La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Garcia Lorca è morto di vecchiaia

21-05-2009

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Il plotone dei franchisti lo avrebbero solo ferito. Sopravvive inconsapevole fra le suore di un monastero

«A circa tre chilometri dal villaggio, immediatamente sotto la cresta più alta della montagna (“la Cruz de Víznar”), hanno fatto fermare l’automobile e tutti e cinque abbiamo cominciato a scendere lungo quei pendii per un tratto di quasi cento metri, fino a un luogo dove in quel deserto senz’alberi crescevano rigogliosamente quattro o cinque giovani pini. “Là”, dissero i due ragazzi e per meglio farsi capire fecero, d’altronde senza alcuna enfasi drammatica, il gesto di tirare il grilletto. Secondo loro suo fratello [Federico García Lorca] è sepolto sotto quei pini assieme ad altre cinque persone assassinate nel medesimo luogo […] Sempre secondo loro, la terra è stata battuta e sono stati trapiantati alcuni alberelli […]  “Gli alberi crescono in fretta nei cimiteri”, ha commentato una delle nostre guide».

Così scriveva Marguerite Yourcenar, il 10 maggio 1960, a Isabel  García Lorca, sorella del poeta.

Prendendo spunto da un articolo di Guido Rampolli apparso su “Repubblica” intorno ai nomi – consegnati al giudice Baltasar Garzón – di oltre 130.000 desaparecidos spagnoli trucidati dopo la vittoria di Franco, sull’oblio riguardo la Guerra Civile imposto sì dal dittatore ma perpetuato anche dai successivi governi democratici, sul silenzio nei confronti delle fosse comuni, delle torture, sul ruolo occupato dalla Chiesa e sulla recente Legge della Memoria voluta dal governo Zapatero, salta agli occhi la notizia che, dopo anni e anni di dinieghi, la famiglia  di García Lorca abbia finalmente accettato – almeno così si spera – di permettere l’esumazione dei resti del poeta di Fuentevaqueros.

Come si sa, Federico García Lorca, venne ucciso nella notte del 18 o del 19 agosto 1936 (la sollevazione golpista contro la Repubblica era iniziata solo un mese prima, il 17 luglio) insieme al maestro di scuola Dióscuro Galindo e ai banderilleros anarchici Joaquín Arcollas Cabezas e Francisco Galadí per ordine del governatore Valdés e del generale Queipo de Llano, comandante supremo delle forze nazionaliste in Andalusia. E ora che il giudice Garzón ha deciso, assieme alla Asociación para la Recuperación de la Memoria Histórica, all’Università di Granada e a un gruppo di genetisti, archeologi, geofisici, ecc., di censire, di dare un nome e un cognome alle migliaia di repubblicani – e non solo – vittime delle vendette franchiste, le famiglie di Galindo e di Galadí hanno deciso, il 12 settembre scorso, di presentare una petizione per il recupero dei cadaveri dei familiari. Cosa che ha fatto sì che Laura García Lorca, nipote del poeta e presidente della Fondazione che porta il suo nome, decidesse di non voler più ostacolare il lavoro della commissione d’inchiesta.

A Víznar pare che possano essere state sepolte oltre 2.500 persone (nella provincia di Granada la repressione fece qualcosa come 12.500 morti, tutti, naturalmente, desaparecidos). Ma il luogo esatto non è ancora certo. Uno potrebbe essere dove oggi si trova il Parque García Lorca, così come indicato dall’irlandese Ian Gibson, massimo biografo del poeta. Altri investigatori hanno invece indicato un luogo più a sud, El Caracolar.

Ad ogni modo, la morte del poeta di Impresiones y Paisajes, del Libro de poemas, del Romancero gitano, di Poeta en Nueva York, del Llanto por Ignacio Sánchez Mejías; del drammaturgo del Maleficio de la mariposa, della Casa de Bernarda Alba, di Yerma, di Mariana Pineda, di Doña Rosita, di Bodas de sangre; dello studioso di musica popolare andalusa e del cante jondo;  la morte di un protagonista amico dei protagonisti che hanno attraversato gli anni d’oro della cultura ispanica ( Antonio Machado,  Dalí, Buñuel, Manuel de Falla, Rafael Alberti, Neruda, Guillén, Cernuda ); la morte dell’inventore del teatro popolare ambulante della Barraca; questa morte si ritorcerà fin da subito contro i suoi carnefici, poiché in pochi mesi diventerà – come scrisse Gibson – “il maggior simbolo di cui era capace il nuovo regime spagnolo”, un regime che starà al potere per quasi quarant’anni e farà inutilmente di tutto per nascondere “il sacrificio del genio di Granada”. Sacrificio – martirio – che Antonio Machado così descrisse: “Fu visto, camminando tra fucili / in una lunga strada, / uscire ai freddi campi, / ancora con le stelle, del mattino. / Uccisero Federico / quando la luce spuntava. / Il plotone dei carnefici  non osò guardargli la faccia…”

