Comincia il dossier sull’utilità o l’inutilità pericolosa delle centrali nucleari. Il referendum si avvicina (speriamo): abbiamo chiesto a scienziati e a tecnici di grande esperienza (e non politici dalle parole che corrono) se l’Italia nucleare è un bluff o una necessità irrinunciabile. Rubbia: “Servono reattori al Torio”. Zabot: “È un combustibile dalla radiotossicità estremamente più bassa di uranio e plutonio, senza gli incubi che angosciano il Giappone”. Gli Usa investono in questa ricerca centinaia di milioni di dollari
Giada OLIVA – Nucleare. Dal premio Nobel Rubbia a Sergio Zabot: le centrali sono morte, il futuro è dei combustibili alternativi
26-05-2011Parlare di nucleare significa porsi entro il più grande problema energetico. Se decidessimo di rinunciare all’uranio, quali saranno le fonti energetiche del futuro?
Oltre alle “classiche” fonti rinnovabili, si cui spesso si parla, possono esistere risorse altenative e spesso meno conosciute ai non addetti ai lavori.
Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica, sostiene che l’attuale tecnologia nucleare sia morta e che si debba smettere di replicare le attuali centrali, ma investire in ricerca per utilizzare combustibili e reattori alternativi come, ad esempio, i reattori al Torio.
Il grande pregio dei reattori al Torio – spiega Sergio Zabot, ingegnere che coordiana il piano per l’efficienza energetica della provincia di Milano – è che il “combustibile” esausto scaricato ha una radiotossicità estremamente più bassa rispetto a qualunque reattore all’uranio-plutonio: dopo meno di un secolo è infatti inferiore a quella dell’uranio naturale ed addirittura, nei reattori termici al torio è fin dall’inizio inferiore. Le scorie andrebbero confinate solamente, si fa per dire, per circa 300 anni. Un reattore al Torio ha un altro pregio: non produce Plutonio e con le sue scorie è impossibile costruire bombe nucleari. E questo è stato il suo principale handicap: ingabbiati nella logica della Guerra Fredda, le grandi potenze hanno scelto la filiera del più “problematico” Uranio per costruire i loro reattori civili, in quanto questo consente di produrre come sottoprodotto Plutonio ri-utilizzabile per gli arsenali militari.
Ma ora, a guerra fredda finita, i reattori a Torio stanno suscitando un nuovo interesse, soprattutto perché, grazie alle sue caratteristiche termiche, il Torio è immune da fusione del nocciolo, incubo dei gestori delle centrali nucleari.
In tutto il mondo la ricerca è concentrata su questo tipo di reattori nucleari: dalla Francia all’India alla Cina. Negli Stati Uniti, diventati ormai importatori netti di Uranio, ma con grandi riserve di Torio, il Congresso ha approvato il “Thorium Energy Independence and Security Act”, che prevede un finanziamento iniziale di 250 milioni di Dollari per incentivare la ricerca e lo sviluppo di reattori al Torio. Ecco l’analisi di Sergio Zabot.
Zabot: l’energia nucleare prodotta nel mondo è appena il 6% dell’energia comsumata
Il ritorno al nucleare permetterà di raggiungere l’indipendenza dalle fonti fossili?
L’energia nucleare prodotta in tutto il pianeta è poca cosa, pari a circa il 6% dell’energia consumata ed al 16% se consideriamo solo quella elettrica prodotta. I sostenitori del nucleare ritengono che la partita dell’energia elettrica si giochi tra nucleare, carbone e gas naturale. Ma oggi sul mercato esistono nuove risorse: i Negawatt e la Generazione Distribuita. Questo è un modo di produrre e distribuire energia attraverso una miriade di impianti connessi alla rete elettrica che rispetto ai pochi grandi impianti attuali riduce i costi per le reti di distribuzione e le perdite su quelle di trasporto.
I Negawatt sono elettricità non consumata a causa di tecnologie inefficienti e che invece può essere sfruttata: un aumento dell’efficienza energetica che, limitando gli sprechi lungo la rete, è risorsa svincolata da costi di combustibile e distribuzione perché è un’energia che non si consuma e quindi non si paga.
