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Raniero LA VALLE – Gli italiani sono matti se i loro giornali non applaudono Berlusconi: decreto del ministro Scajola

29-04-2010

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C’è un libro intitolato “Corrispondenza negata” in cui sono pubblicate le lettere che il manicomio di Volterra intercettava e sequestrava, sia che fossero lettere scritte dai ricoverati, sia che fossero lettere a loro dirette. Prima della riforma, quando i manicomi erano quelle istituzioni totali che Basaglia e gli Psichiatri Democratici dovevano denunciare e far chiudere, ai pazienti veniva tolto il diritto di comunicare, e la loro corrispondenza era pertanto “negata”. Inutile dire che molto spesso si trattava di lettere bellissime, e che tutti ci avrebbero guadagnato se avessero potuto essere spedite e ricevute.

L’Italia di oggi non è ancora una istituzione totale, ma sotto l’imperio del “centralismo carismatico” di Berlusconi, come lo ha chiamato spietatamente Gianfranco Fini, un manicomio lo è, anche se le persone disturbate sono più nelle stanze della direzione che nei reparti delle vittime; è infatti lì, in direzione, che siede chi vede comunisti dappertutto, sostiene che la mafia sia creata dall’antimafia e si crede un padreterno perseguitato da giudici cattivi. In ogni caso, istituzione totale o manicomio, chi ha il potere oggi in Italia ha deciso che la corrispondenza vi deve essere negata. Un decreto interministeriale piombato come un fulmine ed entrato in vigore dall’oggi al domani, dal 30 al 31 marzo scorso, ha intercettato infatti la spedizione di riviste, agenzie di stampa, lettere circolari, giornali del terzo settore e delle istituzioni no-profit, revocando le tariffe agevolate da sempre in vigore e imponendo che le spedizioni editoriali siano pagate a tariffa piena, come per tutti gli altri “prodotti postali”. Ciò perché la presidenza del Consiglio ha stanziato per questa spesa sociale appena 50 milioni di euro, che sono bastati solo per il primo trimestre di quest’anno, e il ministro Scajola si è affrettato ad emettere un decreto per abolire le agevolazioni esistenti dal secondo trimestre in poi.

Il provvedimento del governo provoca un insostenibile aumento dei costi, a carico di organizzazioni certo non ricche, vanificando tutti i risparmi da queste realizzati anche a costo di duri sacrifici, e a molte testate toglie la parola e la possibilità stessa di sopravvivere. La misura vessatoria colpisce anche Rocca e una miriade di pubblicazioni che rompendo il monopolio del pensiero unico mediatico e televisivo, introducono nella società varianti culturali importantissime e costituiscono una delle maggiori ricchezze del Paese.

È chiaro che questo blocco della comunicazione culturale, politica e religiosa diffusa nel territorio, non interessa affatto a chi per adulare se stesso e ammaestrare gli elettori si può permettere di spedire venti milioni di lettere a destinatari proditoriamente raggiunti che, se interpellati, avrebbero forse preferito restare tra i “non avvalentisi” di tale ammaestramento. Ma in un Paese dove tutto si paga, salvo il fatto che come dice la demenziale campagna pubblicitaria del ministro Bondi si può “guardare gratis il pavimento”, alzare i prezzi della comunicazione tra persone e culture vuol dire semplicemente interromperla; mentre se tutto si privatizza e viene abbandonato alla legge del profitto e del mercato, il potere pubblico perde ogni funzione correttiva e compensativa rivolta al bene comune e alla tutela dei soggetti più deboli. Decidere che tutti i servizi di interesse pubblico debbano essere pagati a prezzi di mercato sarebbe come decidere che i sardi debbono raggiungere la Sardegna a nuoto o che le piccole isole oggi rifornite di acqua dalla Marina militare devono aspettare la prossima pioggia per bere, o che i bambini di famiglie non abbienti debbono essere esclusi dalla refezione scolastica o sperare che arrivi il conclamato benefattore.

Non si possono risanare le Poste al prezzo di una corrispondenza negata nel Paese. A meno che la verità non sia ancora più amara, e che il vero scopo non sia di migliorare il bilancio delle Poste italiane, ma di usare questo bilancio per soffocare le voci libere e impedirne la diffusione. L’ipotesi sarebbe temeraria, se non risultasse da molti segni che una tale misura vendicativa sarebbe non troppo lontana dalla mentalità del despota immaturo e pericoloso che ci governa. La drammatica dimostrazione data da Fini che non esiste un partito del “Popolo della libertà”, ma esiste solo la Lega secessionista e una platea plaudente di sudditi di Berlusconi, apre una crisi sanabile solo per via elettorale che, se si saprà trovare la necessaria unità, dovrebbe permettere all’Italia di liberarsene.

