La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

Mondi » Oriente »

La Cina dopo Obama e 20 anni dopo Tienanmen

20-11-2009

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“Non sorprende che gli studenti di Pechino si disinteressino della politica.  Noi  stranieri liberi di muoversi, incontrare amici cinesi senza ombra al seguito e telefoni spiati. Sembra un mondo nuovo e diverso da ciò che abbiamo letto nel passato. Speriamo sia davvero così “

Pechino – Nell’anno in cui si celebra pomposamente il sessantesimo anniversario della Rivoluzione, e in cui si cercano di spazzare via le ceneri della strage di Piazza Tienanmen di vent’anni fa, forte del grande successo d’immagine dei Giochi Olimpici e di Obama che è partito da Pechino a mani vuote, la Cina del nuovo millennio si presenta sulla scena mondiale agghindata in abiti eleganti, incoraggiata e inorgoglita dal proprio crescente potere economico e dal rispetto internazionale delle grandi potenze, guadagnato in oltre quindici anni di sviluppo astronomico e di una saggia politica estera votata alla non-interferenza.

Sono questi vent’anni silenziosi, anni che iniziarono con la repressione violenta di un generalizzato desiderio popolare di sfida verso il governo, ad aver segnato il più grande cambiamento nella storia della Cina comunista. Lo sviluppo economico degli ultimi due decenni ha infatti lanciato la Cina tra le prime potenze globali, segnando profondamente lo sviluppo sociale e l’identità collettiva, cresciuta più nazionalista e orgogliosa. Un ventennio che, in altre parole, era iniziato con l’uso del pugno di ferro verso ogni sussulto libertario, e che è terminato con un miracolo economico che nessuno si aspettava, e che ha convinto molti dissidenti di ieri che sarebbe semplicemente folle pensare di poter trasformare il regime con un cambiamento rapido e radicale di stampo occidentale.

La Cina monopartitica e capitalista di oggi non è aperta solo ai turisti (lasciati liberi di esplorare il paese, con la sola eccezione del Tibet, senza poter noleggiare veicoli ma potendo usufruire liberamente della vasta rete di trasporti) ma anche agli stranieri che vengono qui numerosi per lavorare e per conoscerne il segreto, diventando inconsciamente parte del modello cinese. Anche se molti di essi vengono in Cina al servizio di compagnie occidentali, l’economia cinese ha evidenziato un crescente numero di aree specialistiche (ad esempio nel campo dell’educazione universitaria) in cui è essenziale ricorrere al reclutamento di esperti stranieri, pagati molto bene e lasciati liberi di vivere in discrete condizioni materiali, potendo vivere in pieno contatto con la popolazione. Nelle università gli insegnanti possono parlare con una certa libertà con i propri studenti o con i colleghi cinesi.

Così, mentre oggi lo straniero è libero di muoversi, spostarsi e andare a parlare con l’operaio, il tecnico o il professore cinese, l’era in cui veniva sorvegliato a vista, con un controllo capillare delle sue telefonate e dei suoi spostamenti (per impedirgli di vedere cose che non andavano viste o di far trapelare informazioni sensibili) sembra sempre più lontana ed estranea alla Cina di oggi. Il contatto con i giovani e gli studenti universitari è particolarmente illuminante, per l’enorme interesse dimostrato verso il visitatore straniero, a cui spesso confidano piccoli e inespressi sogni (come il desiderio di viaggiare all’estero, il bisogno di spiritualità o la voglia di una maggiore trasparenza politica), nonostante il prolungato indottrinamento collettivo su temi come la riconquista di Taiwan o la centralità storica di Mao. Non sorprende che molti studenti universitari si disinteressino di politica e considerino il rispetto delle vicende storiche (delle quali sono costretti ad essere orgogliosi) un dovere civico ma noioso. Molti studenti non hanno idea di chi siano alcune celebri personalità del passato, come il campione mondiale e protagonista della “diplomazia del ping-pong”, Zhuang Zedong.

L’immagine di questo vecchio regime è cambiata con la stessa intensità del suo sistema economico, e con esso sono mutati completamente anche i suoi timori e la sua percezione del mondo esterno. La Cina di oggi non teme lo straniero come singolo, fintanto che il Governo riesce ad avere completo controllo sullo sviluppo sociale della popolazione. In questo senso Internet diventa uno degli strumenti più temuti dalle autorità, visto il suo potere di far viaggiare rapidamente e ovunque un’informazione non controllata. Ed è proprio la paura di una penetrazione culturale e poi politica occidentale ad animare gli ultimi incubi residui di una Cina che sta crescendo sempre più forte e patriottica, sia economicamente che culturalmente. Timori che giustificano agli occhi dei vertici di Partito la riluttanza ad estendere i diritti religiosi. E’ in questo senso che i capi delle organizzazioni religiose vengono scelti dall’alto, o che i loro movimenti vengono monitorati. Nel frattempo, le autorità hanno eretto negli ultimi due anni un Grande Firewall sempre più alto, a “protezione” dello sviluppo culturale di milioni di cibernauti cinesi. Un muro che però, vale la pena ammetterlo, non segrega interamente la popolazione, lasciandola libera di poter comunicare con l’esterno e di avere accesso a buona parte della produzione culturale occidentale.

