La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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La caduta di Bagdad? Colpa dell’ “altro”. Ma l’altro chi è?

13-08-2009

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Il dramma della “capitale della paura”  nell’analisi di un giovane intellettuale iracheno.

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Fonte: http://www.notitarde.com

Fonte: http://www.notitarde.com

Nei media, come negli altri spazi del “discorso pubblico” nel mondo arabo, il termine comune usato per descrivere l’invasione americana dell’Iraq nel 2003 è “la caduta di Baghdad”. Questa metafora potrebbe essere compresa, e anche relativamente giustificata, se solo la parola “caduta” avesse la stessa connotazione del sinonimo arabo: Suqut. Letteralmente, significa “cadere da un´altezza”. Espressione che serve a descrivere un fenomeno sociale o politico; indica concetti come declino, collasso, o decadenza etica. Non importa in quale degli oltre 22 dialetti arabi viene usata, il peso negativo dell’espressione non è trascurabile. Andiamo oltre il significato lessicale e addentriamoci nel contesto storico. In una regione dove il passato vive e talvolta domina il presente, e dove i libri “antichi” hanno più valore di quelli “nuovi”, “la caduta di Baghdad” è una espressione di grande impatto. Metafora è stata usata in letteratura a proposito del crollo dell´impero islamico. L´invasione di Baghdad, la sua capitale, ad opera dei “barbari” Mongoli nel 1258, simboleggia l’apice di questa tragedia. La descrizione della recente invasione da parte degli americani definita “la seconda caduta di Baghdad”, esprime la profonda frustrazione che si respira nella regione. Eppure, è naive pensare che la storia possa ripetersi: le differenze fra le due “cadute” sono probabilmente maggiori delle loro similitudini. Per esempio, la prima caduta si riferiva ad un potente impero islamico, i cui orizzonti geografici comprendevano 29 paesi. Ma quando le truppe americane sono entrate a Baghdad, Bagdad era una città del terzo mondo, esausta da 13 anni di sanzioni economiche, 35 anni di socializzazione totalitaria, e 23 anni di militarismo. Lo scrittore iracheno Kenaan Mekia l´ha definita “ più la capitale della “repubblica della paura che capitale rigogliosa di un impero. Demolita dall´embargo, ma anche dalla oppressione politica che ha obbligato gli intellettuali indipendenti a scegliere fra due alternative: uscire dal paese, o morire. La classe media è stata gradualmente e sistematicamente distrutta e la povertà ha raggiunto i suoi livelli più alti in 50 anni. Il sistema educativo è stato deteriorato e le scienze sociali ignorate. “Non c´è bisogno di teorici in un paese governato dalla teoria del partito Baath”, disse in una occasione Saddam Hussein. Docenti universitari e famosi accademici sono dovuti fuggire dall´embargo economico o da quello politico: forse da entrambi. Attorno al centro di Baghdad, le bidonville rifugio di milioni di poveri e marginalizzati, impegnati a sopravvivere in condizioni disastrose. Ed ora, qualcosa è migliorato? Magari no: ma non ci occupiamo di questo, ora. La questione è: se la parola “caduta” si riferisce al collasso, al declino, alla decadenza etica, forse Baghdad non era già caduta molto prima della resa militare? La caduta militare non è stata allora il mero risultato di un più profondo indebolimento?

