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“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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LE INCHIESTE DEGLI STUDENTI – Perché la P2 decide ancora la nostra vita

17-02-2011

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La P2, il venerabile e i suoi continuatori

Ogni giorno i media riportano un’immagine degradata, a volte squallida di una situazione politica apparentemente destinata alla rovina. Spesso noi giovani ci chiediamo se in Italia è sempre andata così o se la Seconda Repubblica ha peggiorato le cose. E la Prima allora com’era? Ogni tanto ritornano concetti che sembrano lontani, persi nel tempo: Tangentopoli, Terrorismo rosso e nero, P2, passaggi cruciali che sicuramente la nostra generazione dovrebbe approfondire per capire l’oggi.

Cos’era la Loggia P2 e perché quell’esclamazione, “Piduista!”, si sente ancora nei palazzi romani? Forse non è poi un capitolo chiuso come immaginavamo. Forse il revisionismo degli ultimi anni sta sminuendo quello che in realtà non era solo un circoletto di amici che sbrigavano affari loschi. Anzi, proprio il contrario. La P2 era un partito trasversale, estremamente potente che rispondeva a logiche internazionali; secondo Gianni Barbacetto (che ha scavato nel passato con articoli e libri) la P2 era la trasformazione del “partito del golpe”, che agì dal ’69 – strage di Piazza Fontana – fino al ’74, un’entità in contatto con l’amministrazione repubblicana Usa, che spingeva verso una svolta autoritaria nel nostro paese, anche sostenendo gli autori delle stragi: era la “strategia della tensione”. Dopo la caduta del presidente Nixon, il partito “atlantico” si trasforma, cambia rotta, cerca di infiltrare i propri uomini ai vertici delle istituzioni, condizionando i momenti più importanti della storia italiana recente. Tutto questo negli anni Settanta. E oggi?

Poco tempo fa ha fatto scalpore la cosiddetta P3, che pur non essendo minimamente paragonabile alla loggia massonica Propaganda 2, dimostrerebbe, secondo Barbacetto, che c’è una continuità con quel mondo, che però non ha più bisogno di una loggia strutturata come era la P2 perché oggi ci sono partiti di governo che sono palesemente quello che la P2 era in maniera occulta. Ci domandiamo cos’altro debba succedere prima che gli italiani riescano a prendere coscienza del brodo in cui siamo immersi. Quello che ci stupisce più di tutto non è tanto che queste logiche di potere esistono ancora, ma il fatto che oggi sono apertamente sbandierate senza che nessuno si scandalizzi. Come può il programma di una loggia segreta diventare l’agenda di un partito di governo senza che nessuno se ne accorga?

Il disastro democratico di oggi fu programmato trent’anni fa

Sono molti gli argomenti toccati dal Piano di Rinascita Democratica, elaborato da Licio Gelli e dai suoi “esperti”, ma tre sono i punti cardine del programma: il controllo dei media, la riforma della magistratura e la spaccatura del fronte sindacale.

Il vero potere risiede nelle mani dei detentori dei mass-media.

Lo sapeva bene Licio Gelli (gran maestro della loggia segreta) perché, attraverso il controllo sulla stampa, la loggia è arrivata a manovrare testate come il “Corriere della Sera” e a infiltrare i suoi affiliati in tutto il panorama dei quotidiani e dei settimanali nazionali. È soprattutto grazie all’allora rampante imprenditore del cemento Silvio Berlusconi (tessera n° 1816) che la loggia realizza questo obiettivo. È lui il primo ad attaccare il monopolio delle trasmissioni della televisione di Stato. La questione dei diritti sulla trasmissione del “Mundialito” del 1980 è il primo passo in questa direzione, che sfocia nella creazione di un polo televisivo privato concorrente alla Rai: TeleMilano 58, divenuto poi Canale 5, è l’embrione (e l’emblema) dell’impero mediatico berlusconiano.

Più di recente – correva l’anno 2002 – il Cavaliere, questa volta nelle vesti di presidente del consiglio, emana il cosiddetto “editto bulgaro” col quale occupa la televisione pubblica – decidendo di fatto la linea editoriale della Rai – ed elimina alcune voci dissidenti (Michele Santoro, Daniele Luttazzi ed Enzo Biagi). Prosegue in questo modo la linea di Gelli secondo la quale i media devono essere uno strumento di consenso al servizio del governo, e non il “cane da guardia del potere”, garante della democrazia.

