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Entriamo in confidenza con i Disturbi del Comportamento Alimentare

23-10-2009

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Cercheremo in questa sezione di avvicinarci piano, piano ai Disturbi di Relazione, prestando particolare attenzione ai Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) aprendoci verso la conoscenza tecnica, sociale e personale. Io, dal canto mio, cercherò di osservare le regole del mio setting terapeutico (1) al fine di divulgare, coinvolgere e rendere consapevoli coloro che avranno la pazienza di leggermi.

Intraprenderemo insieme un percorso destinato a sviluppare quella consapevolezza che, sola, seguendo le conoscenze tecnico-scientifiche attualmente a disposizione, può aiutare a prevenire e a curare disequilibri gravosi da tollerare e per il portatore e per la comunità tutta. Affronteremo insieme il vissuto di impotenza che tante volte agisce da deterrente e per il tecnico e per il paziente, ci apriremo ad affrontare eventuali domande che vorrete porgerci senza presunzione alcuna di rappresentare i detentori della conoscenza a 360° in relazione a disturbi di cui a tutt’oggi si conosce poco, se non pochissimo, malgrado gli innumerevoli venditori di illusioni che pullulano sullo scenario sia che si tratti di addetti ai lavori, sia che si tratti di improvvisati esperti.

Nel contesto sociale nel quale viviamo le relazioni, sia che si faccia riferimento a quelle interpersonali, sia che si presti attenzione alla sola relazione intra-personale,  sono inquinate tanto da creare una sorta di disequilibrio mente-corpo che spesso si esprime con una delle sindromi inquadrabili nei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA).

Le tre sindromi maggiori facenti capo ai DCA sono: Anoressia nervosa, Bulimia, Obesità.

Nell’ambito del percorso che intendiamo affrontare proveremo a valutare ognuna di tali espressioni sintomatologiche e dal punto di vista organico e dal punto di vista psichico, oltre che sociale, in quanto l’approccio terapeutico che a tutt’oggi pare essersi dimostrato d’elezione è quello multidisciplinare, ove entrano in gioco diverse forze: endocrinologica, psichiatrica, sociologica.

Il terapeuta che intende farsi carico di Pazienti rientranti nei DCA non può sottostimare l’importanza di farsi carico utilizzando un approccio capace di tenere in considerazione gli aspetti fondamentali che sottendono tali disagi.

Alla presa in carico risulta indispensabile eseguire alcune distinte, ma al contempo interconnesse  valutazioni:

–         struttura di personalità del soggetto portatore di disagio utilizzando il colloquio strutturale secondo O.F. Kernberg (2) ed il test proiettivo di Rorschach (3)

–        un esame clinico obiettivo associato ad un’attenta anamnesi nel contesto della quale, oltre alla classica raccolta di dati relativa alla storia clinica del Paziente, non ci si può astenere dall’attenta valutazione dell’ambiente sociale nel quale è cresciuto e nel quale vive

–        una valutazione laboratoristica  dei parametri vitali con particolare riguardo a quelli riferentesi i metabolismi lipidico, protidico e glucidico e la funzionalità endocrina.

Solitamente il Paziente viene preso in carico dal medico internista che, utilizzando la tecnica dell’empowerment clinico (rieducazione-formazione clinica ad impronta cognitivo-comportamentale), crea la relazione terapeutica quale pre-requisito indispensabile all’avvio e alla continuazione di terapia. Secondo la nostra esperienza il valore di una buona relazione medico-paziente è incontestabile ed imprescindibile da buona prognosi e, nel caso specifico, in riferimento a Pazienti affetti da disturbi relazionali, tale rapporto diviene vero e proprio strumento terapeutico.

Se è vero, come è oramai assodato, che esiste un “filo diretto” fra mente e corpo ci si domanda:

quanta importanza avranno le esperienze del soggetto, le sue elaborazioni mentali, i suoi vissuti intrapsichici, i suoi comportamenti con possibile disequilibrio dell’assetto ormonale e conseguenti ripercussioni sui metabolismi ?