Fonte: http://bitsofbrain.wordpress.com/

Fonte: http://bitsofbrain.wordpress.com/

La mentalità dominante nel mondo arabo tende a focalizzarsi sul “pericolo esterno”, e sulle minacce provenienti dagli “altri”. I limiti e le divisioni sociali interne sono usualmente negate: ciò è spesso giustificato in nome della protezione della società dalla “fitna”, una parola araba riguardante il pericolo di conflitto sociale. A questo fine, viene sfruttato un detto del profeta Maometto “alfitna ashadu minalkhatl: la fitna è più pericolosa dell´omicidio”. Oggi, non si tratta più solo di una prospettiva, bensì di una cultura. “La caduta di Baghdad” è diventata un film egiziano, che in verità dice più sulla “caduta del cinema egiziano” (un tempo il migliore e più illuminato della regione), che sulla caduta stessa di Baghdad. La caduta non viene percepita, nella realtà o nella iperrealtà, a meno che venga descritta come un cambio drammatico dal buono al cattivo. Baghdad forse stava meglio prima della “caduta”? E, se stava meglio (come molti arabi sosterrebbero e nonostante le onnipresenti foto dei villaggi curdi la cui popolazione è stata estinta in pochi minuti con armi chimiche), stava bene? Quale è lo standard per “buono” e “cattivo” quando passi da una situazione nella quale la polizia segreta bussa alla tua porta alle 4am per consegnarti il cadavere di tuo figlio o di tuo fratello, chiedendoti di pagare loro il prezzo della pallottola con la quale lo hanno giustiziato, ad una situazione in cui tuo figlio o tuo fratello potrebbero essere uccisi semplicemente perchè purtroppo, ha attraversato un ponte da un´area sciita o sunnita verso un´altra, sunnita o sciita.

Quando la morte è una realtà quotidiana e la sua eventualità è ugualmente probabile quanto improbabile, cambia qualcosa che l’assassino abbia una identità diversa, un nome diverso? Nel mondo arabo, la risposta è: sì. Quando l’uccisione, come l’ “occupazione” è “non-araba”, sarà fortemente condannata. Quando l’assassino, come l’occupatore, è arabo, la sua azione riceverà l’appoggio di molti, se non della maggioranza. Il modo in cui la parola “caduta” viene concettualizzata in questa regione, dice molto della ipocrisia e della mancanza di auto-critica.

bagdadEcco perchè “la caduta di Baghdad” ad opera della invasione Americana è stata filmata. Ed ecco perchè la precedente caduta -a lungo termine- di Baghdad sotto il totalitarismo rappresenta ancora una storia non raccontata. La fantasia dei “neo-con” sull´Iraq “post-liberazione” come un “paradiso democratico” non è meno ridicola della fantasia degli arabi sull´Iraq “migliore”, quello previo alla occupazione. Ma coloro che hanno prodotto quel film erano preoccupati di rappresentare la versione mainstream, presentata su basi quotidiane da Al-Jazeera e altri canali arabi. Dal momento che non hai sufficiente libertà politica per criticare i regimi regionali, nè la necessaria tolleranza sociale per svelare le profonde divisioni, il modo più facile è fare quello che tutti sono abituati a fare qui: dare la colpa all´ “altro”. Non solo è la scelta meno pericolosa, è anche quella più popolare.

I regimi arabi incoraggiano questa tendenza di disfarsi di ogni responsabilità circa i dilemmi più importanti (es. la mancanza di libertà politica, i sistemi non democratici, il fallimento delle ideologie ufficiali, la povertà, il diffondersi dell´intolleranza settarea e religiosa). La “gente” accetterà questo perchè giustifica la sua “incapacità” di promuovere un cambio, e giustifica altresì la deprimente stasi socio-politica con l´argomento della “cospirazione esterna”. Quest´ultima è la cura adeguata per una mente stanca, esausta dalle frustrazioni della vita quotidiana, senza la forza di partecipare al gioco del pensiero. Analizzare criticamente fenomeni sofisticati non è una professione ambita in questa parte del mondo. E perchè dovrebbe esserlo? Nessuno ha bisogno di intellettuali indipendenti dal momento che ci sono tutte queste “teorie” pre-fabbricate che possono offrire ogni tipo di spiegazione, meno una valida. Ti racconteranno dell´occidente, dell´imperialismo, di Israele, della CIA, del Mossad, i templi della massoneria, i protocolli dello Sionismo, le multinazionali…Si tratta sempre di “loro”, mai di “noi”. Ovviamente, sarebbe ingenuo negare il fatto che l´occidente e gli Stati Uniti hanno fatto il massimo possibile per perpetuare lo status quo, per difendere le dittature, e per perseguire i propri interessi, alle volte sulla pelle degli interessi delle persone. Ma rendere questo fatto l´unica causa e ignorare i complessi e cronici dilemmi relativi alla “fitna”, è solo una via di fuga. Per affrontare i problemi, occorre prima riconoscere che esistono.