Ma se lì sotto, Federico non ci fosse? Già perché, come per molti altri famosi personaggi – da Dom Sebastião, ucciso in Africa, ma che prima o poi ritornerà in Portogallo, a Ernesto “Che” Guevara, a Antonio Gardel, che, come dicono i tassisti di Buenos Aires, “cada día canta mejor” -, anche la morte di Lorca è avvolta nel mito e nel dubbio: e se non fosse stato ucciso ma graziato all’ultimo momento? se fosse riuscito a mettersi in salvo un attimo prima? se la famiglia fosse invece riuscita a recuperare  il cadavere e l’avesse poi sepolto in un luogo noto solo a loro? se fosse stato colpito, sì, ma non a morte? Riguardo quest’ultima possibilità, è  uscito qualche anno fa in Spagna un libro – a suo modo divertente e geniale – scritto a quattro mani dagli scrittori baschi Fernando Marías (quello del crudelissimo Esta noche moriré) e Juan Bas (quello del sulfureo-gastronomico Scorpioni in guazzetto), dal significativo titolo Páginas ocultas de la historia. In un capitolo (L’altra morte di Federico García Lorca) raccontano una storia che invece di terminare con gli spari che uccidono il poeta, inizia proprio da essi. Perché, secondo questa versione,  il poeta è stato ferito da una pallottola sul lato sinistro della fronte e da altre due in corpo, una al fianco e una alla spalla: ma è ancora vivo. Viene raccolto e portato in un convento di monache, che non lo riconoscono, e che lo curano per giorni e giorni. Il ragazzo è salvo, ma la pallottola in testa gli ha lasciato dei danni irreparabili. E’ rimasto parzialmente paralizzato, vive in uno stato di profonda idiozia, può a malapena parlare e non sa assolutamente di essere Lorca, cosa che ignorano anche le monache, che infatti lo battezzano con il nome di Manuel. Di giorno aiuta le suore in giardino. Il povero Federico-Manuel morirà nel 1954 per un’emorragia cerebrale e verrà seppellito – ignoto al mondo e a se stesso – in quel medesimo convento…

Ma queste sono storielle. Aneddoti. La verità è che dopo oltre settant’anni dall’inizio della Guerra Civile si continua a indagare, a scrivere, sia saggi, sia romanzi, su quel periodo. Probabilmente c’è ancora molto da scoprire, e non solo sotto terra,  riguardo le responsabilità interne e internazionali, le colpe, gli errori, da una parte e dall’altra degli schieramenti (senza con questo cadere nel revisionismo becero di un discutibile storico quale lo spagnolo Pio Moa o di qualche suo nipotino italiano).

E forse, per concludere, non c’è modo migliore che ricorrere ancora una volta alle parole di Marguerite Yourcenar (tratte dal volume einaudiano Lettere ai contemporanei): «Quello che volevo soprattutto scriverle, è che abbandonando il luogo che ci era stato indicato […], mi sono voltata a osservare la montagna spoglia, il terreno arido, quei pochi pini che crescevano rigogliosi nella solitudine […] e mi sono detta che un tale luogo ci fa vergognare della paccottiglia di marmo e di granito di cui sono fatti i nostri cimiteri, al punto da invidiare suo fratello che ha trovato la morte in questo paesaggio d’eternità. […] è certo che non si potrebbe immaginare per un poeta una tomba più bella».

E, al di là di qualsiasi motivazione storica, o politica, o legale, forse, per Federico García Lorca, non c’è monumento migliore di quei “quattro o cinque giovani pini”, di quegli alberi che “crescono in fretta”.

NOTA

La prima traduzione in Italia di Garcia Lorca è uscita a Parma 1939, editore Guanda ( allora insegnante all’università ), traduttore Oreste Macrì. La collana era curata dal giovanissimo poeta Attilio Bertolucci. Per ignoranza o disattenzione la censura fascista ha concesso l’imprimatur e il libretto ha fatto il giro d’Italia. ( Ip.Mau. )

Paolo ColloPaolo Collo (Torino, 1950) ha lavorato per oltre trentacinque anni in Einaudi, di cui è tuttora consulente. Ha collaborato con “Tuttolibri” , “L’Indice” e “Repubblica”. Ogni settimana ha una rubrica di recensioni su "Il Fatto Quotidiano". Curatore scientifico di diverse manifestazioni culturali a Torino, Milano, Cuneo, Ivrea, Trieste, Catanzaro. Ha tradotto e curato testi di molti autori, tra cui Borges, Soriano, Rulfo, Amado, Saramago, Pessoa.

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