Inoltre, esiste una zona del cervello deputata a filtrare, integrare, diramare informazioni ? Oppure tutto il corpo nel suo insieme è dotato di questa vitale funzione ?

L’anoressia nervosa, la bulimia e l’obesità, malgrado l’antitesi somatica, hanno sicuramente in comune la relazione con gli alimenti, un disequilibrio esprimentesi attraverso una serie di comportamenti inficianti il sano rapporto con il cibo e con il proprio corpo, oltre che con il mondo circostante. Che cosa differenzia tra loro queste tre sindromi maggiori ?

Certo è che questi disagi esprimono un’inconsapevolezza delle proprie risorse atte ad affrontare circostanze considerate spinose, l’individuo in questione sposta la problematica verso la quale si percepisce impotente sul suo rapporto con il cibo (sublimazione).

Una volta instauratasi la relazione terapeutica occorre adoperarsi per evidenziare le radici del disagio che sottende la sindrome. Si intraprende, così, un percorso, molto spesso lungo e tortuoso, che porti diritto alla “messa a nudo del nocciolo”. Questa è un’operazione delicatissima e spesso faticosa, oltre che sofferta, ma risulta indispensabile al fine di riequilibrare la relazione intra-personale e conseguentemente il peso corporeo.

Va da se comprendere quanto l’ambiente agisca quale filtro all’interpretazione di ciò che ci caratterizza: decodifichiamo il mondo, sia quello interno che quello esterno, utilizzando gli strumenti che abbiamo a disposizione. Spesso tali strumenti sono stati semplicemente assorbiti e/o imposti da persone e circostanze che hanno caratterizzato ciò che siamo, mentre sarebbe bene che la decodifica passasse attraverso l’elaborazione individuale al fine di potere e sapere scegliere in sintonia con ciò che meglio si ingrana al nostro benessere.

La conoscenza ad ampio raggio ci permette di allargare i nostri orizzonti comprendendo “l’altro”, ci regala la responsabilità di esserci e di interagire. Il nostro mondo si attiva e ne nasce un movimento vitale di entità tale da farci percepire il nostro stesso contenitore, oltre che il contenuto. Non ci si percepisce più come “un lattante lasciato nudo” che, come se il corpo fosse allo stato liquido, strilla e si dispera in quanto matura la fantasia di spargersi, di disperdersi, di cadere senza fine, di svuotarsi del proprio contenuto,  non potendo ancora contare su di una “pelle” sentita propria, quindi atta a contenerlo.

Quest’ansia così specifica la si ritrova negli adulti esprimenti disagi relazionali: ogni spina irritativa, ogni trauma, ogni momento di crisi “strappa la pelle-contenitore” e si tende a perdere il controllo. Ciò che sostiene la perdita di controllo è la paura di non possedere limiti del corpo, di dissolversi esattamente come se la parte profonda di se potesse uscire incontrollatamente ed indipendentemente dalla volontà. Ecco che, facendo specifico riferimento ai DCA, ci si trova costretti a rendere concreta la paura:

  • si “svuota” il proprio corpo negandosi il soddisfacimento di ogni bisogno percepito (anoressia mentale)
  • si “riempie” il proprio corpo tanto da provare ad occupare un posto (obesità)
  • si “riempie” ed immediatamente dopo si “svuota” quale estremo tentativo di controllo (bulimia)

Il nostro corpo diviene strumento cognitivo destinato a farci percepire il fatto stesso di essere. Come una scatola riempiamo e svuotiamo, ma continuiamo a non percepirne i limiti in quanto agiamo un “controllo” che non ci appartiene. Possiamo arrivare ad usare l’altro “trovando” il nostro contenitore in chi ci sta vicino.

Sino a che non ci rendiamo conto delle nostre stesse funzioni di contenimento è quasi impossibile concepire il nostro spazio interno rischiando, così, di manifestare confusioni relative alla nostra identità e al nostro interagire.

