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L’innamorato non si chiamava Renzo Tramaglino, ma Vincenzo Galvan. Il vero nome di Lucia è Fiore Bertola. Lo sgherro Nibbio diventa Griso e non c’é nessun ramo del lago di Como perché l’intrigo gira attorno ai colli Berici di Vicenza, dove il nobile Paolo Orgiano (don Rodrigo) stupra la bella ragazza. Ma padre Ludovico Oddi (Fra' Cristoforo) lo trascina davanti al Consiglio dei Dieci, testimoni coraggiose madre e figlia che non perdonano. E Manzoni adatta al maschilismo i verbali del processo lungo due anni: 1605-1607. Scoperta del professor Povolo, Rai 2 sta girando una puntata di Voyager

Manzoni ha copiato male “I Promessi Sposi”: censura Agnese e Lucia che hanno trascinato in tribunale Don Rodrigo

28-04-2011

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Mio padre mi raccontava che gli studenti italiani sono immolati sull’altare adorante de “I Promessi sposi” per un anno intero. Troppo per un solo autore, anche se importante. “Ma, a quel tempo, ci facevano solo intravvedere la veritá. L’insegnamento che veniva da ogni episodio era sempre lo stesso: quanti soprusi in questa valle di lacrime! Ma arriva sempre la Provvidenza e tutto si aggiusta, in questa o… nell’altra vita”. Riguardo alle fonti ispirative di questo grande romanzo ottocentesco, le notizie in possesso dei severi professori di mio padre erano incomplete. In questi giorni, una troupe del programma di Rai2 “Voyager” sta realizzando un servizio sul luogo preciso dove le vicende dei “Promessi sposi” si sono svolte per davvero. Ma con una sostanziale differenza, riguardo la reazione delle donne vittimizzate dai maschilismi violenti.

In base a recenti ricerche scientifiche, sappiamo che Quel ramo del lago di Como era in realtà in provincia di Vicenza, e precisamente ad Orgiano sulle propaggini orientali dei colli Berici. “Questo matrimonio non s’ha da fare” non è stato pronunciato da bravi dall’accento lombardo: il vero Griso e lo sgherro Nibbio parlavano veneto. E Lucia, in verità, si chiamava Fiore Bertola. Il suo promesso sposo non era Lorenzo Tramaglino ma un tal Vincenzo Galvan. Il coraggioso Fra’ Cristoforo da Pescarenico altri non era se non il vicentino padre Ludovico Oddi, che convinse Fiore a denunciare per sequestro e stupro presso il tribunale penale veneziano del Consiglio dei Dieci il suo violentatore Paolo Orgiano, alias don Rodrigo.

In altre parole, il Manzoni ha riprodotto nella prima parte del suo capolavoro tutta la struttura narrativa di un processo istruito nel 1605-1607 contro uno scapestrato rampollo della famiglia signorile degli Orgiano, accusato di violenza sessuale da ben cinquanta giovani donne! A raccogliere questa documentazione, organizzata ora anche in una mostra didattica itinerante dalla biblioteca orgianese, è il prof. Claudio Povolo che, su iniziativa della Regione Veneto, ha pubblicato nelle Fonti per la storia della Terraferma veneta, la versione integrale del processo contro il mostro assatanato che terrorizzava le vergini locali nelle contrade di provincia.

Da tale documento storico risultano facilmente riconoscibili tutti gli stereotipi seicenteschi presenti nell’opera manzoniana: i bandi contro i bravi, le soverchierie dei nobili che esigevano lo jus primae noctis, la inconsistente presenza della autorità politiche, l’opera di alcuni isolati religiosi a difesa delle donne. Come il Manzoni sarebbe venuto a conoscere di questo documento processuale? E’ provato che un assiduo frequentatore di casa Manzoni, Andrea Mustoxsidi, fosse un profondo conoscitore degli archivi della Serenissima. E che Agostino Carli Rubbi, allievo del Beccaria (suocero del Manzoni) fosse l’incaricato del riordino dell’archivio in questione. Infine che, dopo la caduta della Repubblica di S. Marco per mano napoleonica, i documenti veneziani vennero trasportati all’accademia di Brera, di cui era conservatore un amico del Manzoni, Gaetano Cattaneo.

