La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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L’Africa si alza e impara a perdonare

11-03-2010

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Musulmani, cristiani, gruppi etnici provano a riconciliarsi nel Ciad del petrolio. Speranza da allargare al Niger dei massacri e dell’uranio, ricchezze che sono il lievito del disordine. Ma gli affari dei paesi civili ne hanno bisogno

Moissala (Ciad)  –  La prima parola che si impara in Mbay, lingua che si parla a Moissala, è “lapia”: vuol dire “Pace”. Qui c’è n’è un gran bisogno dopo una storia di guerre civili, conflitti continui, colpi di Stato. Oggi si respira un’aria abbastanza serena non fosse per gli allevatori Mbororo: scendono a sud con il bestiame e devastano i campi dei contadini, cioè tutto quello che hanno. Vecchie storie di ingiustizia che si trascinano.

Ma la voglia è di ripartire e di provare a costruire insieme, tutti i gruppi etnici e tra musulmani e cristiani, l’avvenire di un paese che comincia a rialzarsi.

La povertà è diffusissima, le scuole comunitarie nei villaggi sono un disastro, mancano infrastrutture, ma tutti dicono che è in corso una piccola trasformazione che da tempo non si vedeva. Qualche strada asfaltata, impensabile fino a due anni fa; qualche costruzione di scuole e ospedali in cemento sono i piccoli risultati dei proventi del petrolio che il governo, il quale deve averne ben intascato la maggior parte insieme alle potenze occidentali, cerca ora di dedicare alle emergenze sociali.

Ma il punto più importante è la condizione perché lo sviluppo avvenga: la riconciliazione tra gruppi etnici così diversi anche per le lingue che sono tantissime e difficili da imparare. Per anni si sono affrontati con le armi. I vescovi del Ciad nel messaggio di Natale hanno rilanciato l’esigenza di ricostruire l’avvenire del paese sulle basi della giustizia e del perdono, ricordando la profetica testimonianza di Nelson Mandela per il Sudafrica e per tutto il continente africano. L’11 febbraio abbiamo celebrato i 20 anni della liberazione del primo presidente nero del Sudafrica, dopo 27 anni di carcere per aver lottato contro l’apartheid.

Non si sentono più per il momento attacchi di ribelli o situazioni gravi di disordini; sembra davvero il tempo di rialzarsi. E così facendo il paese può dare testimonianza di pace al vicino Niger che, in piena crisi, vittima da pochi giorni di un colpo di Stato. Non so quanto ne abbiano parlato in Europa, visto che dell’Africa ci si ricorda quando c’è da sfruttare (Il Niger è il terzo produttore mondiale di uranio) o quando c’è da fare elemosine tipo G8. Qui c’è bisogno di giustizia e basta.

È vero che gli africani attraverso i loro leaders hanno gravi responsabilità nei processi di impoverimento, ma è altrettanto vero che i potenti del mondo sono sempre là per spartirsi la torta: tutti dicono che senza la Francia in Ciad non si va da nessuna parte. E noi, qui, nel 2010 dovremmo celebrare, i 50 d’indipendenza? Da chi? Quella Francia che “permise” un’indipendenza di facciata è la stessa che oggi con altri paesi, Usa e Cina, decidono le sorti del petrolio e delle elezioni.

A sud ci stiamo preparando alla Pasqua, al tempo più importante per la vita di un cristiano che cammina alla costruzione del Regno di Dio, cioè un mondo di giustizia, pace e riconciliazione. La Chiesa in Africa si prepara a lavorare per questo, a servizio del Regno di Dio. È quanto hanno affermato i vescovi africani riuniti a Roma in ottobre per il secondo Sinodo sull’Africa. Se nel 1994 al primo Sinodo, quando è scoppiata la terribile guerra in Ruanda (dove i cristiani si sono massacrati tra loro), l’immagine dell’Africa era quella dell’uomo caduto nelle mani dei banditi sulla strada per Gerico (Lc 10,25-37); oggi l’immagine è di un paralitico invitato da Gesù di Nazareth a prendere il proprio destino in mano e a rialzarsi! (Mc 2,1-12).

Nel cammino della Quaresima respiriamo già la resurrezione della Pasqua, anche se la marcia è lunga. Abbiamo comunità di base (CEBs) nei villaggi (più di 90!), comunità decadute e morte: stanno ricominciando a ritrovarsi, persone che avevano lasciato e ritornano, CEBs che nel tempo di raccolta donano il miglio (alimento principale per cucinare la “boule”, la polenta di ogni giorno) per il funzionamento di tutta la comunità cristiana. Insomma, c’è fermento e vitalità dentro alle contraddizioni e sfide che sono immense come l’AIDS, alcool e la prostituzione (rafforzati dalla presenza del petrolio), la corruzione a tutti i livelli, la difficoltà di accedere ai medicinali.

Ma la Pasqua si vive dentro la passione e la morte. Senza passaggio non c’è resurrezione.

Dentro questa realtà che ci sorpassa, più profonda e complicata di quanto io possa capire o riesca a scrivere, cerchiamo di restare, come missionari comboniani, fedeli al popolo che soffre, per rialzarci insieme. O almeno cercare di farlo, visto che la fiamma e la voglia di pace sono ancora molto fragili e basta un niente per spegnerle. La speranza va anche costruita giorno per giorno nelle piccole vicende quotidiane a cominciare dai rapporti con la gente, che ascolta e condivide per ore e ore sotto gli alberi, al riparo dal sole che brucia davvero, prima di arrivare ad una decisione comune.

È dentro questa realtà che mi sento chiamato a “stare” e condividere un tratto di strada insieme. È dentro questa realtà che mi sento al mio posto, la dove Dio oggi mi vuole. Anche e soprattutto fragile, balbettando qualcosa della lingua locale, senza poter fare grandi cose o progetti. Ma più che tante cose forse oggi la Missione ci chiede di rialzarci assieme all’Africa. Forse quando Comboni (ndr – fondatore dell’ordine religioso) sognava di “liberare l’Africa con l’Africa” voleva proprio questo. È un forse, non ho certezze, se non quella di sentirmi amato e inviato dal Padre a restare qui, a rialzare e a lasciarmi rialzare per camminare insieme. Rialziamoci insieme. Buon cammino di Pasqua.

Filippo Ivardi Canapini è un giovane missionario comboniano nella Missione Cattolica di Moissala, Ciad meridionale

MISSIONAIRES COMBONIENS

MISSION CATHOLIQUE MOISSALA

i.filos73@gmail.com

Filippo Ivardi Ganapini è un giovane missionario comboniano. Opera nella missione cattolica di Moissala, Ciad meridionale.

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