Il ruolo della terapia dovrebbe essere destinato, attraverso un’azione di empowerment spesso associata ad interpretazioni psicodinamiche, all’integrazione tanto nello spazio, quanto nel tempo, ritrovando un nuovo e più adeguato significato a ciò che siamo e a come siamo. Il processo di integrazione spazio-temporale va a sedare l’angoscia da scucchiaiamento, ossia, permette di riconoscersi e di percepirsi cresciuti, emancipati, nonché affermati.

Si percepisce il diritto di essere parte attiva, il diritto di essere così… come si è! Ci si può permettere, allora, di affrontare le separazioni che caratterizzano tutto il ciclo vitale senza rimanere paralizzati entro la paura di perdersi. Ci si identifica con noi stessi fondando tale sentimento sulla possibilità di sentirsi separati e diversi dagli altri, ma pur sempre affermati. Il fatto stesso di sentirsi diversi e separati ci permette di interagire col mondo nel modo migliore possibile e di affrontare le nostre crisi (4) evolutive (dallo svezzamento alla vecchiaia, passando attraverso tutte le fasi che costruiscono pezzo per pezzo l’esistenza), oltre che le crisi di vita specifiche di ogni individuo, le crisi determinate dalle vicende che intercorrono nella nostra personalissima storia.

le 3 facce dei DCA

I Disturbi del comportamento alimentare

– anoressia, bulimia, obesità –

rientrano nei Disturbi di Relazione e rappresentano l’espressione sintomatologica  di un disagio conseguente ad una spina irritativa (cambiamento, lutto, separazione) agente su di un terreno psichico predisposto

Lo SCOPO del gruppo di rieducazione alimentare (5)

Il gruppo tende a riequilibrare una sana relazione con:

  • il nostro corpo e la nostra immagine
  • il CIBO
  • gli ALTRI

permette ai pazienti di percepirsi PARTECIPI,  attivi anche nell’ambito del rapporto medico-paziente

Atteggiamenti comuni ai tre disturbi maggiori

  • Scarsa autostima che può debordare in franca depressione
  • atteggiamento rinunciatario, passivo, scarsamente affidabile per se e per gli altri,
  • atteggiamento manipolativo
  • difficoltà in ambito relazionale
  • difficoltà a riconoscere e ad esprimere le proprie emozioni
  • utilizzo del sintomi ad espressione del malessere sottostante

La motivazione

rappresenta la base dalla quale partire per avviare un tentativo di recupero dell’equilibrio psico-fisico che porta al riequilibrio del peso corporeo. La motivazione può essere legata a:

–        fattori di rischio

–        ragioni estetiche

–        ragioni professionali

–        malattie intercorrenti

–        integrazione sociale

–        imitazione

–        imposizione esterna

–        affettività

Perché è così difficile iniziare e/o proseguire un programma di riequilibrio del peso corporeo ?

  • Negazione del problema per scarsa fiducia nelle proprie capacità di potere modificare il rapporto con il cibo (bassa autostima, scarsa cognizione delle proprie risorse)
  • stato di depressione sottostante il disequilibrato rapporto con il cibo
  • compulsione esprimentesi nell’utilizzo del cibo a soluzione di problemi verso i quali ci si sente impotenti
  • difficoltà oggettiva del programma proposto in relazione con le consolidate abitudini di vita
  • insufficiente motivazione
  • fattori culturali e/o sociali

Cognizione

Relazione

Sperimentazione

rappresentano in sintesi il programma proposto per tentare il riequilibrio del peso corporeo

la Relazione con:

  • noi stessi: il nostro corpo, la nostra immagine corporea, i nostri problemi, il nostro piacere
  • il cibo cercando di rivestirlo del significato più adeguato al nostro benessere
  • gli altri a rinforzo della fatica che ci stiamo accingendo ad affrontare, dell’acquisizione dell’abilità a stare e rimanere nel branco (aumento di autostima)
  • i condizionamenti sociali che spesso ci allontanano dai nostri reali bisogni o li mascherano
  • i pregiudizi che ci fanno percepire la realtà in maniera distorta con conseguente allontanamento dalla possibilità di interagire costruttivamente per noi e per gli altri
  • il nostro agire attraverso l’acquisizione di una modalità sperimentale nell’affrontare la vita (errori non fallimentari, possibilità di cercare alternative, verificabilità dell’agito)
  • le nostre effettive motivazioni orientate al cambiamento