Non sorprende che un documento storico come il processo a Paolo Orgiano sia la fonte di ispirazione dei Promessi Sposi. Per il Manzoni l’arte non può far a meno del vero, e la creazione artistica deve integrare i fatti della Storia. Data questa la concezione del romanzo, il Manzoni porta i suoi umili a sfiorare personaggi storici come la monaca di Monza, il card. Borromeo, l’Innominato, o eventi realmente accaduti come la peste del 1630.

Amareggia, peró, che nei Promessi Sposi non traspaia che lo stupro da parte dei signorotti perversi era un fatto abituale, come invece appare documentato dalla cruda testimonianza delle 50 donne violentate. In particolare, dalla denuncia di Fiore/Lucia, che non lesina in particolari scabrosi nel descrivere come sia stata trucemente assalita dai bravi in casa sua, sequestrata in un luogo segreto e violentata per vari giorni e vari notti da Paolo Orgiano/don Rodrigo. Il Manzoni lascia intuire il dramma vissuto dalla sua protagonista, parla sì della sua angoscia e desolazione. Ma sceglie di non parlare mai del Male. Non guarda mai in faccia il Male. Di esso, gli interessa solo quanto permette di scoprire – oltre l’umano (scontato per lui) dolore delle donne- il disegno della Provvidenza. Quello che gli preme è la relazione tra la confessione religiosa, il perdono e la grazia divina. A giudizio dello studioso Francois Bruzzo, “Manzoni si autocensura. Sempre”.

 

Donne raccontate: senza nome, affidate alla Provvidenza

Di Lucia, la principale figura femminile del romanzo, descrive appena la normale bellezza, il fascino privo di particolari caratteri dominanti e piuttosto semplice nel complesso. Una giovane filatrice che non si è mai allontanata dal paese dove è nata, educata secondo la severa tradizione religiosa dell’epoca da cui deriva la grande devozione e l’immenso rispetto per tutto quello che riguarda la fede e la dottrina cristiana, e che non presenta mai particolari velleità e ambizioni se non quella di sposarsi con Renzo. Nella grandiosa figura della mamma di Cecilia, una donna senza nome, che consegna ai monatti il corpo della figlia, chiedendo per la sua bambina posto e rispetto sul carro dei morti appestati, sapendo che la seguirà presto – emerge la pietas manzoniana. In altri personaggi femminili, la sagacia, l’arguzia, la curiosità. La dignità semplice, in Lucia. Mai, l’indignazione e la denuncia.

 

Donne reali: il coraggio della parola e la richiesta di giustizia umana

Fiore, la vera promessa sposa della storia, invece, guarda in faccia al suo carnefice, ha il coraggio della parola perché crede nella giustizia del tribunale degli uomini, rappresentato per l’occasione dal tribunale veneziano. Fiore chiede Giustizia, esige Castigo al Delitto. In effetti, lo stupratore serial sarà condannato all’ergastolo e morirà in carcere. La Lucia manzoniana invece prega, supplica, fa i voti, si affida solo a Dio. Il Manzoni non crede nella giustizia umana; quindi, evita accuratamente di riconoscere il Mostro. Non gli interessa che si sappia che lo stupro è una costante storica. Accenna al caso singolo, isolato, e in forma appena velata. Come una goccia in più nella palude delle scontate prepotenze in un periodo lontano nel tempo e superato.  Non denuncia, non rivela l’orrore umano e la banalità del Male. Solo ha in testa di dimostrare la potenza della Grazia. Tutto ciò che è violenza sessuale e sordida passione, è rimosso “in nome della sfiducia manzoniana nella capacità dell’uomo di cambiare con i propri mezzi il proprio destino, che rimane quindi in balia all’incommensurabile Provvidenza”. Tutto ció che è “sporcarsi i piedi”, cercare giustizia, è pazzia profetica di qualche incompreso Frà Cristoforo/padre Ludovico Oddi.  E…” a chi tocca, tocca”, conclude Tonio, un altro umile. Manzoni sbircia nella storia sporca, quotidiana, della violenza sulla donna, territorio dei vincitori, zuccherino per i festini del Potere, aggredita in casa e sulla strada. Ma si rifiuta di guardarne il corpo sfregiato, l’anima dannata per sempre. Presunto pudore di sacristia, che racchiude tutto nel velo privato del confessionale. Che non si sappia in giro, con il rischio di incontrare una Fiore che porta in tribunale il Miserabile nella speranza che, in futuro, ci siano meno miserabili nel mondo.