Lo sviluppo economico ha infatti prodotto un forte ed inevitabile cambiamento sociale che ha fatto sfumare il peso dell’ideologia comunista, congelandone i simbolismi e la memoria storica, ma perdendone forse l’estetica.  E’ questa trasformazione a spiegare il tentativo del Partito di adeguare il paese agli standard mondiali (dai sistemi aereoportuali ai campus universitari, dalle catene di centri commerciali alla diffusione di internet), e di cercare di rendere i servizi sempre più efficienti (per quanto in alcune aree ci sia ancora moltissimo lavoro da fare), contribuendo inconsapevolmente allo sviluppo sociale della popolazione, che oggi si aspetta sempre più cose dal proprio governo.

Un passo avanti molto importante in questa direzione, per quanto pieno di imperfezioni, è la nuova legge sulla “open governance”, approvata nel 2008 e da poco entrata in vigore, che rende gli enti locali responsabili di fronte ai cittadini, finalmente liberi di citare in giudizio i propri amministratori locali, costringendoli a mostrare il bilancio delle spese e le politiche adottate, come arma della più generale campagna di Partito contro la corruzione. Questi piccoli strumenti, che peraltro non soddisfano il bisogno generalizzato di accountability delle autorità nazionali (che nessuno si permette di chiedere apertamente), sono comunque importanti perchè possono finalmente abituare la popolazione ad esigere il rispetto della legge da parte delle autorità, rendendo al contempo il sistema più efficiente ed equo, se non altro a livello locale.

L’altra faccia della medaglia del cambiamento è il rifiuto della Cina di essere considerata uno stato che debba adeguarsi al modello occidentale, o che da esso debba imparare qualcosa. Così, mentre la Cina, tanto in patria quanto all’estero, è cresciuta orgogliosa del proprio sviluppo e del proprio successo (e ancora più soddisfatta di poter dialogare internazionalmente con gli Stati Uniti su un piano almeno paritario), il nazionalismo sta diffondendosi a livello popolare, alimentato anche dalla propaganda di regime, specialmente su tematiche come Taiwan o l’integrità territoriale cinese.

Durante gli incidenti della scorsa estate in Xing-Jiang, in cui anche numerosi cinesi di etnia Han furono massacrati, o durante le varie polemiche che hanno preceduto e accompagnato i Giochi Olimpici di Pechino (con forti critiche per il trattamento delle minoranze uigure e tibetane), le proteste cinesi per le critiche occidentali pro-Tibet furono levate a gran voce non solo dalle autorità, ma anche – spontaneamente – da studenti residenti in Gran Bretagna o negli Stati Uniti (dove l’accesso alla libera informazione è pieno). In questo senso, ogni discorso sull’espansione dei diritti umani viene interpretato non come un modo di aiutare il popolo cinese, ma come un piano per sabotare il ruolo che la Cina si è costruito (e forse meritato) come potenza globale emergente.

In sostanza, mentre la Cina estende il suo potere economico e la sua influenza culturale a livello mondiale, il cittadino cinese si fa al contempo più globale e più nazionalista, come conseguenza dell’accresciuto contatto con il mondo esterno. Nel quadro di questo cambiamento, lo straniero, che sotto l’aspetto economico e del tenore di vita è ancora considerato più ricco, è fonte di ammirazione anche come conseguenza di abitudini e aspettative quotidiane sempre più simili alle nostre. Al contempo, però, l’illiberalità del regime politico criticata dal modello liberal-democratico occidentale viene difesa con toni nazionalisti, vantadone i successi economici, il netto miglioramento delle condizioni di vita di molti e l’accesso a maggiori possibilità in termini di mobilità interna ed educazione universitaria.

Il cittadino cinese odierno diventa molto più simile a noi, man mano che il suo tenore di vita migliora e che matura il suo modo divedere il mondo. L’accesso alle culture occidentali, ancorchè filtrato per eliminarne tendenze considerate pericolose, è reso in un qualche modo possibile dall’integrazione globale della Cina, permettendogli di farsi una sua idea grazie a film, Internet e al contatto con l’estero (specialmente grazie ai visitatori della Cina, alle comunità cinesi all’estero, o all’esercito di studenti cinesi che vanno a studiare in Occidente e tornano in patria preparandosi a diventare i leader di domani).

Considerare la Cina lo stato totalitario di una volta è una forma di miopia che limita le possibilità di capire il paese e la sua crescita. Nella periferia Nord-orientale dell’Heilongjiang, una delle regioni più ricche, la prossimità geografica alla Russia autoritaria di Putin o alla Korea di Kim Jong-il (lo stato più chiuso e totalitario esistente oggi), ne suggerisce un paragone costruttivo che aiuta a definire una Cina molto diversa dall’immagine di stato malvagio cui molti governi, organizzazioni e stampa filo-occidentale ci hanno abituato.

La popolazione cinese troverà la strada verso maggiori diritti umani, e verso un maggiore pluralismo, ma lo farà da sola, senza interferenze esterne o pressioni che provocherebbero solo l’effetto opposto. Nel frattempo, non è guardando al congelamento dei simbolismi politici o della retorica maoista che il regime ancora adotta per legittimarsi che l’Occidente potrà pensare di capire la Cina del nuovo millennio…

Emanuele ScansaniEmanuele Scansani ha studiato scienze politiche internazionali dell'ex-URSS a Bologna e, in Gran Bretagna, a UCL e LSE, specializzandosi sui conflitti nei paesi comunisti e post-comunisti. Emanuele lavora al momento in Cina come Lecturer alla Harbin Normal University, nella Heilongjiang province.

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