La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

Società »

Jobs ha creato il gruppo più capitalizzato del mondo. Tecnologia alla portata di consumatori in grado di svenarsi. Negli ultimi anni la sua Apple è stata il simbolo più deleterio della globalizzazione: decine di suicidi in Cina per lo sfruttamento crudele. Un grande, ma ricordarlo come uomo della provvidenza è esageratamente esagerato

Il marketing funerario sul padre di Apple: vendeva i prodotti più cari del 30 per cento sfruttando con crudeltà piccoli laboratori cinesi

07-10-2011

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Steve JobsI lutti non sono il momento adatto per le puntigliosità ma per la celebrazione del caro estinto. Tuttavia la morte di Jobs si è trasformata nell’ennesimo evento globale. Così il segno encomiastico rischia di impedire una valutazione equanime, sul personaggio, sull’impresa a maggior capitalizzazione al mondo e su un’epopea dove non tutto luccica. Siamo di fronte ad un’operazione di marketing funerario sulla quale è bene riflettere brevemente.

  • 1. Le invenzioni di Steve Jobs, spesso un passo avanti a tutti e a volte dei veri capolavori soprattutto dal punto di vista estetico, sono sempre stati dei prodotti di fascia alta per consumatori in grado di spendere (o svenarsi). Al dunque quel costo di un 20% in più rispetto ad un Sony Vaio o 30% in più rispetto ad un Toshiba Satellite, il surplus che ti garantisce lo status symbol per fare quasi sempre le stesse cose, te lo devi poter permettere.
  • 2. I prodotti simbolo degli ultimi dieci anni, ipod, iphone, ipad, sono stati presentati come una rivoluzione universale. Nonostante le centinaia di milioni di pezzi venduti (e quindi un indiscutibile successo di marketing) la vera innovazione, quella che cambia davvero il mondo, non è quella per chi se la può permettere ma quella per tutti. Tra il notebook da 35$ annunciato dal governo indiano (il prossimo Steve Jobs verrà da lì) e il più fico degli ipad c’è la stessa relazione che c’è tra il vaccino anti-polio e un brevetto contro la caduta dei capelli.
  • 3. È giusto che un capitano d’industria si prenda i meriti dei prodotti innovativi che licenzia, soprattutto quando il gruppo che dirige diventa quello a più alta capitalizzazione al mondo. Ma sta restando nell’ombra che, soprattutto in campo tecnologico e in pieno XXI secolo, vi dev’essere sì una visione di fondo (che può essere anche di una persona sola), ma vi è soprattutto un lavoro di gruppo, anzi di molti gruppi ed un continuo confronto perfino con la concorrenza. Senza Steve Jobs non avremo l’ipad come lo conosciamo ma non è vero che non avremmo lo smartphone (probabilmente il più grande salto in avanti dalla diffusione del personal computer). Insomma un grande, ma presentarlo come l’uomo della provvidenza è esagerato.
  • 4. La concezione proprietaria della Apple su software e brevetti è ben più che per il mondo Windows l’esatto opposto del software libero, dell’open source e della libera circolazione dei saperi. Lo stesso Jobs ammise di non inserire nell’iphone la possibilità di ascoltare la radio via etere (un banale chippino da pochi centesimi presente in qualunque cellulare da 40 Euro in su) perché dall’ascolto della radio non poteva lucrare. Ma il profitto appare solo una giustificazione rispetto alla maniera orwelliana con la quale l’iphone o l’ipad continuano ad essere controllati dalla Apple e non dal legittimo proprietario. Se non permettete ad un estraneo di entrare in casa vostra per portarsi via un libro o un disco o per spostare un soprammobile, perché accettate che Apple lo faccia sul vostro telefono?
  • 5. La Apple di Jobs è stata in questi anni una delle imprese simbolo del mondo globalizzato nel più deleterio dei modi possibili. Dalle accuse di mobbing alle documentate orribili condizioni di lavoro in Cina (vedi alla voce Foxconn) con decine di casi di suicidi denunciati, Jobs non è mai stato meglio della Nike, della Monsanto, della Coca-Cola o dell’ultimo padrone delle ferriere. L’esteticità, la bellezza, l’innovazione tecnologica più spinta (ma parliamo sempre di prodotti consumer, l’avanguardia vera è in altri campi) si sono sempre sposate con le più vecchie e conosciute pratiche dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Steve Jobs invitava a pensare differente (“Think different” fu uno degli slogan più efficaci) ma sui rapporti di produzione pensava molto antico.
Gennaro Carotenuto insegna Storia del Giornalismo presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Macerata. Giornalista pubblicista, dal 1998 collabora con programmi di Radio3 Rai e il trimestrale "Latinoamerica" dove scrive dal 1992. Ha lavorato o collaborato con quotidiani come El País di Madrid, La Stampa, La Jornada. Dal ‘97 è analista di politica internazionale ed è socio della cooperativa editoriale del settimanale uruguayano Brecha. Nel 2005 ha pubblicato "Franco e Mussolini, la guerra vista dal Mediterraneo", Sperling&Kupfer, Milano. Nel 2007 ha curato il volume "Storia e comunicazione. Un rapporto in evoluzione", EUM. Nel 2009 è uscito "Giornalismo partecipativo. Storia critica dell'informazione al tempo di Internet", Nuovi Mondi.
 