 

Se il processo a Paolo Orgiano avesse ispirato Victor Hugo

Un’altra occasione perduta, questa del Manzoni. Ben altro risultato storico ci sarebbe stato per la dignità delle donne, dal 1842 ai giorni nostri, se il testo veneziano del processo a Paolo Orgiano fosse stato visto e avesse ispirato un Victor Hugo o un Dostoevskij, capace di scavare tra i Demoni del Mostro: “L’evangelista Luca ci racconta che i demoni si erano insediati in un uomo, il suo nome era Legione, ed essi Lo [Cristo] pregarono: permettici di entrare nei maiali, ed Egli lo permise. I demoni allora entrarono nei maiali e tutto il branco si precipitò da un’altura in mare ed annegò. […] Esattamente la stessa cosa si è verificata anche da noi. I demoni sono usciti dall’uomo russo e sono entrati nel branco dei porci, e cioè nei Necàev, nei Serno-Solov’ëvic e così via. Quelli sono affogati, o affogheranno senza dubbio.” L’unica lezione da imparare è quella delle 50 donne venete che hanno avuto il coraggio di denunciare, di stanare l’Orco, di annegare il branco, di scendere in piazza contro tutti i don Rodrigo della storia, da quello violento tra le pareti domestiche, a quello che organizza la tratta delle donne immigrate costrette alla prostituzione, a quello che ricatta sessualmante negli ambienti di lavoro o fa turismo pedofilo nel paesi del Sud in cerca di una Cecilia dalla pelle ramata, “viva, ma coi segni della morte in volto”.

Azzurra CarpoSpecialista in cooperazione internazionale. Autrice di "Romanzo di frontiera" (Albatros, Roma 2011), magia e realtá delle donne latinoamericane alla frontiera Messico-USA; "In Amazzonia" (Milano, Feltrinelli, 2006); "La Ternura y el Poder" (Quito, Abya Yala, 2006); "Una canoa sul rio delle Amazzoni: conflitti, etnosviluppo e globalizzazione nell'Amazzonia peruviana" (Gabrielli Editore, Verona, 2002); co-autrice di "Prove di futuro" (Migrantes, Vicenza, 2010).
 

Commenti

  1. Ammettiamo che Manzoni non avesse un cuore di leone, ne era consapevole, tanto è vero che in don Abbondio riconosceva facilmente un suo alter ego, con una dose eccellente di umorismo. Per questo ritengo che la lettura qui data del Manzoni sia inutilmente rancorosa, come se avesse inferto un’offesa insopportabile alle donne creando una Lucia che non corrisponde al puro e nudo fatto di cronaca. L’arte non è tenuta a nessuna, per quanto legittima, richiesta dei lettori , è altro, anche un avvolgersi attraverso la scrittura e un districarsi dalle proprie personali debolezze. Ho avuto familiarità per tanti anni col Manzoni da docente, ma prima ancora giovanissima attraverso una lettura del romanzo non imposta dalla scuola, senza pregiudizi e interpretazioni altrui, quando saltavo le digressioni storiche, ma non mi scollavo dal testo narrativo. Mi piacque allora e ancora di più quando lo lessi per intero. Più che cogliere l’ossequio alla morale cattolica ho sempre colto con immenso piacere il controcanto ironico, le allusioni trasparenti alla sua storia, che purtroppo è ancora la nostra storia, di prepotenze, di collusioni tra poteri forti e delinquenza, di intrecci tra malgoverno e ipocrisia ecclesiastica. Una denuncia forte contro l’oppressione della donna, senza equivoci e con potenza di scavo è nell’episodio di Gertrude. Cosa vogliamo da un povero autore, grande della sua ricerca poetica di una lingua nuova, grande della sua stessa macerazione, quando siamo sommersi dalla boria presuntuosa di mille autori che scrivono romanzi prolissi ad ogni piè sospinto e non hanno neanche una delle pur buone intenzioni di un autore inequivocabilmente grande? A meno che non si è avuta la pazienza, o la fortuna, di leggere per intero il suo unico romanzo.

