vi sono interessi propri da salvaguardare e non quelli reali della collettività. Essi agiscono attraverso la mistificazione del linguaggio e la manipolazione del significato, in quanto il comunicatore invia il messaggio, cosciente dell’interpretazione semantica che il popolo gli attribuisce, mentre egli esplicitamente dà un significato esattamente opposto. Quindi si giunge a quel paradosso, che in politica oggi trova spazio, non so se transitoriamente, il quale vede dentro una democrazia la convivenza della dittatura e, viceversa, nella dittatura quella della democrazia.

    La nostra democrazia è una democrazia indiretta in quanto il popolo la esercita tramite il parlamento e, pur essendoci diverse forme di democrazia, il fondamento per tutte sta nel fatto che essa è l’organizzazione di uno Stato che regola i rapporti fra governanti e governati, su principi di libertà. “La libertà è inscindibile dalla democrazia”, questo il proclama dei costituenti, come Calamandrei, Lombardi, De Gasperi, Sturzo, Nenni, Pertini, ecc. La democrazia dei nostri Costituenti non ha paradossi!

    Il Paese Italia nacque con il governo del singolo ( Vittorio Emanuele II, 1861) che, nell’arco di oltre ottant’anni, portò a dispotismi, autoritarismi e conseguente dittatura; solo nel 1948 (nascita della Repubblica Costituzionale) fu soppiantato il governo del singolo con quello dei molti.

    Il pensiero dei costituenti di tutte le estrazioni politiche era pervaso dai concetti di libertà, uguaglianza e fratellanza, venuti fuori prepotentemente da quei concetti leader della lontana rivoluzione francese, ma una nuova democrazia non poteva non porsi anche il problema della separazione dei poteri dello Stato (legislativo, esecutivo e giudiziario), quello del diritto al voto attraverso il suffragio universale e quello della separazione delle funzioni fra Stato e Chiesa, cioè l’indipendenza dello Stato da tutte le religioni.

    Quando si operò la separazione dei poteri dello Stato i Costituenti hanno usato il “bilancino” specialmente con il potere legislativo e giudiziario, basti pensare che l’autonomia e l’indipendenza della magistratura venne bilanciata con l’immunità dei rappresentanti del popolo.
    Tutto ciò è stato ponderato dai Costituenti e non è da attribuire ad un regalo dovuto al caso, proprio perché lo squilibrio di tali poteri avrebbe incrinato la democraticità dello Stato medesimo.

    Quando il 28 ottobre 1993 il parlamento e il senato italiano approvarono, quasi all’unanimità, l’abolizione dell’improcedibilità nei confronti dei rappresentanti del popolo, sull’onda dei fatti di “mani pulite”, modificarono così l’art. 68 della nostra Costituzione. Da quel momento i magistrati costituzionalmente potevano procedere nei confronti di un qualsiasi parlamentare senza bisogno di inoltrare alcuna richiesta di autorizzazione ai rami del parlamento di appartenenza.

    E’ da quel giorno che iniziò lo scollamento fra i poteri dello Stato, non perché la camera e il senato votarono la legge sulla procedibilità nei confronti di deputati e senatori, ma perché non si è posto in modo immediato l’equilibrio fra i poteri dello stato, cioè fra potere legislativo e potere giudiziario, creando una legge non paritaria e lasciando un vuoto politico.
    Se da un lato i rappresentanti del popolo venivano messi di fronte alle loro responsabilità la stessa cosa non avveniva per il potere giudiziario, che si avvale ancora dell’immunità prevista costituzionalmente, che gli permette così di coprire il vuoto di disparità istituzionale, che sancisce lo sbilanciamento fra potere legislativo e giudiziario.

    Credo che chiunque si sia accorto che il pericolo nascente stia nel fatto che il parlamento anziché essere una scelta della volontà popolare sia diventato, nel tempo, una scelta della volontà dell’azione della magistratura o quantomeno condizionata da essa, tant’è che la classe politica, per preservarsi da questo pericolo, ha abolito le preferenze nell’esercizio del voto, riducendo i poteri di scelta popolare e chiudendosi a riccio, quasi in posizione di difesa.

    Appare evidente la necessità e l’urgenza di correggere l’errore, perché le regole che gestiscono i poteri dello Stato hanno due misure differenti, una delle quali è più favorevole ai magistrati, in quanto restano immuni anche quando sbagliano sentenze; dunque, la necessità di correggere nasce per raddrizzare un profilo comportamentale aberrante e correggere un trattamento non paritario fra i poteri dello Stato.

    Partendo da questo presupposto è necessario che i politici, sia di destra sia di sinistra, anziché pronunciare proclami di facile presa, è bene che si occupino di politica e del bene del paese per azzerare questa conflittualità che ormai da troppo tempo preoccupa il Paese.

    Le zuffe quotidiane fra politici e magistrati non si eliminano riducendo le basi della democrazia a discapito dei diritti dei cittadini o paralizzando il funzionamento delle istituzioni, basti pensare che occupiamo il 29° posto delle democrazie nel mondo, ma siamo stati giudicati con la qualifica di “Democrazia imperfetta”, secondo i parametri adottati da The Economist.

    Concepire democrazie senza libertà e sistemi antidemocratici che vogliono la libertà significa rubare l’anima alle parole e non soltanto alle parole, ma rubare l’anima alle persone.
    Queste le conseguenze createsi, con l’ausilio del finto “vogliamoci bene”, che offendono la storia e gli storici e tolgono dignità al lavoro, alla democrazia e alla libertà .
    Tutto ciò credo che Pietro Ancona lo sappia meglio di ogni altro.

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