La Cognizione (6)

essendo la conoscenza l’unico strumento che ci possa rendere liberi di scegliere cosa, come , perché e quando mangiare

No al controllo

Sì alla modulazione

la Sperimentazione

  • è vitalità
  • è un porsi un obiettivo cercando diverse vie per riuscire  a perseguirlo
  • è tentativo orientato e motivato
  • è evoluzione individuale e sociale

Il metodo sperimentale viene applicato al nostro programma medico rieducativo attraverso la ricerca di alternative e la forza del gruppo

La Forza del Gruppo

appartenere ad un gruppo significa:

  • interagire con persone animate dal nostro stesso obiettivo e bloccate da problematiche sovrapponibili

ci dà:

  • un forte senso di appartenenza
  • ci motiva
  • riduce la fatica

si attivano:

  • complicità
  • responsabilità reciproca
  • condivisione
  • appartenenza attiva e non impositiva

La rilettura e l’alternativa

  • occorre tentare una rilettura dei vissuti infantili e/o adolescenziali, anche per arrivare ad una rivalutazione delle figure genitoriali, alla loro accettazione
  • occorre cercare l’alternativa al sintomo che possa permettere un recupero o una sana e soddisfacente creazione della relazione affettiva genitoriale

Trattamento rieducativo alimentare

No alla dieta imposta in quanto:

  • crea una sorta di gabbia che induce il rinforzo della trasgressività
  • non insegna a scegliere
  • non responsabilizza
  • alla sospensione il Paziente tende a cercare gli alimenti a cui forzatamente ha dovuto rinunciare

Sì alla rieducazione alimentare.

  • Si parte dalle modalità alimentari proprie del Paziente e lo si coinvolge nel processo di cambiamento atto ad acquisire un rapporto con gli alimenti sintonico all’obiettivo: riequilibrare le relazioni inquinate e conseguentemente il peso corporeo

note:

(1) http://www.mediconadir.it/com_aperta.htm in ambito psicoterapico il setting rappresenta la “matrice funzionale” che media la costruzione della relazione  tra paziente e terapeuta rendendola clinicamente efficace. Il setting è costituito dal set, ossia dall’ambiente fisico e funzionale all’interno del quale ha luogo la relazione terapeutica, dalle regole organizzative del “contratto terapeutico”, e dalle regole relazionali che mediano il rapporto analista-analizzando (assenza di contatti extra-analitici, etc.). Più in generale, il setting è il “significante strutturale” dei significati che si implementano nelle forme della relazione clinica, e che costituiscono l’assetto di base del rapporto analitico.  Quando si parla di setting allargato si intende un’ambientazione fisica e psichica corrispondente ad un contenitore aperto ed interattivo ma al contempo supervisionato e sottoposto a regole terapeutiche precise e concordate. Tale setting  permette:

· Una migliore osservazione del Paziente nel processo di interazione

· Facilita la diagnosi

· Favorisce l’intervento terapeutico

· Implica un impegno costante dello staff: osservazione, supervisione, interrelazione con il singolo e con il gruppo a proposito delle dinamiche interattive e del singolo e del gruppo

(2) il colloquio strutturale di Kernberg (1987) rappresenta un utile procedimento poiché attraverso momenti successivi di chiarificazione, messa a confronto ed  interpretazione, riesce a chiarire al terapeuta le capacità del Paziente di fare esami di realtà, di valutare l’integrazione di identità e le operazioni difensive adottate. Le finalità che ci si pone rientrano nell’importante differenziazione tra la struttura psicotica, borderline o nevrotica e di definire  nell’ambito dello spettro delle organizzazioni al limite i differenti disturbi di personalità.

