La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

Società » Italia »

Fondatore del San Raffaele di Milano, definì l'uomo di Arcore "un regalo della divina Provvidenza per salvare l'Italia". Oggi, da rettore, promette una cattedra alla figlia Barbara. Chi è Don Verzè? Religioso facoltoso, controlla fette importanti della sanità non solo lombarda. Pluriindagato, fu intimo di Craxi. Perché l'ex sindaco-filosofo di Venezia è con lui?

Cacciari difende il suo rettore, prete berlusconiano e amico di famiglia

26-07-2010

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I fatti sono noti. Il giorno 20 luglio, all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano Barbara Berlusconi ha discusso la sua tesi di laurea in filosofia ottenendo la votazione di 110 e lode. Sorrisi e strette di mano da parte della Commissione; urrah festosi e lancio in aria di libri e cappelli da parte degli amici; dichiarazioni commosse del padre della neo-laureata giustamente orgoglioso della figlia sulla cui testa ha tante volte giurato a dimostrazione di quanto gli sia cara. Tutto nella norma dunque, sennonché… sennonché ecco la sbavatura.

Il rettore dell’Università, quel don Luigi Verzé che ha definito Silvio Berlusconi “un uomo mandato dalla divina Provvidenza per salvare il nostro paese”, sente il bisogno di chiedere alla neo-laureata (laurea triennale, si badi bene) se riteneva che potesse nascere una facoltà di Economia del San Raffaele basata sul pensiero dell’autore sul quale verteva la sua tesi (Amartya Sen), e se, in questo caso, se la sentiva di diventare docente di questa Università. Proposta assolutamente scandalosa agli occhi di Roberta De Monticelli, nota docente ordinaria nello stesso Ateneo, che subito reagiva con lettera di fuoco al giornale la Repubblica in cui si dissociava “apertamente e pubblicamente da quella che riteneva una violazione non solo del principio della pari dignità formale degli studenti, non solo della forma e della sostanza di un atto pubblico quale una proclamazione di laurea, non solo della dignità di un corpo docente che il rettore dovrebbe rappresentare, ma anche dei requisiti etici di una istituzione universitaria d’eccellenza quale l’Università San Raffaele giustamente aspira a essere”.

Insomma un bel pasticcio con fior di polemiche cui hanno partecipato in molti e fra questi anche Massimo Cacciari e Michele Di Francesco che, nelle loro vesti rispettive di Prorettore Vicario dell’Università Vita-Salute San Raffaele e di Preside della Facoltà di Filosofia della stessa Università, hanno firmato un documento ufficiale in difesa di don Verzé. .Il documento, bisogna dirlo subito, si rivela altamente specioso per due ragioni sostanziali. Prima di tutto perché evoca un tema che non ha niente a che fare con la polemica innescata dalla lettera della De Monticelli.

Dire, come fanno Di Francesco e Cacciari, che “la signora Barbara Berlusconi si è presentata alla sessione di laurea con una media di 108,37/110 (corrispondente al 29,55/30) e dieci lodi” e che “con un curriculum di questo tipo la sorpresa sarebbe stata se non si fosse laureata a pieni voti e non il contrario” significa andar fuori del seminato o meglio ancora menare il can per l’aia. Nessuno infatti, e tanto meno la De Monticelli, ha messo in dubbio il valore della giovane Berlusconi. Aggiungere poi che “una battuta paterna del Rettore Don Verzé, peraltro ripetuta in passate occasioni nei confronti di altri studenti, possa essere interpretata come la proposta formale nei confronti della signora Barbara Berlusconi di far parte del corpo docente del San Raffaele sfida ogni ragionevolezza e ogni criterio di buon senso” è prova di smaccata ipocrisia.

A chi si vuol far credere che ad ogni neo-laureata “triennale” con 110 e lode venga “paternamente” proposto di far parte del corpo docente? Peggio ancora il finalino del documento. Sostenere infatti che “al San Raffaele, come in ogni università italiana l’accesso alla docenza è regolato dalle leggi dello Stato che governano i concorsi universitari” è dire una verità a tutti arcinota, ma ignorata, nel caso specifico, proprio da colui che, dovendola conoscere meglio di tutti, era tenuto a evitare battute “paterne”, tanto più in presenza dell’Uomo della Provvidenza che non ci mette molto a chiamare la Gelmini.

Concludendo direi, con madame de Maintenon, che “le péché vaut encore mieux que l’hypocrisie” che, tradotto, suonerebbe pressapoco così: il peccato di don Verzé, provocato da evidente interessata piaggeria, è meno grave dell’ipocrisia di chi ha voluto tutto esaltare del “paterno” rettore, etiam peccata.

Gino Spadon vive a Venezia. Ha insegnato Letteratura francese a Ca' Foscari.
 

