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L’uomo del dialogo scrive lettere, le lettere “segrete” di Norberto Bobbio

19-05-2011

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Dialoghi con Bobbio. Su fede, politica, non violenzaHo avuto la fortuna di frequentare e dialogare con Norberto Bobbio, di presenza e ancor più per lettera, lungo quasi venti anni. Molti altri allievi e amici suoi, evidentemente, hanno avuto questa possibilità, ma a me sono rimaste trentanove (quaranta con la prima smarrita) lettere e biglietti suoi che, avuto il consenso dei familiari, ritengo interessante e doveroso mettere a disposizione di chi vuole continuare a conoscerne la personalità e il pensiero.

L’uomo del dialogo scrive lettere. Norberto Bobbio così pensava e così faceva. Le sue lettere sono importanti e dunque sono ricercate, perché – come dice Bobbio stesso citato da Pietro Polito – «la corrispondenza è in fondo un dialogo a distanza» e il dialogo «è sempre un discorso di pace e non di guerra». Questa propensione e vocazione al dialogo è il «tratto dominante» del suo carattere, è per lui «un esercizio quotidiano praticato tanto nella vita pubblica quanto nella vita privata», nella sua «attività ininterrotta di scrittore di lettere».

Le lettere di Bobbio, nella sua opera, sono il genere più personale e dialogico. Non solo (come dice egli stesso nel colloquio con Polito ora citato) le varie migliaia di lettere che ha scritto superano di molto il numero dei testi pubblicati (più di mille), ma possono aiutare la comprensione e l’interpretazione del suo pensiero, che nelle lettere è espresso, come è naturale, in forma più immediata e meno sistemata, ma anche rappresenta un anticipo o un ritorno sul pensiero pubblicato. Infatti, in quel colloquio, Bobbio dice ancora: «Talora una lettera serve da preparazione per un articolo da fare o da correzione per un articolo già fatto». Questo è un indice della dialogicità del pensiero di Bobbio, anche con se stesso e non solo con gli altri, e con se stesso attraverso il confronto con gli altri. «L’uomo che pensa davvero scrive lettere agli amici».

Non seguii in Università le lezioni del professor Bobbio perché, mentre studiavo Giurisprudenza (mi laureai poi in ritardo), lavoravo, per necessità familiari, come impiegato all’esattoria comunale di Torino. In seguito abitai a Roma, impegnato nella presidenza della Fuci (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) e successivamente negli studi di teologia all’Università Gregoriana. Diedi con lui l’esame di filosofia del diritto nel luglio 1957, sulla teoria dell’ordinamento giuridico, di cui conservo le dispense. Bobbio (nato il 18 ottobre 1909) non aveva ancora cinquant’anni, io quasi ventidue. Lo ricordo esaminatore insieme rigoroso e comprensivo. Mi colpirono i suoi occhi di falco, attorno a quel naso d’aquila, un profilo unico, ammorbiditosi poi nella vecchiaia.

Tornato a Torino nel 1966, negli anni 60 o 70 partecipai con lui ad una tavola rotonda, su qualche tema politico, non ricordo quale, forse promossa dalle Acli. Nei primi anni settanta, mi ricevette a casa sua, quando gli chiesi consigli per aiutare un intellettuale cattolico, Giulio Girardi, licenziato dall’insegnamento in un istituto cattolico parigino. Anni dopo, presi a seguire, dal 1980, i seminari da lui guidati nel Centro Studi Piero Gobetti, su etica e politica, che trattavano, di anno in anno, temi di grande rilievo culturale e civile in una cerchia vivissima per cultura e impegno, in buona parte costituita da allievi suoi lungo gli anni e i decenni. In un paio di occasioni mi fu chiesto di presentare la relazione introduttiva alla discussione (una volta su cristianesimo e storia, un’altra volta sul pacifismo), affiancata a quella di Bobbio.