Raniero La Valle è presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione. Ha diretto, a soli 30 anni, L’Avvenire d’Italia, il più importante giornale cattolico nel quale ha seguito e raccontato le novità e le aperture del Concilio Vaticano II. Se ne va dopo il Concilio (1967), quando inizia la normalizzazione che emargina le tendenze progressiste del cardinale Lercaro. La Valle gira il mondo per la Rai, reportages e documentari, sempre impegnato sui temi della pace: Vietnam, Cambogia, America Latina. Con Linda Bimbi scrive un libro straordinario, vita e assassinio di Marianela Garcia Villas (“Marianela e i suoi fratelli”), avvocato salvadoregno che provava a tutelare i diritti umani violati dalle squadre della morte. Prima al mondo, aveva denunciato le bombe al fosforo, regalo del governo Reagan alla dittatura militare: bruciavano i contadini che pretendevano una normale giustizia sociale. Nel 1976 La Valle entra in Parlamento come indipendente di sinistra; si occupa della riforma della legge sull’obiezione di coscienza. Altri libri “Dalla parte di Abele”, “Pacem in Terris, l’enciclica della liberazione”, “Prima che l’amore finisca”, “Agonia e vocazione dell’Occidente”. Nel 2008 ha pubblicato “Se questo è un Dio”. Promotore del “Manifesto per la sinistra cristiana” nel quale propone il rilancio della partecipazione politica e dei valori del patto costituzionale del ’48 e la critica della democrazia maggioritaria.
 

Commenti

  1. Caro Raniero, condivido la tua opinione circa la sussistenza di “matti”. E’ vero quel che lessi un giorno all’ingresso di uno dei manicomi (andai lì per un lavoro)ora chiusi:”Lo siamo, ma non tutti ci siamo!”. Io sono più delicato di te: ho paragonato questo governo a quello “eletto” nella “Fattoria degli animali” (povero Orwell) ed alla fime mi son detto che la “recita” dei personaggi umani (premier, ministri e ministresse per meriti speciali), supera abbondantemente la fantasia orwelliana. Nella Fattoria, vorrei ricordarlo a me stesso, comandava un maiale e quel maiale non sapeva nemmeno chi fossero le “escort”…

  2. Adele Emma Masini

    Lo scandalo primo – anche se il paese non se ne è mai preoccupato e digerisce tutto – è che uno come Scajola sia ministro!
    A parte che il suo solo “merito” sia quello di essere uno dei tanti Yesmen del Sultano, l’elenco dei suoi scandali è veramente notevole anche nel ricco quadro del PDL. Il rompicoglioni a Biagi, gli aerei e l’aeroporto a sua esclusiva dipendenza, ora l’appartamente acquistato nel modo che è emerso. Se questo è l’andazzo aspettiamoci da lui grandi cose…
    Adele

  3. Caro Raniero, la tua nota è calzante e terribile. Se penso alle tante pubblicazioni che ho letto e leggo tuttora, anche per il mio lavoro, e al fatto che probabilmente sarà difficile riuscire a garantire la loro diffusione nel futuro prossimo, mi sento stretta in un lager. Tra l’altro, molte di quelle pubblicazioni sono prodotte da Associazioni di matrice cattolica, o da gruppi di persone che hanno resistito e reagito alla mafia costruendo un terreno di riscatto per tanti giovani e tanti territori…come pensano i personaggi cui ti riferisci di coniugare la loro fede religiosa – che usano come uno scudo intoccabile quando si tratta di opporsi veementemente a scelte etiche contrarie, ad esempio, alle indicazioni della Chiesa cattolica, imponendo un’etica non condivisa – con le tante vessazioni che impongono ad un mondo che – al netto delle speculazioni – nel suo complesso vuole diffondere e presidiare la solidarietà, l’accoglienza, l’integrazione? La cosa che mi sconvolge di più è il fatto che gli italiano sembrano indifferenti e acquiescenti, non riescono neanche a vedere quello che capita al loro ristretto mondo personale (precarietà, licenziamenti, “terza settimana”, istruzione negata, …), hanno perso qualsiasi capacità di pensare con la propria testa e di “riflettere” il mondo e sul mondo e plaudono come tanti yesmen alle pesanti falsità che vengono loro propinate. Tu sostieni – e auspichi – che una ritrovata unità possa chiudere questo capitolo distruttivo e avviarne un altro. Io ci credo, alla forza dell’unità, ma in nome di che cosa? Anche il “berlusconismo” è diventata una parola di propaganda, piuttosto che la definizione di un inedito tipo di regime reazionario di massa e sono convinta che se l’unità non viene cercata non solo in nome dell’antiberlusconismo, quanto piuttosto di un’alternativa al modello sociale strutturatosi nel tempo, riconoscendo la sua stretta correlazione con un sistema politico funzionale alle discriminazioni, alla rottura delle solidarietà e quindi della coesione di un popolo e alle derive egoistiche e autoreferenziali, cui la fine di una reale istruzione generalista offre un terreno di coltura notevole, non sarà possibile enucleare quell’unità necessaria che tu auspichi. Da sempre, per comprendere, i popoli hanno bisogno di poche, chiare parole che sappiano definire senza equivoci l’orizzonte dei propri interessi. E gli interessi dei “deboli” (ora, anche intellettualmente deboli) sono solo alternativi a quelli dei forti. Una società complessa è complessa da capire e da governare. Ma questo non significa che le premesse debbano essere ab origine una mediazione di e tra poteri forti, che esclude il conflitto tra gli interessi dall’agenda politica. Buon lavoro!

  4. paolo bertagnolli

    Appunto: se saremo in grado di trovare UNITA’, ma la sinistra, mi sembra, continui a frazionarsi e, quindi, è destinata a perdere.
    Uniammoci su alcuni punti: difesa della Costituzione, diritto al lavoro, no alla guerra. Pochi punti, ma fondamentali per la vera democrazia

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