La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

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Domani chiude, addio

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Al teatro di Fiesole torna Edipo, ripensato con la consapevolezza di Benjamin e Freud: è il nostro carattere a segnare il nostro destino?

La solitudine può essere un destino privilegiato, parola di Edipo Re

26-05-2011

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Il linguaggio della tragedia è universale, anche se nel tragico moderno che già nasconde in sé, parla al singolo, con tutto il suo bagaglio personale di drammi irrisolti e di sofferenze più o meno rimosse. Il dolore della perdita dell’amore dei genitori, dev’essere, quando avviene – e non avviene per tutti, a qualcuno forse è stato risparmiato – lacerante quanto il dolore colpevole provato da Edipo alla scoperta del suo inconsapevole misfatto. Edipo ora fugge non si sa dove, fugge per rimanere solo nella sua solitudine senza scampo, ormai sa che doveva arrivare fino in fondo al suo destino maledetto per poter comprendere fino in fondo se stesso. Forse era questo che intendeva Pindaro – o Nietzsche – con l’espressione “diventa ciò che sei” o “che hai appreso di essere” e perché era ritenuta così importante la scritta del ”conosci te stesso”scritta sul tempio di Apollo a Delfi. Dai Greci antichi, nostri padri, dunque, deriva tutta la nostra ancora improbabile saggezza, che pure ci ostiniamo a sfuggire, trascinati come siamo da una superficiale apparenza a cui dover rendere omaggio, pena la totale esclusione dal consorzio civile. Già, poiché, anche quando siamo convinti di non conformarci, cadiamo nella trappola del conformismo anticonformista, come ben sapeva Pasolini, come già aveva capito Nietzsche, un attimo prima di abbandonarsi alla follia totale, ultima via di salvezza, prima della morte, pur se nella speranza dell’eterno ritorno.

Poi arriva il dottor Freud, ancora ammalato, suo malgrado, della vera malattia del secolo precedente, ovvero il positivismo, che crede di poter incasellare tutto, anche quella stessa psicologia del profondo, che proprio perché abissale, non si riesce certo a imbrigliare col metodo della causalità scientifica e…

Accade così che Edipo ritorni ancora oggi, proprio per noi, a raccontarci la sua ragione senza ragioni, ovvero il Destino che il nostro secolo ha vietato, senza però sapere ancora bene cosa significhi libertà. Parlo di secolo, ovviamente in senso lato, dal momento che non si capisce più bene che cosa sia la modernità, e si preferisce parlare semmai genericamente di post-moderno, anche questo senza sapere bene cosa significhi, pure se meno difficile della libertà.

Ma cosa vuol dire, infine,essere liberi di scegliere il proprio destino? Forse è “post- moderno” proprio questo voler riprovare, senza schemi precostituiti, a rimettere in discussione quello che la stessa scienza, comprese le cosiddette scienze umane, psicologia e psicoanalisi in testa, credono ormai di aver saputo divulgare nelle coscienze appiattite di una società riappacificata col proprio corpo, anche quando il suo benessere rischia continuamente di essere messo in crisi, ma l’importante,infine, è riuscire a rimanere a galla…

E invece Edipo voleva, nonostante fosse segnato da un destino infelice, diventare re, non poteva accontentarsi di un ruolo di comparsa. Doveva diventare protagonista, a tutti i costi, fosse anche della sua stessa tragedia. Era solo questo il suo destino.

In fondo cos’è un mito? Una semplice favola da raccontare o un’immagine per l’anima da cui attingere per raccontare a se stessi la propria storia personale, quella che segna una volta per tutte la nostra identità, il nostro carattere, che è poi un destino, come ben diceva Walter Benjamin?

E che cosa possiamo farci se la nostra specificità originaria – l’essere figli di re, intanto – ci condanna ad un destino che i nostri genitori forse ci avrebbero, sbagliando, voluto evitare, pur senza sapere nemmeno chi eravamo e che cosa potevamo diventare? O forse il destino si è compiuto proprio perché troppo ci hanno creduto coloro che lo volevano evitare, in primo luogo a se stessi. Dunque, l’amore di Giocasta per il figlio era così grande da doverlo mandarlo ad uccidere ancora in fasce? O non era piuttosto l’ amore per se stessa e per la propria vita che l’aveva spinta a contrastare il vaticinio? Di chi la vera colpa? Il processo è all’anima e alle sue inestricabili contraddizioni, in fondo.