Quanto durerà la riserva di uranio e quindi quanto potrà garantire energia?
L’autonomia lasciata dall’uranio, con i consumi e il riprocessamento attuali, è di circa 80 anni.
Se si realizzassero, a tecnologia invariata, i reattori programmati e proposti si scenderebbe a 60 anni. Ed anche se venisse smantellato tutto l’arsenale militare mondiale, in cui è accumulato uranio, si potrebbero alimentare i reattori civili attuali per non più di 10 anni.
Il nucleare viene definito “energia pulita” perchè emette meno CO2. È d’accordo?
Un reattore nucleare non emette direttamente CO2, ma il ciclo dell’uranio, dall’estrazione al confinamento delle scorie, ed il ciclo delle centrali, dalla costruzione allo smantellamento, producano, indirettamente, grandi quantità di CO2. Le stime sulle emissioni indirette lungo la filiera nucleare sono contraddittorie, ma studi accreditati indicano una media pari ad 1/3 delle emissioni di un ciclo a gas e 1/6 di una centrale a carbone. Bisogna considerare però che quando diminuirà la concentrazione dell’uranio nella crosta terrestre servirà più energia per estrarlo e lavorarlo, tanto che – secondo parte della ricerca – le emissioni di CO2 arriveranno ad eguagliare quelle del ciclo a gas.
Il nucleare dovrebbe portarci all’autonomia energetica e quindi farci risparmiare sulla bolletta…
Questa è una delle più forti pressioni ideologiche e mediatiche per convincerci della necessità del nucleare. È vero che il petrolio viene dai paesi arabi ed il gas da Russia e Libia, politicamente inaffidabili. Ma pochi sanno che, nel 2009, solo 1/3 dell’uranio è stato estratto in paesi stabili, come gli USA. L’altra metà è arrivata da Kazakhistan, Niger, Russia, che non sono certo dei campioni di democrazia e il rimante da arsenali militari in smantellamento, per lo più ex sovietici.
Quindi, NO: il nucleare non può portare all’autonomia energetica, perché il combustibile, sia esso petrolio, gas o uranio, va sempre comprato dall’estero. Il risparmio sulle bollette poi è illusorio. Tutte le stime sull’energia elettronucleare da impianti nuovi prevedono i costi in continuo aumento e fuori mercato. In un mercato liberalizzato nessun privato accetterà – ne ha mai accettato – di costruire e gestire centrali a suo rischio, le imprese si metteranno in gioco solo se assisitite dagli Stati, che caricheranno i costi sulle tasse.
La ricerca lavora per arrivare a scorie in grado di decadere in migliaia di anni. Chi garantirà sulla gestione dei residui radioattivi da parte “dell’umanità di domani”?
Cercare di trasformare le cosiddette scorie in elementi a vita più corta o stabili è logico e da perseguire. Non possiamo lasciare alle generazioni future l’onere di trovare soluzioni ai nostri guasti ed il costo dei nostri danni. Tuttavia i reattori di ultima generazione sono solo sulla carta e comunque non porteranno alla distruzione completa dei residui. Visto che in 50 anninon abbiamo trovato una soluzione ai rifiuti nucleari è ragionevole smettere di incrementare centrali con questa tecnologia.
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Sergio Zabot, ingegnere laureato al Politecnico di Milano, è specializzato in Ergotecnica e successivamente in Energetica. Autore di numerose pubblicazioni e rapporti scientifici, ha coordinato diverse ricerche nel campo dell’uso razionale dell’energia e delle fonti rinnovabili ed ha partecipato a numerosi programmi e progetti internazionali. Attualmente dirige il Settore Energia della Direzione Centrale Risorse Ambientali presso la Provincia di Milano dove ha ideato e coordina il Piano di Azione Provinciale per l’Efficienza Energetica.
Giada Oliva, giornalista, si è occupata a lungo di Paesi in via di sviluppo e di cooperazione internazionale. Attualmente lavora nell'ambito della comunicazione politica e continua a seguire ciò che accade dall'altra parte del pianeta.