La Lettera

Per Terre Sconsacrate, Attori E Buffoni

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L’estate ci mette a misura con il nostro corpo. La maggior parte delle donne si confronta con il problema della cellulite. Premesso che la cellulite è molto diffusa e non si può prescindere da una predisposizione personale ad averla o … continua »

Lettere »

I nuovi eroi del "riformismo" italiano hanno idee precise: il lavoro non è mai stato e non dovrà mai essere un diritto. Marchionne, Marcegaglia, Tremonti, Geronzi. Ecco gli alfieri del grande cambiamento. Hanno una chiarezza di vedute invidiabile: anche regredire, fino a prova contraria, significa cambiare. "Non si può remare contro le derive della storia, bisogna rassegnarsi e baciarsi i gomiti per quello che ciascuno di noi riuscirà a raccattare". A Rimini il meeting dei fan di Andreotti e Berlusconi applaude. L'Italia che (non) lavora fischia. Chi vincerà la partita?

Riccardo LENZI – La ricetta contro la disoccupazione è nella Costituzione: i lavoratori devono partecipare alla gestione delle imprese

30-08-2010

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Con l’avvicinarsi di un autunno bollente, torna alla mente la folla che, grazie alla meritevole iniziativa della Cgil di Sergio Cofferati, il 23 marzo 2002 riempì il Circo Massimo e le strade romane circostanti. Fu la più grande manifestazione di popolo della storia repubblicana. Un merito che va riconosciuto al Cinese, pur avendo fallito clamorosamente l’esperienza da sindaco a Bologna. Per lui la difesa dello Statuto dei lavoratori, conquistato con vent’anni di lotte dal popolo italiano, è e deve rimanere un punto fermo per chi vuole essere coerente con il dettato costituzionale.

Le azioni e le affermazioni di Marchionnne, ha detto, sono “gravissime” e “anticostituzionali”. Un’opinione chiara, netta, quella dell’ex leader della Cgil. Purtroppo, per il momento, non è l’opinione di tutto il Pd. Né tanto meno degli altri sindacati. Sono ancora tante le code di paglia che hanno paura del fantasma di Marco Biagi. Un nome che, dal 19 marzo di quel 2002, la destra al governo ha costantemente e vergognosamente strumentalizzato. Non a caso spesso a sinistra si ha paura di dire la verità: quella che è stata impropriamente definita “legge Biagi” è una legge molto criticabile. Come criticabili furono molti provvedimenti dell’ex ministro Treu.

Una seria riforma del lavoro dovrebbe avere come primario punto di riferimento l’articolo 1 della Costituzione. Una politica che intenda veramente realizzare un’auspicabile alternativa di programma – oltre che “di governo” – potrebbe forse trarre qualche utile suggerimento proprio in quella Carta che tanti, troppi, vogliono manomettere. In particolare, varrebbe la pena rileggersi ogni tanto il Titolo III (art. 35-47), dove vengono regolamentati i rapporti economici. L’articolo 46, per esempio, potrebbe essere parte integrante di un ottimo – e, paradossalmente, innovativo – programma politico, che volesse mettere al centro il diritto del lavoro: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei tempi stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.

Collaborare alla gestione. Ossia «cogestione», parola che industriali e sindacati non hanno mai amato. Oggi che l’idea di rappresentanza – sindacale, imprenditoriale e partitica – è oggettivamente in crisi, questa prescrizione costituzionale potrebbe finalmente divenire oggetto di una forte proposta politica e, in seguito, di un progetto di legge (se necessario, di iniziativa popolare). “L’unione fa la forza” è il motto di chi, nel corso della propria esistenza, impara a considerare l’aiuto reciproco tra i membri di una comunità non solo un valore etico: anche un modo concreto ed efficace per coniugare diritti, lavoro e libertà. Certo: un approccio del genere potrebbe averlo solo un Parlamento serio. Che potrebbe esserci solo con una seria legge elettorale… Vedremo.

Intanto il pianeta attraversa una crisi profonda, costituita sostanzialmente da tre elementi: aumento insostenibile della popolazione mondiale, sfruttamento eccessivo dell’ambiente e delle risorse, impotenza della politica.