Quanto però le parole del cieco Tiresia ci colpiscono al cuore, quando dicono a Edipo, e a ciascuno di noi, più o meno così:

E’ solo tua la colpa. Con chi vuoi prendertela se non con te stesso? Che è come dire:” Ammesso che sia stato il Destino – e nessuno può negarlo, perché non è falsificabile,direbbe Popper – come questo avrebbe potuto avverarsi se non ci fosse stata la tua collaborazione? Non sei una marionetta manovrata dai fili di un mostruoso burattinaio, ma segui un percorso che ti corrisponde, insegui te stesso, ciò che sei veramente, anche a costo di morirne di dolore…o vuoi rinunciare alla tua autenticità? “

Forse è troppo chiamarla Colpa. Bisognerebbe rileggere il testo, e comunque penso che si tratti piuttosto del “senso di colpa” che Edipo si porta con sé…o anche qui c’è lo zampino di Freud? Cosa ci resta di originario della tragedia greca? Ma questo è un altro discorso. O forse no, dal momento che è sempre una questione di linguaggio e di parole. Ma se le parole vivono di vita propria, o almeno sono la traduzione di un messaggio misterioso che forse il Divino ci ha trasmesso…se ci venisse in mente un’altra parola, per esempio…Solitudine, già di nuovo. Ma forse, e di conseguenza, Responsabilità. Non è mia la colpa, pensa infine Edipo, è mia la responsabilità di questi ultimi eventi, tanto insopportabili, per quanto io non fossi consapevole di uccidere mio padre e di sposare mia madre. Quello che volevo veramente era che mi fosse restituita la mia regalità e solo per questa via potevo ottenerla. Se ne avessi saputo il prezzo forse non lo avrei fatto, certamente non lo avrei fatto…Ma ora non posso tornare indietro e devo ringraziare il Destino che mi ha concesso di arrivare fino in fondo alle radici di me stesso. A costo di un dolore senza fine, nella mia fuga circolare che è l’eterno ritorno dell’uguale. Ma ora sono diventato ciò che sono. La mia regalità ne era il prezzo, anche se attraverso un percorso “normale” non avrei mai raggiunto tanta profondità. Perchè soltanto un grande dolore come la perdita dell’Amore dei genitori può comportare tale Destino. Che solo un altro grande Amore, quello Divino, può riscattare.

Edipo non ha ancora forse completato il suo percorso di conoscenza di Sé, ancora non sa se gli sia stato concesso un lieto fine. Gli è per ora è amica la Solitudine, anche se a volte gli sembra insopportabile, ma non quando riesce a scrivere.

Giusy FrisinaGiusy Frisina insegna filosofia in un liceo classico di Firenze
 

Commenti

  1. Gianni Lamanna

    Metafora per metafora, sarebbe bastato per Edipo, una volta venuto a conoscenza dell’oracolo di Delfi, ritornare a Corinto sicuro del fatto che non avrebbe ucciso il proprio padre né sarebbe andato a letto con la propria madre e comunque sarebbe diventato re come erde dei regnanti di Corinto. Ma si sa, Egli non eccelleva per intelligenza. Ci siamo lasciati ingannare dal fatto che avesse risolto il quesito della Sfinge senza pensarte che era l’unico che potesse risolverlo per il semplice fatto che di “piedi” se ne intendeva. Già, il destino forse in questo risiede, in cio’ che dobbiamo fare per cio’ che sappiamo fare….

  2. mario filocca

    Il commento di Lamanna, nella sua riduttiva superficialità, non rende ragione al testo tanto profondo quanto sofferente di Giusy Frisina. Profondo per gli infiniti rivoli in cui si esprime: tanti sentieri imboccati e talvolta solo accennati, quasi l’autrice volesse indurci alla meditazione, quella meditazione da cui rifuggiamo “nelle coscienze appiattite di una società riappacificata col proprio corpo”.
    Sofferente, come pobabilmente è lei, come è ogni persona nella diuturna lotta contro la propria inesorabile solitudine, che solo l’amore può riscattare.
    Quale amore? Quale amore se fin dalla nascita ci è mancato l’amore incondizionato dei genitori, senza il quale ogni costruzione di vita si erge su fragile argilla? “Incondizionato”: è l’aggettivo più bello che possa accompagnare la parola “amore”: senza quell’aggettivo “amore” non si può scrivere.
    L’amore di Giocasta: uccidere il proprio figlio o lasciare che vada incontro al suo infausto destino?
    Forse l’amore infinito di Giocasta si è proprio rivelato nel consegnare il neonato Edipo al pastore cernefice.Chi siamo noi per giudicarla?
    La tragedia di Edipo, la tragedia della vita, sembrano imporci la convinzione che non possiamo sfuggire al nostro destino e che proprio compiendolo fin in fondo, conseguendo talvolta il dolore massimo, possiamo ritrovare noi stessi, ritrovandoci in quel punto dove dolore ed amore si incontrano fino ad identificarsi: quel punto si chiama Infinito, anzi INFINITO.
    Non può sfuggire il fatto che, nella tempesta tragica in cui si dispiega il testo della Frisina, da lei stessa arriva un lampo incoraggiante di luce: ” il destino si è compiuto proprio perché troppo ci hanno creduto coloro che lo volevano evitare, in primo luogo a se stessi.”
    Grazie Giusy della speranza che dai a noi ed a te stessa. Percorri fin in fondo la via del tuo destino,ma trasforma la tempesta – lo puoi fare – in un lampo eterno di luce: a meno di pensare che la luce che ti può portare l’amore sia essa stessa opera ineluttabile del destino. Ma perché scervellarci al proposito? Accettiamo la luce e godiamone, lasciando irrisolto il tema che Qualcuno si diverte a lasciare irrisolto.

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