In questo senso, è difficile negare che grandi città storiche del Medio Oriente come Baghdad, Il-Cairo, Damasco, Alessandria, Beirut e Bassora, stiano sperimentando una sorta di “caduta”. Celata, radicata, di lungo termine. Quando queste città non sono più in grado di produrre creatività, di sorprendere, di rispondere alle domande dell´Oggi, stanno cadendo. La caduta può essere sentita nelle dimensioni vitali della politica, della cultura e della società di questi luoghi. E´ rivelata nelle silenti tensioni sociali che non trovano spazio per sfogarsi. Nel caos che attende che i pugni di ferro si allentino. Nella rabbia soffocata da tanto tempo che diventa furia irrazionale diretta a qualsiasi target facile. Nello “ssshh”, che è diventato la risposta dei padri alle domande dei figli. Nelle società dove le nuove generazioni vengono socializzate a conoscere i loro “limiti”, non i loro “diritti”. Quando la fobia del futuro e dell´ “altro” domina il pensiero delle persone, quando la società si nasconde dietro i muri del “sacro”, resistendo la possibilità di togliere la polvere dai tabù del passato, quando la società è suscettibile di “provocazione” in presenza di qualsiasi forma “diversa” di pregare, scrivere, comportarsi, e quando l´ “idea” viene minacciata dalla forza o dall´uso della forza, possiamo parlare di “caduta”. La caduta più reale e più dolorosa può essere vista nel graduale affievolimento della tolleranza cittadina, nella sua impossibilità di integrare chi viene dalle aree rurali marginalizzate e ignorate, cercando di realizzare i propri sogni; quando queste persone sono rinchiuse nelle bidonville e quartieri periferici, come è il caso di milioni di persone a Il Cairo, la cui esistenza è invisibilizzata per favorire il business del turismo. Proprio in questi contesti di rabbia e repressione, investe pesantemente il businness del terrorismo. Il Cairo, un tempo epicentro culturale e leader del rinascimento arabo, ha dimenticato i suoi grandi pensatori, i suoi autori e i suoi scrittori come Taha Hussein, Najib Mahfoudh, Yussif Adress, e Tawfiq Alhakim, che hanno protagonizzato il rinnovamento della letteratura del ventesimo secolo. Sono stati sostituiti dai nomi di cantanti analfabeti o teologi estremisti, che oggigiorno si dividono fra di loro il potere sulla sfera “culturale”. Il filosofo Faraj Fouda, è stato ucciso negli anni ´90 dopo una lezione sulla “laicità”. Nasr Hamed Abu Zaid, un rispettato accademico e specialista del pensiero islamico, è stato obbligato all´esilio dopo minacce di morte e dopo essere stato costretto a divorziare perchè era diventato un murtad: un infedele. Saied Al-Fiqi, autore di molte enciclopedie accademiche di storia islamica, è stato minacciato diverse volte; recentemente è stato accusato in tribunale di avere “insultato” l´Islam, una accusa che, se provata, potrebbe assicurargli l´ergastolo. Baghdad, la storica capitale dell´era d´oro araba, ha perso da diversi decenni ogni tipo di rispetto per la creatività e il pensiero indipendente. Ali Al-wardi, uno dei migliori sociologi arabi e la figura prominente dello studio delle società arabe, è morto negli anni ´90 senza ricevere un funerale ufficiale nemmeno nel Dipartimento di Sociologia dell´Università di Baghdad, che lui stesso aveva fondato. Perchè? Perchè, semplicemente, non aveva lodato il regime di Saddam. Poco tempo fa, uno dei gruppi religiosi ha distrutto la sua “tomba” per espandere la loro “moschea”. Quella che un tempo era la sede del movimento poetico moderno, liderato da uno dei più grandi poeti arabi del ventesimo secolo, Badr Shaker Al-Sayab, è oggi una città tappezzata da foto di teologi, e dove le milizie di fanatici religiosi analfabeti dominano la vita privata delle persone, alle volte accanto alle truppe britanniche, che in passato avevano la loro base qui. Un tempo la culla della prima civiltà e il luogo dove fu inventata la “scrittura”, la Mesopotamia irachena è oggi una terra desertificata. Qui c´erano le Marshlands, secondo gli antichi, corrispondenti ai Giardini dell´Eden dove presumibilmente Adamo è approdato dopo il Paradiso, e dove Gelgamish, l´eroe mitologico, ha cercato l´albero dell´eternità. Ora è diventata una zona arida da quando il regime di Saddam ha deciso di prosciugarla al fine di impedire agli “insurgenti” di nascondersi fra le sue alte canne. Con le enormi dighe costruite dalla Turchia sul bacino del fiume Eufrate, e il rifiuto di attuare progetti di conservazione ambientale di lungo periodo, questo storico fiume potrebbe scomparire, pertanto stravolgere l´ecosistema dell´intera Mesopotamia. I fiumi non hanno alcun valore nella regione dominata dal petrolio; questo vale anche per le culture connesse ai fiumi. Non sorprende quindi che i paesi del Golfo, specialmente l´Arabia Saudita, stiano controllando il mondo arabo, includendo anche le produzioni culturali. Nessun lavoro mediatico può essere prodotto senza i soldi del Golfo. Dagli anni ´80, la cultura del “Golfo” è diventata più forte, dando inizio alla “nomadizzazione” della coscienza araba. Usama Anwar Ukasha, uno dei migliori scrittori e sceneggiatori televisivi dell´Egitto, ha dichiarato in una intervista che la cultura egiziana è stata distrutta dalla “saudizzazione”. Milioni di lavoratori egiziani, libanesi, siriani e iracheni sono partiti verso il Golfo cercando opportunità economiche. Tornano nei propri paesi imbevuti della cultura wahabista, che include il niqab (tunica femminile con fessura per gli occhi) e altre restrizioni islamiche. In Arabia Saudita, le decapitazioni pubbliche dominano l´80% dei media arabi. A che tipo di socializzazione si sottoporrà il pubblico e che tipo di ruolo avranno questi media nell´ “informare” lo stesso?