Questa tipologia di colloquio, oltre ad offrire un’adeguata modalità diagnostica, aiuta ad impostare la fase successiva rientrante in quella terapeutica e prognostica.

Soprattutto nell’ambito dei Disturbi di Relazione l’approccio multidisciplinare è più che mai utile e permette di integrare la psicoterapia psicodinamica, il trattamento farmacologico, la terapia sistemica famigliare ed il trattamento rieducativo ad impronta cognitivo comportamentale supportato dal supporto organico internistico.

(3) Il test Rorschach si basa sulla proposizione di 10 tavole, su ciascuna delle quali è riportata una macchia d’inchiostro simmetrica: 5 monocromatiche, 2 bicolori e 3 colorate. Le tavole vengono sottoposte all’attenzione del soggetto una alla volta e, per ciascuna e senza limiti di tempo imposto, viene chiesto di esprimere tutto ciò cui la macchia sollecita nell’interlocutore.

Attraverso l’interpretazione delle risposte, delle modalità stesse osservate nell’atto del rispondere si riesce a delineare, utilizzando una specifica siglatura, un profilo per attitudini, un profilo di personalità e identificare eventuali nodi problematici del soggetto. L’indagine non risponde alle classiche valutazioni psicometriche della testistica psicologica ma alla precisa risposta soggettiva dinanzi a stimoli nuovi ed ambigui.

(4) per “crisi” non intendo fare riferimento ad esperienze catastrofiche o drammatiche, faccio, invece, riferimento ai punti critici necessari affinché lo sviluppo assuma un’altra direzione che comporti la crescita, ulteriori recuperi e differenziazioni

(5) http://www.mediconadir.it/rieduca_alimen.htm

(6) http://www.mediconadir.it/articoli_medico_psicologici_7.html

Luisa BarbieriLaureata in medicina e chirurgia si è da sempre occupata di disturbi del comportamento alimentare, prima quale esponente di un gruppo di ricerca universitario facente capo alla Clinica psichiatrica Universitaria P.Ottonello di Bologna e alla Div. di Endocrinologia dell'Osp. Maggiore -Pizzardi, a seguire ha fondato un'associazione medica (Assoc. Medica N.A.Di.R. www.mediconadir.it ) che ha voluto proseguire il lavoro di ricerca clinica inglobando i Dist. del comportamento alimentare nei Dist. di Relazione. Il lavoro di ricerca l'ha portata a proporre, sempre lavorando in equipe, un programma di prevenzione e cura attraverso un'azione di empowerment clinico spesso associato, in virtù dell'esperienza ventennale maturata in ambito multidisciplinare, a psicoterapia psicodinamica e ad interventi specialistici mirati. Ha affrontato alcune missioni socio-sanitarie in Africa con MedicoN.A.Di.R., previo supporto tecnico acquisito c/o il Centro di Malattie Tropicali Don Calabria di Negrar (Vr). Tali missioni hanno contemplato anche la presenza di Pazienti in trattamento ed adeguatamente preparati dal punto di vista psico-fisico. Il programma clinico svolto in associazione l'ha indotta ad ampliare la sfera cognitiva medica avvicinandola all'approccio informativo quale supporto indispensabile. Dirige la rivista Mediconadir dal 2004, è iscritta all'Elenco speciale dei Giornalisti dell'OdG dell'Emilia Romagna e collabora con Arcoiris Tv dal 2005 (videointerviste, testi a supporto di documenti informativi, introduzione di Pazienti in trattamento nel gruppo redazione che oggi fa capo all'Assoc. Cult. NADiRinforma, redazione di Bologna di Arcoiris Tv).
 