Commenti

  1. lia masi

    e’ PREZIOSO CONOSCERE DI OGNI QUESTIONE ANCHE IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA E TENERNE CONTO.Effettivamente quello che stiamo attraversando è il tempo delle grandi esaltazioni e delle grandi demonizzazioni pilotate cioè delle grandi ‘chiese’ di riferimento a cui si delega la faticosa responsabilità di valutare e decidere,E’ anche il tempo delle rivelazioni informate e documentate, tuttavia tutti questi messaggi si intrecciano fra di loro, spesso senza confronti frontali, senza duello ad armi pari.Chi li riceve cede alla pigra tendenza personalizzata di avere conferme convenienti ad proprio ‘pensare’ preconcetto e si fà partigiano tout course. E’ così che si formano le schiere di fans e le maggioranze sorde ad ogni confronto con la realtà, anche la più evidente.Intaccaccarne la fideistica cecità è l’impresa più improba.

  2. stefano berta

    si dice anche che lui non inventasse niente, ma era il suo staff a fare tutto.
    comunque, RIP!

  3. Domenico Falconieri

    Credo che sia facilmente intuibile che non inventasse direttamente. Non penso che ne avrebbe avuto la capacità e, soprattutto, il tempo. Ritengo che desse delle linee guida, rivedendo e suggerendo miglioramenti sui prototipi che gli venivano presentati di volta in volta.
    Sullo sfruttamento dei lavoratori della Foxconn credo che abbia responsabilità, ma solo indiretta.

  4. Renato Burri

    Il giornalismo da sciacalli dall’inizio dell’era del berlusconismo si è diffuso sino a propagarsi nelle aree di cultura ove un tempo erano la terra d’origine della dialettica e dell’indipendenza dell’informazione scevra da interessi economici di parte.
    Devo prendere atto purtroppo che il sapere e l’autenticità dell’uomo giornalista si è sostituito all’ignoranza generalizzata e alla vacuità dell’essere che professa tal mestiere.
    Non ho tempo per rispondere alla sua confusa esternazione, meritoria non si sa da chi (?) di essere persino pubblicata anche se soltanto su un sottoprodotto della medialità della rete, ne ho tempo per indicarle elementi conoscitivi che possano darle un contributo per arrichire l’esigua letteratura che ha a tal proposito. Non le faccio una colpa per le balzane che ha scritto, ne per la tempistica da avvoltoi attuata, tutti noi in questo pianeta necessitano giustamente di sopravvivere.

  5. Nicola Tuzzabbanchi

    La Legge è solo Una, antica, eterna ed immutabile nel tempo: la ricchezza di uno costa il sangue di molti.

  6. pedro alvares

    angeli e demoni. demonizzare equivale ad esaltare. manchi alla fine di oggettività. in fondo in fondo questo giornale e la possibilità di scriverci quello che scrivi (bella libertà vero?) senza la apple e steve job (tutti sanno non avesse un gran bel carattere) non credo l’avresti forse mai avuta. le visioni staliniane non portano da nessuna parte. il capitalismo crea le condizioni per il proprio superamento. sennò saremmo rimasti col saio a scrivere sulle pergamene e a condannare al rogo i bruno e i galilei. salute
    ps il vecchio resta vecchio. cieco non vede il nuovo ma il nuovo è già nato.

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