  2. Per essere precisi, Beccaria non era suocero di Manzoni, ma nonno per parte di madre, Giulia Beccaria.

  3. Alberta Romagnoli

    Anch’io docente e donna, con la pazienza o la fortuna di aver letto per intero il grande romanzo. E anche con la piacevole sorpresa di essere incappata in questo articolo indubbiamente stimolante e che rimuove dentro gli stereotipi della nostra didattica e del POF tradizionale. Ho verificato in internet che il programma Voyager di RAI 2 farà il 16 maggio l’annunciato servizio sul documento processuale del 600 scoperto a Venezia. e che plausibilmente servì di ispirazione al Manzoni. Come docente, spero sia fatto con rigorosità scientifica, e che sia visto e discusso tra noi educatori. Come donna, un grazie di cuore e onore al prof.Claudio Povolo, docente di storia delle istituzioni politiche dell’Università di Venezia e alle sue ricerche presso l’Archivio di Stato lagunare.Il suo libro ” Il romanziere e l’archivista”, che sarà tradotto anche in inglese,è poco conosciuto in Italia ma è di estremo interesse. Ha messo in luce un documento storico dal quale emerge il coraggio della “vera Lucia” e di altre 50 popolane che, aiutate da un sacerdote, hanno il coraggio di denunciare e testimoniare contro una prassi di violenza ed abuso contro le donne, perpetrata sistematicamente dai potenti dell’epoca.Onore al coraggio di queste donne! Ha evidenziato anche che il tribunale della Repubblica Serenissima aveva il coraggio di processare e condannare un colpevole “all’ergastolo”, anche se nobile e potente. Il coraggio di credere anche alla giustiza umana ( non solo alla divina). Il coraggio, uno non se lo può dare, diceva don Abbondio nel quale, come ci ricorda la collega, il Manzoni riconosceva “facilmente il suo alter ego, con una dose eccellente di umorismo”. Come dice la collega, nessuna simpatia per certi autori nostri contemporanei. Un pò di rimpianto, questo sì. Coraggio, chi era costui? Ora lo sappiamo: era il nome di tante donne, già nel 1600. Nome, non di donne “inventate” dalla fantasia di uno scrittore. Coraggio, nome vero di donne vere. Onore a loro. Alberta Romagnoli