Forse l’unica strada percorribile per uscire da una crisi non contingente è abbandonare definitivamente ogni compromesso ed ogni commistione con gli indifendibili protagonisti dell’attuale “economia di rapina”, progettando invece quella economia della partecipazione immaginata dal compianto Paolo Sylos Labini, economista di fama internazionale e sincero democratico, che nel 2002 rivolse un avvertimento, finora inascoltato, ai sedicenti riformisti italiani-europei: «molti si dichiarano riformisti senza spiegare il senso del termine. Sembra che sia entrata in ibernazione anche quella che a molti era apparsa come la questione centrale del riformismo e cioè la questione della democrazia industriale e, in particolare, la cogestione delle imprese. Ma la questione di fondo è quella, l’unica che può aiutare a superare la contrapposizione fra capitale e lavoro». Di nuovo emerge l’importanza delle parole: contrapposizione tra Capitale e Lavoro, qui sta il punto. Ed è cosa ben diversa – e dannatamente più attuale – dalla strumentale rievocazione del conflitto tra padroni e operai, per dirla con il futurista Marchionne.

Un normale cittadino fatica a trovare coerenza in questo globo terrestre: perché un capo di stato che si rifiuta di firmare il protocollo di Kyoto viene considerato persona degna di rispetto, mentre un cittadino che, per esempio, si oppone al nucleare sarebbe un “massimalista antimoderno”? Mala tempora. A vent’anni dalla fine della guerra fredda, gli esseri umani comprano e vendono merci ed armi (Finmeccanica docet) da un capo all’altro del mondo, ma non sono ancora riusciti a condividere un sistema di regole per convivere e lavorare pacificamente. Sono trascorsi sessant’anni dalla Dichiarazione universale dei diritti umani: le iniziative dell’Onu ancora oggi sono paralizzate dal diritto di veto di singoli membri. Un vero e proprio ostruzionismo ai diritti, ben più dannoso dei veti che gli establishment rinfacciano alle minoranze politiche e sociali, quando si oppongono alle “grandi riforme”.

Che fare, dunque? Contesti e situazioni straordinari richiedono iniziative straordinarie. Difendere oggi la Costituzione dagli attacchi che subisce quotidianamente, lungi da essere un atteggiamento retorico e conservatore, ci appare piuttosto come il modo più coerente di interpretare il diritto/dovere di cittadinanza: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.” (art. 4).

Molte tra le leggi approvate e/o proposte da questa destra sono preoccupanti. Altre fanno paura. Quasi tutte sono nemiche dei cittadini-lavoratori onesti: l’abolizione del reato di falso in bilancio; lo scudo fiscale; la volontà di mettere in vendita i beni confiscati alla mafia (proposta che, insieme allo scudo fiscale, rappresenta un oggettivo aiuto di stato alla criminalità organizzata); gli interventi legislativi sulla giustizia; l’umiliazione quotidiana degli altri poteri (Parlamento e Magistratura), delle forze dell’ordine (quelle fedeli alla Repubblica) e di alcuni servitori dello Stato che quotidianamente rischiano la propria vita; i tagli all’istruzione e alla ricerca e la controversa “riforma” della scuola e dell’università; gli attacchi alla libertà di informazione e al servizio pubblico della Rai; la privatizzazione dell’acqua (decreto legge 135/09).

La Fiat di Marchionne è figlia di questa Italia e, in realtà, rappresenta un passato che non passa. Altro che “innovazione”. Il futuro, come sempre, è nelle mani dei popoli. Quale destino vorrà darsi, stavolta, il popolo italiano? Dignità o elemosina? Sovranità o schiavitù?

Riccardo LenziRiccardo Lenzi (Bologna 1974) è redattore e free lance. Ha scritto due libri: "L'Altrainformazione. Quattro gatti tra la via Emilia e il web" (Pendragon, 2004) e, insieme ad Antonella Beccaria, "Schegge contro la democrazia. 2 agosto 1980: le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari" (Socialmente, 2010)
 

Commenti

  1. La ricetta contro la disoccupazione è nella Costituzione: i lavoratori devono partecipare alla gestione delle imprese.
    No.
    I lavoratori devono partecipare alla Proprietà delle Imprese.

  2. Lorenzo

    Faccio mio questo bell’intervento di Riccardo Lenzi su Domani.L’opposizione al governo Berlusconi ha di che lavorare.Se lo vuole.Altro che accordi con Fini.

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