Commenti

  1. samuele cramer

    L’ho ascoltata un paio di volte la dichiarazione, ventre a terra e mano a conchiglia nell’atto della questua, fatta dal don Verzé di fronte a un Berlusconi gongolante. Una sviolinata impudica, una ruffianeria senza pari. Ora arriverei a ammettere che Cacciari non infierissca su quest’uomo al quale l’età non ha insegnato nulla del “modus” oraziano, ma che venga addirittura a giustificarlo, questo proprio non riesco a capirloo. Oppure lo capisco fin troppo bene e ciò toglie molto di quella simpatia che ho sempre nutrito per questa intellettuale di grande dirittura morale.

  2. giorgio ceccarelli paxton

    Temo che la deriva destrorsa di Cacciari – intellettuale da me molto stimato per i suoi scritti di qualche decennio fa – somigli a quella di Lucio Colletti, intellettuale marxista – con cui mi laureai nel ’69 – autore di interessanti scritti e direttore del settimanale “La Sinistra” ! – che poi diventò senatore in uno dei tanti (purtroppo) governi Berlusconi.

  3. gino spadon

    Caro Caccarelli, sa che il dubbio che lei manifesta è venuto anche a me? Conoscevo Coletti e la sua parabola di intellettuale finito fra le braccia del Grande Imbonitore provocò in me una dolorosa lacerazione. Con Cacciari non siamo ancora a quel punto, ma inutile nasconderselo, ci asono segnali inquietanti. E me ne dispiace profondamente perché anch’io come lei, ho sempre stimato il rigore e l’originalità di questo intellettuale

  4. gino spadon

    Caro Ceccarelli, perdoni l’autocorrettore del computer. Sapesse quanti scherzi di questo genere mi ha giocato. Cordialità

  5. Con tutto il rispetto e la comprensione per un padre trepidante che assiste alla discussione della Tesi di Laurea (triennale per la miseria, triennale!)della propria amata figliola, c’è qualcosa che stento a capire. Mi si perdoni il peccatuccio di autoreferenzialità, ma nella fattispecie è necessario che citi il mio caso. Nel mio corso di studi presso l’Ateneo genovese ho portato una Tesi su Amartya Sen (nell’anno del conferimento del Nobel, e non lo conosceva nessuno neppure in Facoltà!) ad un semplice esame di Economia Politica e non alla Sessione di Laurea (per inciso, quinquennale) alla quale mi presentai con una media prossima al 110 e con 14 “lode”. Orbene, al termine della mia prova, superata, va da sé, con 110 e lode, nessuno mi avanzò proposte di istituire e gestire una Cattedra sulla materia né io m’aspettavo tanto: il bacio accademico (peraltro del tutto informale) bastava e avanzava. Ma il mio prete era Don Gallo, non Don Verzé, preclaro componente d’una camarilla di sicofanti e prosseneti dediti agli affari (propri). Quanto al Prof. Cacciari che tanto ho seguito e ammirato sino al più recente passato, che dire? Tu quoque? Un’improvvisa e improvvida, nonché tardiva (in quanto senile) smania di protagonismo? Un vezzo fatto per stupire? Un empito di malinteso garantismo? Mah! Tout se tient… in questo paese dove le identità sfumano ormai invariabilmente nell’ambiguità e nell’equivoco.

  6. Frido Villari

    E’ stato un vero piacere leggerLa, signor Civitella. Certo, ciò di cui Lei parla è situazione piuttosto nota, ma non c’è cosa migliore che ripetere certe verità e Lei lo fa con garbo non disgiunto da giustificatissima indignazione. Quanto a Cacciari, che vuole… anch’io ho nutrito rispetto per le sue doti di intellettuale, ma adesso è l’uomo che non riesco a capire. Messo da parte (ingiustamente, ne sono convinto) dagli apparati del partito nel quale ha a lungo militato, egli vuole rifarsi (e non solo da oggi) con proposte di contenuto fumoso che sanno molto di ripicca. Se si aggiunge poi, come nel caso in questione, una presa di posizione alla “scodinzolini”, beh, allora si ha la senzazione che abbia imboccato una china che lo porterà a squalificarsi come “maître ò penser” e come uomo di grande rigore morale

  7. La ringrazio molto dott. Villari per il Suo generoso apprezzamento. É oltremodo consolatorio constatare che vi sono ancora sedi dove è possibile un arricchente scambio di pensieri e persone intelligenti (raziocinanti, se preferisce) con le quali poter disquisire senza più sentirsi tanto inutili e impotenti. Non avevo osato pensare che le più recenti ondivaghe posizioni assunte dal nostro presunto mâitre-à-penser (gli intellettuali che si ostinano a far politica mi mettono a disagio) fossero generate da pulsioni di semplice banale ripicca, ma la Sua osservazione forse ha centrato il segno accrescendo il mio disincanto e il mio sconcerto. Ricordo il titolo d’un tema che il mio professore d’Italiano ci dettò l’ultimo anno di Scuola superiore; esso così recitava: “Quando il lavoro sarà lieto? Quando una forte plebe di liberi griderà guardando nel sole ‘Illumina non ozi e guerre ai tiranni, ma la giustizia pia del lavoro’?”. L’invocazione era di Pompeo e da quel giorno, caro dott. Villari, sono passati molti molti troppi anni…

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