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La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

Libri e arte » Teatro »

Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

Inchieste » Quali riforme? »

Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

Piccoli editori » Terre di mezzo »

Nell’ospedale dove muoiono i bambini, diario di una ragazza in Angola

22-01-2010

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“A Sud di casa” è il racconto di una giornalista-cooperante che attraversa il mondo fra dolore e speranza: «tra presente e futuro mi nutro di paure»


Luanda, 12 aprile 2006 / “Quando l’acqua sommerge le ruote della jeep”


Il cielo cupo scarica pioggia torrenziale. Gocce di pietra travolgono tutto, cascate d’acqua rompono i muri, allagano le case, rovesciano bancarelle, sradicano pali e cavi della luce. Ho paura, sola su un’auto ferma nel traffico, nessuna visibilità, freni che non rispondono e acqua che sommerge le ruote. Ai margini della strada c’è un mondo che si ripara come può, in portici cadenti, in case di terra e lamiera, nelle chiese, nelle botteghe. L’acqua, per assenza o mal funzionamento del sistema fognario inonda le baraccopoli e le vie del centro. Montagne di immondizia sono trasportate verso il mare, si formano nuove discariche a cielo aperto che accumulano fango, rifiuti, pezzi di edifici appena crollati, materassi, stoviglie, vestiti.

Il cellulare funziona a tratti. Telefono ad altri amici bloccati in differenti punti della città. Sommersi tutti dagli stessi dubbi. Partire. No, restare vicino ad un parcheggio. Aggiornamenti concitati: questa via è ancora praticabile, quella invece già sommersa.

L’attesa e la paura. Il tempo che non scorre, il traffico che non si muove, l’acqua che non defluisce. Mi sento impotente e devo accettarlo. I minuti si dilatano e scopro di non saperli gestire. Aspetto la fine del panico e del temporale, desidero l’inizio della serata e del riposo.

Nel muro d’acqua e di pioggia ecco finalmente le prime gocce, e un azzurro cupo che squarcia le nubi. Sospiro. Sono le sette ed il diluvio si placa.

Lentamente il Suzuki mi riporta al campo della cooperazione italiana. Facce stanche e bagnate, sollievo e primi commenti. Non è tempo di critiche, domani parleremo della metropoli disorganizzata e corrotta, dei bambini di strada risucchiati dai vortici d’acqua, dei nuovi picchi di contagio di colera. Oggi incrociamo racconti personali, voglia di condividere la paura, di sdrammatizzare gli eventi, di respirare a polmoni pieni.

Questa mattina, 12 aprile 2006, le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità sulla diffusione e la mortalità dell’epidemia di colera scoppiata il 13 febbraio scorso a Luanda, parlavano di 8.258 casi di contagio e 367 morti; domani, giorno successivo al diluvio, il comunicato ufficiale di Medici senza frontiere dichiarerà 8.930 casi e 413 morti.


Maquela, novembre 2005 / “40 chilometri a piedi, bambino sulle spalle nella speranza di un miracolo dell’ospedale”


Una notte in pediatria, ore 21. Mamme accasciate sui banchi di legno, con neonati in braccio, due porte socchiuse, occhi mobili che cercano di intravedere cosa gli infermieri e il dottore stiano facendo. Porta principale spalancata, sulla vita o sulla morte, chissà. Porta spalancata sul giardino dove altre donne e altri bimbi sono in attesa. Un silenzio strano, surreale, scende improvvisamente. Sono bastati due gesti di Ottavia, unico medico presente a Maquela, uno sguardo di Simonetta, la giovane infermiera italiana in Angola da 5 anni e tutti hanno capito: qui chi vive quotidianamente nascite e óbitos (i funerali) non ha bisogno di grandi segni, per capire.

Sembra tutto già scritto. Una mamma è in ginocchio in fondo alla stanza. Lo sguardo spezzato e trasognato, meni fredde e rassegante. Qualche cosa davvero nel suo cuore si sta spezzando. Un’altra donna si dondola pregando, accovacciata. “Hanno fatto 40 chilometri a piedi – mi dice Ottavia – tutte le donne che vedi qui sono arrivate camminando, a volte anche 100/120 chilometri, da sole o con i mariti, uno due anche tre figli al fianco o appesi alla schiena e al seno. Ma per queste due mamme anche 40 chilometri sono stati troppi, sarà difficile salvare i loro due figli”.

Su di un lettino al centro della stanza sono stesi due neonati. Capelli ricci, fittissimi, sembrano dei piccoli Bob Marley. Occhi fissi, grandi, enormi. Non riesco più a togliermeli dalla testa, quei 4 occhi. Così grandi perché sofferenti, così grandi perché bianchi, bianchissimi, senza striature rosa, senza venuzze, senza sangue. Due stomaci che si sollevano velocissimamente, respirazione faticosa mentre un giovane infermiere locale, alla tredicesima ora di lavoro, con una lametta taglia i ricci neri, cercando una vena visibile vicino a un orecchio per attaccare la prima flebo di sangue.