Lungo quegli anni, ebbi con lui diversi colloqui, e soprattutto un lungo scambio di lettere, dalla sua prima del 6 novembre 1984 alla sua ultima del 13 giugno 2000, alternate a varie mie. Fin da ragazzo, ho amato scrivere lettere a varie persone. Forse è un modo per superare la timidezza e l’incertezza nel colloquio. Così, colsi alcune occasioni per scrivere a Bobbio, come continuazione delle discussioni al Centro Gobetti. La sua cortesia mi incoraggiò. Alcuni suoi biglietti sono di carattere pratico, ma le lettere, sempre di più nel tempo, toccano temi centrali politici e umani: c’è, nelle lettere sue e nelle mie, un crescendo di intensità, fino al suo doloroso silenzioso declino finale (Bobbio è morto il 9 gennaio 2004). Ne copio qui gli stralci principali. In appendice il testo intero. Dei colloqui ometto, ovviamente, alcune poche parti che riguardano persone private, per doverosa discrezione. Non credo di dovere omettere i suoi giudizi politici. Non ho modificato in nulla le mie lettere, neppure dove oggi mi esprimerei diversamente, o dove mi dovrei correggere.

Nella trascrizione delle lettere di Bobbio, l’interrogativo tra parentesi quadra [?] significa che la parola precedente, scritta a mano, non è di sicura lettura. Le sue lettere, infatti, sono scritte a volte a macchina, spesso a mano, e la sua calligrafia diventava, con gli anni, più difficile da decifrare.

I temi rilevanti in questo dialogo di Bobbio con me, sono gli interrogativi sul senso della vita e il problema della pace e della nonviolenza. Nel pubblicare lettere che presentano interesse e significato generale riguardo al pensiero, alla personalità e alla sensibilità di Bobbio, spero di favorire una ulteriore conoscenza e stima per questo maestro di tanti tra noi, senza abusare della benevolenza che sempre avvertii nel suo colloquio con me, come, del resto, con tantissimi altri e su contenuti altrettanto importanti.

Non tento neppure, qui, di proporre una sintesi della personalità e del pensiero di Norberto Bobbio. Dirò soltanto che, dai dialoghi raccolti in questo libro, appare che egli sente il tema urgente della pace, specialmente di fronte al pericolo atomico, ma non la vede possibile in “questa” umanità, della quale ha, in generale, come è noto, una concezione hobbesiana, pessimistica. Attribuisco a questa antropologia filosofica una certa sua rassegnazione teorica, non morale, all’esistenza della guerra e al peso del male. Ciononostante, con le singole persone reali egli vive relazioni ricche di stima, amicizia, ammirazione e gratitudine: ecco quel primato che affermò negli ultimi anni dicendo più volte: «A questa età valgono più gli affetti dei concetti».

Bobbio si faceva voler bene. Ho sempre prestato molta attenzione ai suoi contributi sul tema della pace, ma ho sempre dissentito da quella sua concezione della natura umana. Per Bobbio, come ebbe a dire in una conferenza a Ivrea (e forse altrove), la pace è «necessaria e impossibile». Del resto, questa è la tesi del suo libro Il terzo assente, del quale si parla ad un certo punto anche in queste lettere. Eppure, egli sente il male della violenza e il bene della pace. Forse si può dire che la sua sensibilità morale non ha mai potuto produrre in lui una cultura della ragionevole speranza perché si è scontrata con la sua fredda concezione e analisi della realtà, delle «dure lezioni della storia». Il suo pacifismo è politico e giuridico: solo la legge e la forza, che hanno la loro forma migliore e meno violenta nella democrazia (la fede razionale di Bobbio, direi) possono tenere a bada la violenza e l’aggressività umana.