  4. Liliana Ruiz Garcia

    Spero non diventi un dibattito tra docenti ma che lo sia soprattutto tra donne, educatrici, attente anche a come la donna è stata vista e trattata nella letteratura, sia in quella che viene sfiorata sui banchi di scuola sia a quella circolante nelle librerie. Ho molto apprezzato l’articolo di Azzurra Carpo per due motivi. Da un lato, segnala che attraverso la RAI saranno diffusi i risultati della ricerca del prof. Claudio Povolo, volti ad accertare il valore probatorio di una serie di indizi ( un mixage di fonti storiche, letterarie e critiche)e di somiglianze sorprendenti nel tentativo di arrivare “a prove provate” che possano convalidare l’idea che il processo veneziano al nobile vicentino Paolo Orgiano sia servito di struttura ispirativa al Fermo e Lucia, e ai Promessi Sposi, ambientati in Lombardia.Da un altro lato, l’articolo non si ferma certo ad una questione accademica di ” indizi e somiglianze” che privilegiano un contesto geografico rispetto ad un altro. Sottolinea invece che l’artista-Manzoni ha verosimilmente preso il documento processuale della magistratura veneziana come uno spunto di sceneggiatura( ed era nel suo pieno diritto e nella sua totale libertà creativa di farlo!)per una serie di varianti alternative in funzione della sua particolare e tormentata visione del cattolicesimo, che si enuclea nel rapporto tra la protagonista Provvidenza-Giustizia nell’Al di là, e la tanta vituperata e inefficiente giustizia umana, dalla quale alcuni potenti corrotti, che mercificano il corpo della donna, sanno sempre come premunirsi e uscirne, sia nel ‘600 che in tempi molto più vicini.Certo, un grande artista è libero nel suo adattamento e nella sua creazione. Ma, noi come donne,cittadine ed educatrici,dobbiamo anche credere nella storia,lottare per il rispetto e per una giustizia anche nell’al di qua, valorizzando il fatto, come fa Azzurra Carpo,che ci sono state donne ” umili”, che non si sono lasciate intimorire o comprare, ma che hanno avuto il coraggio di denunciare e di difendere la propria dignità offesa. Il punto vero quindi non è tanto il Manzoni nelle sue grandezze e nei suoi grovigli, quanto le donne
    ” storiche” che hanno avuto reale coraggio di fronte ai giudici dell’al di qua, quali a loro volta hanno proceduto a verificare le prove di colpevolezza, quindi a dettare le conseguenze penali a norma di legge. Tutto questo ha ” prove provate”, è un documento ufficiale, è un messaggio storico, che viene però olimpicamente glissato. Un’ultima riflessione: non è certo il Manzoni-romanziere e le sue immaginifiche fonti ispirative, quello che ci fa discutere in questo momento sul caro Domani Arcoris bensì come trattare pedagogicamente e didatticamente l’argomento (il corpo della donna nell’intricata rete delle relazioni familiari,sociali, culturali, religiose di potere) che, da molto prima del Manzoni, da secoli,da sempre, si ripropone con la stessa drammatica attualità, ogni giorno.Purtroppo.

  5. Biblioteca Civica di Orgiano

    Per quanti desiderassero approfondire l’argomento vi invito a visitare i documenti seguenti:
    http://www.comune.orgiano.vi.it/upload/orgiano/gestionedocumentale/Quaderno%20Testi%20Stand%202_784_2165.pdf

    Un grazie all’autrice di questo articolo per aver saputo vedere dentro quel ” mondo degli umili che la storia dimentica” tanto caro a Manzoni.

    E un grazie per le foto davvero originali.

    Marco Ferraro – Biblioteca civica di Orgiano

  6. Annalisa Tamiozzo

    La Fiore orgianese e quelle 50 donne mi ricordano le Fragili Guerriere e i “Fondamenti dell’essere” di Patrizia Vicinelli…articolo forte che condivido……quanto patrimonio storico e culturale è (ancora sconosciuto) alla base di tanti Comuni come quello di Orgiano!!!…complimenti al ricercatore, alla giornalista e alla Biblioteca Civica di questa comunità che, a partire da un fascicolo storico che può aver ispirato il Manzoni, additano un atto di grande valore civico e invitano a riflettere sulla storia di troppi silenzi.