Commenti

  1. Giovanna Arrico

    Spesso si sente parlare di gruppi,di compagnie,e questo ad ogni età ed epoca.Ma pensiamo a cosa vuol dire “gruppo di appartenenza”,il gruppo che riesce veramente a capire,o si suppone in grado di farlo,il disagio con il quale una persona vive ogni giorno nel momento critico di una di queste patologie.La fatica ad accettarsi per poter uscire fuori dal sintomo,la fatica a farsi accettare diventa un labirinto di pensieri ai quali non sempre e non nell’immediato riesci a venirne a capo.Il gruppo di chi più o meno vive le tue stesse giornate,il gruppo he vive giornate diametralmente opposte,proprio perchè affetto dal disturbo contrario,a volte ti infastidisce,ma poi pensi di non essere sola.Spesso si dice mal comune e mezzo gaudio,come ogni problema qui non si sta a guardare al chilo o ai chili in più o in meno si sta a guardare chi ne è uscito per capire come possa essere stato possibile.Questo pensiero lo puoi fare quando il disturbo si sta dissolvendo o comunque a non essere così protagonista.Riesci a vedere il gruppo,gli altri,i “normali”,il mondo.Inizi a uscire e a provare.Inizi a vedere che al di là del muro c’è un mondo,forse strano,forse non verosimile alla realtà che vorresti…questo inizia a darti coraggio,inizia a dare forza alla tua diversità,inizia a farti sentire bella,simpatica,intelligente… inizia a farti accettare la tua personalità e il fatto che a non tutti puoi piacere.Questi pensieri iniziano a riempire la giornata,riempire il cuore e la mente di emozioni,di sensazioni e non sempre e solo di schemi e di cosa mangiare e cosa evitare.Inizi a rapportarti al mondo giusto o non giusto,questo è un’opinione soggettiva,inizi a credere in te stessa,inizi a muovere i primi passi e poi sempre di più.Ti rendi conto di aver fatto tanta strada da quando hai messo la prima volta i piedi all’interno di quel minuscolo e adattato ambulatorio.Ti senti di poter avere delle pulsazioni vere,attimi di gioia,attimi di tristezza,a volte ritorna quella paura mentre per caso di volti indietro.A volte pensi che forse tutta questa “storia” non finirà mai,temi il disagio di chi ti sta vicino,di chi dice di amarti ma è incapace di farlo fino a quando non accetterà anche lui o lei questa situazione.Mi sveglio a volte ancora credendo di essere ancora in preda agli attacchi di fame,o agli attacchi di fame affettiva.Mi sveglio cercando la mano di qualcuno che possa darmi forza,mi sveglio guardandomi attorno a volte con ancora i singhiozzi.Mi ascolto,ascolto il silenzio della mia casa,ascolto il mio cuore battere,sento le mie mani appoggiate sulla mia fronte bagnata,sento le fusa delle mie gatte.Non ho bisogno di altro.Ho bisogno di sentirmi e di sentirmi viva,con tutte le difficoltà del momento,ho bisogno di stimoli,di conoscere,di sperimentare.Solo così ho trovato il mio spazio e la mia dimensione.Non è un sogno.A volte i brutti sogni fanno crscere,questo è ciò che è successo a tante persone.Questo è ciò che è successo anche a me e sempre più spesso vorrei gridare forte che non servono diete e illusioni per guarire,ma solo l’accettazione e come ha scritto la Dott.aBarbieri la sperimentazione,la condivisione anche di una malattia.

  2. annalisa piazzi

    E\’bello leggere queste pagine perchè ti fanno capire come l\’essere umano rimane tale nel proprio essere limitato ed è anche in questo che sta la sua grnadezza..penso che da quando ho imiziato questo percorso con la dott.ssa Barbieri anche nel momento di sconforto, di stanchezza, di sfiducia mai ho capito tanto quanto valore ho..quanta dignità desidera, implora e chiede ogni uomo! Quanto è importante distruggere il castello di carta che a volte è solo muro più che castello per costruire una casa che forse inizialmente è piccola e sgangherata ma che ogni giorno diventa sempre più bella proprio perchè solo semplice casa!! E questo lo si può fare anche grazie alla condivisione di noi stessi, della nostra storia del nostro cammino…quindi camminiamo..e grazie Dott. Luisa per camminare con tanti di noi..piccole e stupende case!!

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