Riguardo alla nonviolenza, è nota la sua grande ammirazione e profonda sensibilità per il pensiero e la visione di Aldo Capitini: la sua prefazione a Il potere di tutti è una delle cose più belle e intelligenti scritte su Capitini, ed è tra le più belle e alte pagine scritte da Bobbio. Ma, come appunto egli conclude quelle pagine, rimane «perplesso» davanti a Capitini «persuaso». Anche nella corrispondenza con me torna con insistenza sulle difficoltà ed esprime scetticismo riguardo alle possibilità reali della opposizione nonviolenta alle violenze. E tuttavia ha scritto più volte che la nonviolenza è il problema fondamentale del nostro tempo: «Era ormai venuto il momento di rimettere in onore il tema della nonviolenza, di cominciare a considerarlo il tema fondamentale del nostro tempo». «La non violenza è il tema fondamentale che fin da subito mi aveva personalmente affascinato nell’opera di Capitini, dalla quale ho creduto di poter ricavare una filosofia della storia fondata sul passaggio dalla violenza alla non violenza». Mi pare che alla fine abbiano prevalso in Bobbio le obiezioni e i dubbi sulla praticabilità della lotta nonviolenta.

L’altro principale tema della nostra corrispondenza è la religione, in particolare il cristianesimo. Negli ultimi anni, Bobbio ha scritto cose esplicite e interessanti sulla sua «religiosità, non religione» (fino al suo testamento morale, in cui accenna tuttavia alla «religione dei padri»6). Sono le grandi domande di senso, specialmente il pesante interrogativo sul male. Egli non abbandona mai quelle domande, anche se inclina alla riposta negativa che in qualche momento gli esce: non c’è alcun senso! Ma ha stima e interesse per le persone seriamente religiose, e specialmente per chi vede mettere in pratica, nell’aiuto concreto al prossimo, l’amore cristiano (mi disse di avere tenuto corrispondenza con alcuni missionari). Ammira l’essenziale della morale cristiana. Quando la confronta con la morale laica, ne valuta, da filosofo del diritto, soprattutto l’efficacia, perché pensa che, in essa, il giudizio e la sanzione divina sono ritenuti infallibili.

Bisogna dire, però, che la sua conoscenza del cristianesimo – come ad un certo punto riconosce lui stesso – non è sviluppata in proporzione alla sua cultura generale; egli dice che è rimasta allo stadio della sua lontana educazione infantile. Infatti, si riferisce a schemi teologici arretrati rispetto al pensiero cristiano cresciuto dentro la cultura del mondo attuale. Perciò c’è una sfasatura di conoscenza, nel discorso con lui sul cristianesimo.

L’ho sempre sentito parlare di Cristo con grande rispetto, pur senza la speranza che egli abbia dato all’umanità la possibilità, la grazia, la forza salvifica di un cammino nuovo nella vita giusta e buona. Il famoso pessimismo di Bobbio è anche, in profondità, il dolore e lo scandalo per il male cosmico. Egli disse più volte che ci turba non tanto il male che è colpa di Caino, di cui si vede l’origine, ma il male patito da Giobbe innocente, la cui causa ci sfugge, oppure ricade sull’immagine di Dio e sul senso della realtà. Con queste categorie bibliche essenziali, pur senza una cultura biblica sviluppata, Bobbio esprimeva la sua visione sofferta della realtà. Forse nel poema biblico di Qohelet, specialmente in età avanzata, Bobbio avrebbe trovato un’alta espressione classica del suo sentimento. A questo proposito, egli espresse l’opinione che nelle scuole i giovani dovrebbero conoscere la Bibbia come studiano i poemi di Omero, per vedere tutte le basi della nostra cultura.

Non ho difficoltà a dire che, nonostante la differente cultura e visione della vita, ma grazie ad una affinità di senso morale, nella mia lunga relazione con lui, l’ho sentito e mi resta oggi come una delle figure autorevoli e paterne della mia vita, sebbene io fossi in età già matura. Ciò significa, mi sembra, almeno due cose. La prima è che il valore vitale di una persona, e quindi della relazione con essa, non dipende totalmente dall’accordo intellettuale, ma da fattori morali (anche psicologici, certo). È proprio vero ciò che Bobbio ripeteva da vecchio, come abbiamo sentito, sugli affetti e i concetti. La seconda cosa è quella verità a cui egli arrivò, riguardo all’avere o non avere fede religiosa, detta con parole poi riprese e condivise dal cardinale Carlo Maria Martini: «La differenza più importante non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa ai grandi interrogativi dell’esistenza».