  7. Stefano Bovero

    I “Promessi Sposi” sono quasi un archetipo sociale, una mitopoiesi che ha unito tutte le generazioni del nostro paese, e non solo, dall’epoca di Manzoni in poi grazie alla trasmissione scolastica. Un’opera che ha influenzato uomini e donne della nostra modernità partecipando effettivamente a costruire i ruoli sociali e sessuali. Il venire a sapere che il Nostro avrebbe manipolato una realtà sociale autentica per farne un’opera divenuta un’altare alla Grazia, alla Fede e alla Provvidenza non mi meraviglia: mi risulta infatti che l’immagine che aveva della donna fosse molto, molto rigida, tanto quanto i suoi costumi sessuali matrimoniali fossero almeno altrettanto esigenti.
    Un uomo del suo tempo.
    Ma questi sono tempi diversi, nei quali si avverte il bisogno di rinnovare ciò che è asfittico e impantanato in una palude di relazioni tra uomo e donna fatte di sordità emotiva e di consumismo sessuale reciproco. E non può essere il richiamo ai valori della morale sessuale ecclesiastica (completamente annichilita dalle coperture da parte di almeno due o tre pontefici delle migliaia di reati sessuali gravissimi commessi da preti e prelati su poveri giovinetti loro fiduciosamente affidati dai genitori)a bonificare questa palude sadomasopornomaschilista e femminicida. Così mi sembra di respirare OSSIGENO PURO quando sento che, proprio nei tempi descritti dal Manzoni e contrariamente alla trama da lui descritta, ci sono state ragazze violate che, insieme ai loro genitori, non hanno avuto paura di denunciare all’autorità costituita le soperchierie del nobile che, come tanti potenti di oggi, aveva pensato ed agito per poter avere il loro corpo impunemente.
    La giustizia, anche quella sessuale (forse la più difficile ad ottenersi) può essere ANCHE di questo mondo. Basta provare a crederci e ad agire, provando ad usare non più solo l’ironia, ma anche la denuncia di quelle realtà scomode che, in nome della libertà, perpetrano l’oppressione femminile e infangano la dignità maschile.

  8. Interessante articolo che mi permette di scoprire alcune cose, tuttavia vorrei far notare all’autore che gli sgherri di Don Rodrigo non parlavano in dialetto lombardo, ma in un italiano toscaneggiante (mai sentito parlare di “andare a sciacquare i panni in Arno?”), la stessa frase citata “Questo matrimonio non s’ha da fare” ne è l’emblema, dubito che un lombardo, del 500-600 poi, parlerebbe così!
    Quanto alle fonti di ispirazione di uno scrittore possono essere innumerevoli, non vedo perché prendersela in questo modo: io credo che sia giusto riconoscere le fonti di uno scrittore, ma questo non ne sminuisce la grandezza e la fantasia.
    Quanto poi alle donne, come fa notare la signora Rosa Grillo, l’episodi di Gertrude è tutto fuorchè maschilista, gli attacchi feroci e sacrosanti contro il padre di lei e la società dell’epoca si sprecano.

  9. Interessante articolo che mi permette di scoprire alcune cose, tuttavia vorrei far notare all’autore che gli sgherri di Don Rodrigo non parlavano in dialetto lombardo, ma in un italiano toscaneggiante (mai sentito parlare di “andare a sciacquare i panni in Arno?”), la stessa frase citata “Questo matrimonio non s’ha da fare” ne è l’emblema, dubito che un lombardo, del 500-600 poi, parlerebbe così!
    Quanto alle fonti di ispirazione di uno scrittore possono essere innumerevoli, non vedo perché prendersela in questo modo: io credo che sia giusto riconoscere le fonti di uno scrittore, ma questo non ne sminuisce la grandezza e la fantasia.
    Quanto poi alle donne, come fa notare la signora Rosa Grillo, l’episodi di Gertrude è tutto fuorchè maschilista, gli attacchi feroci e sacrosanti contro il padre di lei e la società dell’epoca si sprecano. p.s: ah ehm scusate ma anche l’Adelchi è un romanzo ed è sempre di Manzoni

  10. Andando avanti nell’articolo noto delle assurdità incredibili, tra tutte è da rimarcare “Il Manzoni non crede nella giustizia umana; quindi, evita accuratamente di riconoscere il Mostro. Non gli interessa che si sappia che lo stupro è una costante storica. Accenna al caso singolo, isolato, e in forma appena velata. ”
    Allora a parte il fatto che nel romanzo si parla di altre donne molestate da Don Rodrigo, tra le altre cose di denuncia come il villaggio avesse condannato la vittima e non il suo carnefice, in ogni caso, da quello che ne so, nel libro, Lucia riesce a scampare allo stupro, scappando.
    E comunque del Male si parla eccome

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