Pertanto, quando i fiumi della Mesopotamia agonizzano, e le anziane ridotte a raccogliere il sale dalle rive spoglie, si preparano a prossimi anni di carestia, fa qualche differenza l´avere una bandiera, un inno e una appartenenza alla comunità delle “nazioni indipendenti”? Quando la dignità dell´essere umano viene umiliata quotidianamente dal governo “nazionale”, quando il cittadino viene obbligato a partecipare a guerre ingiustificate, mentre il plotone di esecuzione lo attende dietro la linea del fronte, e quando gli viene detto che è suo dovere combattere il “nemico”, ed è un tradimento chiedere perchè, cosa c´è di tanto glorioso nell´essere quel “cittadino”? Quando le università diventano istituzioni che riproducono i miti del passato, e ai suoi professori è richiesto diventare i “soldati mentali” che proteggono la nostra “identità” dai pericoli delle “idee dell´Altro”; quando i riformatori vengono trascinati in tribunali e accusati di causare fitna, quando la linea fra quello che sei e quello in cui credi è completamente sfocata, e scompare la differenza fra la tua esistenza fisica e la tua attività mentale, l´ “identità” sarà una risorsa sufficiente per avere un futuro migliore?

Se quindi la caduta non si riferisce unicamente alla presenza, usualmente temporanea, di soldati stranieri nel territorio del tuo paese, se ha un significato più profondo rispetto alla espressione di odio per lo straniero “usurpatore”, è valido dire, che Baghdad non è stata l´unica città del mondo arabo a cadere, e anche se fosse, la sua caduta è molto più antica rispetto al giorno in cui Bush ha dichiarato “missione compiuta”.

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Traduzione di Azzurra Carpo

Harith Al-QaraweHarith Al-Qarawe è un ricercatore in scienze politiche e mass media. Autore di saggi in arabo e in inglese su fenomeni socio politici del mondo arabo, collabora con giornali di Amman e degli Emirati Arabi Uniti.. Master in Scienze Politiche all’ università di Bagdad e master sulle Comunicazioni alla Leeds University.

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