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Ecco la telecronaca (preventiva) di ciò che ascolteremo durante i funerali dei quattro poveri alpini

Dalla parte degli “sciacalli”: adesso basta, via dall’Afghanistan

09-10-2010

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Poveri ragazzi, morti come i minatori italiani che nel dopoguerra scendevano sottoterra per guadagnarsi il pane nelle miniere di Marcinelle. Caduti per la patria, caduti per difenderci dal terrorismo, caduti per salvare la democrazia, truppe di pace assassinate dai padroni di casa. Non ci arrenderemo e resteremo lì, ripete il ministro Frattini. Vorremmo sapere da quale salotto annuncia la sua resistenza.

Altri quattro militari tornano dall’Afghanistan nella bara tricolore mentre i nostri pallidi ministri provano a ripetere le giaculatorie della pietà e dell’eroismo. Sono 34 i ragazzi che hanno perso la vita non per difendere l’Italia dal terrorismo, ma per difendere il governo corrotto di Karzai, signore della guerra con un fratello signore dell’oppio. Appena la notizia della strage è arrivata nelle nostre case, il professor Gino Spadon (a lungo in cattedra nelle università francesi) manda un biglietto alla edizione on line di Liberacion. Rabbia e dolore grottescamente profetici: “Malgrado queste perdite – proclamerà La Russa – non abbiamo paura dei talibani e continueremo a restare sul posto e a batterci per la pace”.

Nel Tg, tre ore dopo, il nostro ministro della pace, parola per parola, ripete le parole del professor Spadon. E il carnevale delle truppe di pace continua, maschera che nasconde l’obbedienza del governo Berlusconi 2 al disastro della strategia Bush. In un abbandono momentaneo, durante l’addio a un altro militare ucciso tre settimane fa, perfino a La Russa è scappata la verità: lo scenario è ormai di guerra, situazione sempre più pericolosa. Solo l’olimpico ministro Frattini continua a non trattenere lo sdegno: “Se pensano di impaurirci sbagliano. Sono morti per difendere la patria dal terrorismo. Noi risponderemo”. A chi e quando? I ragazzi che hanno scelto di andare in Afghanistan per arrotondare il piccolo stipendio – salario della paura – di chi nelle province del sud si è rassegnato alla vita in divisa mancando un lavoro dalla diversa dignità; questi ragazzi verranno usati per l’ultima volta da chi prova a nascondere la crisi morale e politica nella quale sta affondando la nostra economia e le speranze di una generazione dal futuro vuoto. Prima l’Iraq, poi l’Afganistan dove si combatte da 150 anni, miniera senza fondo.

Bisogna dire che quando tornano nelle casse di legno i ragazzi viaggiano gratis. Gratis i funerali di stato, gratis le psicologhe in divisa: sottobraccio a orfani e vedove li imboccano con le parole da piangere in Tv. Della commozione ufficiale sono arrivate le prime avvisaglie. Il presidente del Senato Schifani le ha declamate con la voce giusta: “L’Italia si inchina davanti a questi eroi che difendono la democrazia”. Nella chiesa della benedizione alle bare, nella prima prima fila del celebrazione solenne, ritroveremo la commozione dell’immancabile Gianni Letta. Ci sarà anche il Cavaliere presente solo quando i morti sono più di uno. Mentre festeggiava nella dacia di Putin il compleanno del caro amico, ha espresso “il dolore per l’eroismo dei soldati italiani sparsi nel mondo nella difesa della pace”.

Noi indifesi, difesi, in quale modo dobbiamo ringraziare? Insistendo perché continuino a morire o mormorando la sofferenza delle persone normali che non sopportano i politici che giocano con la pelle degli altri? In questa telecronaca anticipata del saluto ufficiale ai poveri ragazzi impossibile trascurare le omelie di cappellani militari. Per rispetto alla veste sacerdotale e allo strazio dei familiari scegliamo di non raccontare ciò che diranno. Sacrificio per la patria, difesa del mondo civile e cristiano dal terrorismo, eccetera, eccetera. Aria fritta dolorosamente noiosa nell’eterna ripetizione.

La Russa ha anticipato il giudizio sui pensieri sconvenienti di chi che non sopporta il sacrificio di tanti ragazzi così. “Vittime nell’adempimento del loro dovere”, e ammonisce: “Non badate agli sciacalli che pretenderanno di ritirare le truppe. Resteremo fino a quando comincerà la transizione”. Metafora misteriosa per dire: se Washington deciderà di abbandonare l’Afghanistan, noi scapperemo con loro lasciando alle spalle morti innocenti, i nostri soldati e migliaia di donne e bambini. Sapete com’è: a la guerra come a la guerre. Il dolore passerà, un po’ di pazienza.

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