Io accosterei a questo suo detto quello di Mario Cuminetti (1934-1995, libraio a Milano e scrittore dal pensiero profondo): «La discriminante essenziale che divide gli uomini è quella che passa fra chi, nonostante tutto, crede alla loro dignità, si impegna per gli oppressi, lotta per dar voce e spazio alle speranze più profonde e vere di ogni uomo e chi, invece, non crede sia più possibile questa trasformazione e si consegna, arrendendosi, a quelle forze che tendono, per il loro dominio, a ignorare le diverse situazioni ed esigenze degli uomini. Inutile nascondersi che per il primo caso siamo di fronte a una ‘fede’ che accomuna credenti e non credenti in Dio».

Anche la distinzione tra destra e sinistra, oggetto continuo della riflessione di Bobbio, risale per lui a motivi essenzialmente umani e morali.
«Io ritengo che il politico di sinistra deve essere in qualche modo ispirato da ideali, mentre il politico di destra basta che sia ispirato da interessi: ecco la differenza».

«La differenza [fra sinistra e destra] è fra chi prova un senso di sofferenza di fronte alle disuguaglianze e chi invece non lo prova e ritiene, in sostanza, che al contrario esse producano benessere e quindi debbano essere sostenute. In questa contrapposizione vedo il nucleo fondamentale di ciò che è sinistra e di ciò che è destra» 10. Nello stesso libretto, Bobbio conclude un suo intervento così: «Sarei tentato di dire che la distinzione va al di là delle semplici idee politiche, è un elemento quasi antropologico».

Insomma, questo rapporto che ho avuto con Norberto Bobbio, come allievo con un maestro, dimostra che si possono dare risposte diverse alle stesse serie domande, e possono essere le domande più delle risposte che uniscono umanamente e intellettualmente. Dimostra che si possono avere idee diverse, e discutere, e tuttavia stimarsi e volersi bene.

Infatti, proprio di questo si tratta: molti suoi allievi non hanno solo imparato da Bobbio, ma gli hanno voluto bene. Io lo affermo per parte mia. Credo che questo fatto sia – e lo è certamente per me – un piccolo esempio reale di come è possibile e fecondo non solo il rispetto e l’ascolto tra persone di visioni e culture diverse entro una stessa società e storia, ma anche, nei modi proporzionati, fra le culture e le civiltà umane, oggi a rischio di conflitto distruttivo, eppure poste davanti alla nuova grande opportunità di unificazione dell’umanità nel rispetto delle preziose differenze.

Copiando le sue lettere mi è parso di essere ancora in vivo aperto colloquio con lui. Ma non intendo, con ciò, contribuire a quella specie di “devozione”, a scapito della ricezione critica, che a volte si forma attorno a persone che hanno attirato e meritato interesse, ammirazione e anche affetto. Questi sono stati i miei sentimenti per Norberto Bobbio, che non mi hanno impedito di esprimere differenze di idee e di valutazioni, e critiche rispettose e franche, per imparare interrogando. L’insieme di queste lettere e colloqui diventa come un diario, scritto in parte da lui, del rapporto che l’«uomo del dialogo» ha avuto con uno fra i suoi tanti allievi.

(Questo testo è contenuto nel libro Dialoghi con Bobbio. Su fede, politica, non violenza, Edizioni Claudiana)

Enrico Peyretti, intellettuale impegnato nel movimento per la nonviolenza e la Pace. Ricercatore nel Centro Studi “Domenico Sereno Regis” di Torino, sede dell’Italian Peace Research Institute. È membro del Centro Interatenei Studi per la Pace. Fra i suoi libri: “Per perdere la guerra” (Beppe Grande, Torino); “Dov’è la vittoria?” (Il Segno, Gabrielli); “Il diritto di non uccidere, schegge di speranza” (Il Margine, Trento)
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