“Si fa così, soprattutto quando le condizioni sono gravi, quando è difficile prendere le vene nel braccio”. Queste siringhe piantate nelle teste, questi ricci in terra, questa calma surreale. Tutto sospeso, i polmoni quasi bloccati. Mentre le due pance dei neonati si sollevano velocissimamente, respirando a fatica, mentre Ottavia, Simonetta e gli infermieri continuano a volare nella stanza, gli unici angeli che hanno forza di lottare, davanti a tutto, tutto questo.

“Il cuore dei due bambini è già stanco, dopo solo 3/4 mesi di vita, è consumato, quasi distrutto. Non sappiamo se ce la faranno. Troppe malarie, guarda il loro sangue”. Eccolo, il sangue. In realtà dal piccolo indice è uscito un liquido trasparente, che quasi non fa reazione sulla tavoletta dei gruppi sanguigni. Eccolo il sangue, il mio sangue rosso, denso, opulento, il loro sangue trasparente, annacquato, leggerissimo. Non hanno nulla in comune, questi due liquidi, stesso gruppo ma diversi pianeti di provenienza. Purtroppo oramai tra loro sono quasi incompatibili.

Ed è già mattina. I ricci sono scomparsi, i neonati spariti, le due donne se ne sono andate. Altri bimbi, altre mamme che si muovono vicino alle porte, nuovi lacci emostatici e flebo a riempire la stanza. Un flash. Forse ieri era l’irreale. O forse oggi.

“Alla morte di un bambino non ti abitui mai – sussurra Ottavia Pisani, medico chirurgo in Angola dal 1997, a Maquela dal 2002 al 2006 -. Serve tempo per accettare quello che vediamo ogni giorno. Però si impara a reagire, a lasciare i ‘perché’ fuori della finestra per non smettere di vivere”.

Laura Fantozzi è viaggiatrice e giornalista professionista. Tra il 2005 e il 2006 ha lavorato in Angola per UNDP e per l’Organizzazione non governativa Medici con Africa Cuamm. Nel 2008 e 2009 è stata inoltre consulente di UNICEF. Al momento è impegnata nello startup di IIDAC Europa, associazione di promozione sociale che si dedica al protagonismo giovanile e alla cittadinanza attiva, ed è legata alla Ong brasiliana IIDAC. A dicembre 2009 ha pubblicato per l’editore Terre di mezzo il libro “A sud di casa, l’Africa delle donne”. Nel 2004 viaggia e lavora come volontaria in America Latina: Guatemala, El Salvador, Honduras, Messico. In Brasile è impegnata a fine 2004 nell’ufficio stampa del World Social Forum. Nel 2007 viaggia in Thailandia, dove scopre la meditazione Vipassana e, in seguito, l’organizzazione spirituale Ananda Marga, che promuove un percorso di crescita interiore e servizio alla società, partendo dalle antiche pratiche della Meditazione e dello Yoga. Laureata in Scienze dell’Educazione (Padova 2000), Scuola di Specializzazione in Analisi e Gestione della Comunicazione all’Università Cattolica di Milano, è assunta come web journalist dalla stessa Università lombarda sino a fine 2003. A Milano al contempo collabora con riviste missionarie tra cui Popoli, Mondo e Missione, Combonifem, e con il quotidiano.com. Nel 2007 si forma all’IISMET, Instituto Superior de Medicinas Tradicionales di Barcellona, in linfodrenaggio e massaggio tailandese. Al momento frequenta il percorso biennale per operatore Craniosacrale presso l’istituto ITADO di Torino.

Laura Fantozzi è viaggiatrice e giornalista professionista. Tra il 2005 e il 2006 ha lavorato in Angola per UNDP e per l’Organizzazione non governativa Medici con Africa Cuamm. Nel 2008 e 2009 è stata inoltre consulente di UNICEF. Al momento è impegnata nello startup di IIDAC Europa, associazione di promozione sociale che si dedica al protagonismo giovanile e alla cittadinanza attiva, ed è legata alla Ong brasiliana IIDAC. A dicembre 2009 ha pubblicato per l'editore Terre di mezzo il libro "A sud di casa, l'Africa delle donne". Nel 2004 viaggia e lavora come volontaria in America Latina: Guatemala, El Salvador, Honduras, Messico. In Brasile è impegnata a fine 2004 nell’ufficio stampa del World Social Forum. Nel 2007 viaggia in Thailandia, dove scopre la meditazione Vipassana e, in seguito, l’organizzazione spirituale Ananda Marga, che promuove un percorso di crescita interiore e servizio alla società, partendo dalle antiche pratiche della Meditazione e dello Yoga. Laureata in Scienze dell’Educazione (Padova 2000), Scuola di Specializzazione in Analisi e Gestione della Comunicazione all’Università Cattolica di Milano, è assunta come web journalist dalla stessa Università lombarda sino a fine 2003. A Milano al contempo collabora con riviste missionarie tra cui Popoli, Mondo e Missione, Combonifem, e con il quotidiano.com. Nel 2007 si forma all’IISMET, Instituto Superior de Medicinas Tradicionales di Barcellona, in linfodrenaggio e massaggio tailandese. Al momento frequenta il percorso biennale per operatore Craniosacrale presso l’istituto ITADO di Torino.

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