La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

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Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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A proposito di un libro sul fascismo che mi aiuterà a spiegare, all'estero, due o tre passaggi della storia e politica italiana, ovvero a proposito di Gustavo Corni, "Fascismo. Condanne e revisioni", Roma, Salerno, collana «Aculei»

Il fascismo è stato (e rimane) antisemita e razzista: non date retta alla bugia che ci vuole “brava gente”

17-11-2011

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Fascismo. Condanne e revisioniLo dico subito: so bene che l’ultimo libro di Gustavo Corni è stato letto come un «processo a De Felice […] senza prove», come titola un elzeviro del «Corriere della sera» del 26 ottobre 2011 firmato da Giovanni Belardelli. Ma in questo articolo non voglio entrare propriamente nella questione. Diciamo piuttosto che vorrei presentarla diversamente. E non perché sia spinosa. Del resto tutto è spinoso in Italia, specie quando si parla di un mai troppo noto momento storico che da sempre si fatica a studiare come tale, senza paradigmi (e condanne), revisionismi (e visioni) et j’en passe – scusate, sono ingrassato e l’inglese mi va stretto, e poi vivo in Belgio, nel Sud del Belgio, e sono e sarò sempre una specie di latino, di meridionale al quadrato.

Insomma, ammesso e non concesso che il libro di Gustavo Corni sia «animato da un’intenzione polemica strabordante», io voglio provare a parlarne differentemente. E principio col ricordare che giusto introducendo il suo «piccolo lavoro», l’autore suggerisce che «la conoscenza della storia e della storiografia italiana è assai modesta oltre le Alpi». (Si badi: Corni non vuol dire che nei paesi francofoni e germanofoni da cui ci separa la catena alpina non ci siano studiosi di rilievo e basta scorrere le note a fine volume per vederne comparire diversi. E mi permetto soltanto di aggiungere un nome da frequentare e da unire a quelli che figurano nel contesto degli studi relativi alla “seconda Repubblica”, così come la evoca il VI capitolo: Luciano Cheles).

Questa prima constatazione è alla base di un saggio – più che di un pamphlet – che spesso precisa dati noti e cerca d’essere chiaro, che so, anche quando ricorda, peraltro con uno studioso di destra, Alessandro Campi, che non si può pensare a Renzo De Felice come a un incompreso, a una vittima del sistema intellettuale di sinistra del secondo dopoguerra. Precisare questo dato o, via lo stesso, ricordare il percorso del “compagno” Fini, non significa être un impressioniste o essere animato da polemica. Dire che la tesi defeliciana relativa al marginale antisemistimo fascista, ripresa in illo tempore da uno storico del calibro di Giovanni De Luna, studioso di sinistra, ma che via Francesco Perfetti giunge fino al 2000 sulle pagine della prestigiosa Enciclopedia italiana, non significa avercela né con De Luna, né con Perfetti. E vuole dire piuttosto che si ha il buon senso di leggere quello che più di recente ha scritto, con notevoli basi documentarie, Giorgio Fabre su Mussolini razzista antisemita (o di prendere in considerazione anche quanto ha suggerito, in seno a una storiografia più o meno recente, il libro di Francesco Cassata su «La difesa della razza»). Significa anche smetterla, per inciso, di dar la colpa di tutto ai nazisti, ai tedeschi, e di fomentare il mito degli «italiani brava gente».

Davvero Vi aspettate, cari amici lettori, che un italiano d’oltralpe, che cerca, tenta di insegnare qualcosa della nostra lingua e della nostra storia e cultura, in Europa, debba piegarsi a questi miti? Certo, posso far vedere, integralmente o per frammenti, Italiani brava gente (1964) di Giuseppe De Santis (e forse anche perché mio nonno materno, Paolo Scalabrin, del 1922, in Russia ci è stato mandato e ci è rimasto, per sempre, come «disperso»: XX° Battaglione, VIIa Compagnia, Divisione Celere, n° 40). Ma poi devo spiegare ai ragazzi che mi trovo davanti in quell’occasione che il mito degli «italiani brava gente» è, per l’appunto, un mito e che ammetterlo non significa mettere a morte la patria né, tanto meno, disconoscerla.

Il libro di Corni mi aiuterà a spiegarlo e mi aiuterà anche a dire che cosa è «il sangue dei vinti» a un ragazzo straniero che ha visto solo il film su RAI 1, tratto dal libro di Pansa. Mi aiuterà a dire che il fascismo non è morto e che va studiato e che la verità storica di quel fenomeno e delle sue derive deve fare i conti con il caleidoscopio della rappresentazione politica, specie nelle fasi di più acuta e recente transizione, che poi sono quelle che la cultura popolare fiuta, e dice, a tratti meglio della stessa storiografia, e senza necessariamente farne un fenomeno all’acqua di rosa, magari seguendo il suggerimento di Umberto Eco.

E per chiudere direi di più. Gustavo Corni fa autocritica, perché sa che, nel bene e nel male, di quel contesto fa parte anche lui, la sua formazione. Sa che la storiografia è un fatto politico, se non partitico tout court, e come tale e a partire dal fascismo prova dunque a raccontarcela, a tratti in maniera pungente, d’accordo, ma è anche vero che il Suo saggio è edito in una collana il cui nome è «Aculei» e che pubblica «libri che fanno i conti con un passato che non è mai passato» (da cui anche gli esempi storiografici, e non, sopra rapidamente richiamati).

Provare per credere, les amis. Provate a parlare oggettivamente, che so, della guerra civile spagnola nella narrativa italiana senza darci un taglio da «fedeli alla linea (anche quando la linea non c’è)» e non verrete apprezzati più di tanto, in Italia. Provate a dire che c’è stato un Pinocchio in camicia nera ai puristi e alle mamme e magari anche Benigni, e non Vi andrà meglio. Ad ogni modo, les amis, provate sempre a dire.

Al limite, a Roma, non vi daranno le bandierine del 150° anniversario e gli intellettuali saran pronti a crocefiggerVi se vi sbagliate d’editore e/o di collana, ma Voi provate sempre a dire.

Luciano Curreri, nato a Torino nel 1966, è ordinario di Lingua e letteratura italiana all'università di Liegi. Tra i suoi lavori più recenti, citiamo "Pinocchio in camicia nera" (Nerosubianco 2008, II ed. corretta e aumentata 2011); "D'Annunzio come personaggio nell'immaginario italiano ed europeo (1938-2008). Una mappa" (Peter Lang 2008); "Mariposas de Madrid. Los narradores italianos y la guerra civil española" (Prensas Universitarias de Zaragoza 2009; ed. or. Bulzoni 2007); "Un po' prima della fine? Ultimi romanzi di Salgari tra novità e ripetizione" (1908-1915) (con F. Foni, Sossella 2009); "L'elmo e la rivolta. Modernità e surplus mitico di Scipioni e Spartachi" (con G. Palumbo, Comma22 2011).

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