Passiamo alla magistratura. Anche questa andava ovviamente sottomessa ai voleri piduisti: prevede la divisione delle carriere tra il ruolo del pubblico ministero e del magistrato. Vi dice niente? E la responsabilità del Consiglio superiore della magistratura nei confronti del parlamento? Probabilmente sì, perché è un tema presente nell’agenda politica dalla fine della Prima Repubblica, e ancor di più da quando il presidente Berlusconi ne ha fatto una questione personale. Esemplare in questo senso è il “lodo Alfano” che prevede la separazione delle carriere, la legge bavaglio contro le intercettazioni e un controllo sempre più pressante da parte della politica sulla magistratura. Lascia di sasso che pure la sinistra abbia contribuito in qualche modo a preparare il terreno per questi provvedimenti, ad esempio con la bozza Boato approvata nel ’98 anche con i voti dell’Ulivo.

Il programma prevede di spaccare il fronte unitario dei sindacati. Lo scopo è di ricondurli al ruolo di “collaboratore del fenomeno produttivo” al posto di quello ritenuto illegittimo di controparte nei confronti del governo e del mondo industriale. La strategia messa in atto da vari governi ha portato al conseguimento di questo obiettivo nella primavera del 2002, con la firma del “patto per il lavoro”; obiettivo raggiunto, visto che delle tre sigle sindacali solo la Cgil rifiuta di siglare l’accordo.

Un altro aspetto, più generale, è evidente nell’azione di governo degli ultimi anni. Non a caso anche questo riguarda uno dei punti fondamentali del programma gelliano ed è quello che tocca più da vicino le istituzioni democratiche. Soprattutto nel corso della legislatura conclusa nel 2006 è stata molto forte l’insistenza sul bipolarismo e sul metodo di elezione del presidente della Repubblica. La strategia è quella di eliminare gradualmente il sistema partitico della “Prima Repubblica”, basato su una miriade di partiti anche di piccole dimensioni per giungere a un sistema simile a quello anglosassone. Costruito su due grandi formazioni contrapposte richiama infatti “l’immediata nascita di due movimenti: l’uno sulla sinistra (a cavallo fra Psi-Psdi-Pri-Liberali di sinistra e Dc di sinistra), e l’altro sulla destra (a cavallo fra Dc conservatori, liberali, e democratici della Destra Nazionale)”.

Il vantaggio che la loggia avrebbe da questo sistema è che entrambe le formazioni darebbero vita a un dibattito politico di facciata, essendo entrambe di fatto controllate da affiliati, a uso e consumo dell’elettorato. L’altra istituzione profondamente toccata – per il momento solo negli intenti – è quella del Capo di Stato; in più di un’occasione è stata proposta l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Cosa sarebbe successo in questi giorni se il ruolo del Capo dello Stato fosse coordinato con gli interessi del governo e del suo presidente?

Mettendo assieme le diverse tessere del puzzle, si ha un quadro nel quale le istituzioni sono di fatto staccate dalla base, mantenendo solamente la forma democratica, mentre nella sostanza la decisione politica avviene solamente nelle alte sfere, in un rapporto diretto di corruzione tra le parti politiche e il mondo imprenditoriale ed industriale. Un modello di società, secondo Gherardo Colombo (il magistrato che assieme al pm Giuliano Turone ha scoperto l’esistenza della P2) “fortemente gerarchico e verticale, dove chi sta in alto può e chi sta in basso deve”.

In questo sistema creato quarant’anni fa in qualche salotto fumoso tra Roma e Milano, ci viviamo. Tutti quanti. Ma noi che ci siamo nati ne paghiamo e ne pagheremo le conseguenze. Chi l’ha creato invece…

Chi sono i protagonisti e cosa sono diventati

Nell’elenco ritrovato a Castiglion Fibocchi – elenco contenente i nomi di 962 iscritti – si contano ben 422 impiegati statali. Dopo lo scoppio dello scandalo gran parte degli iscritti ha semplicemente negato ogni legame con l’organizzazione segreta, altri si sono difesi affermando di essere entrati nella P2 prima della gestione di Gelli; altri ancora dissero di essere stati inseriti a loro insaputa. Il mistero si infittisce maggiormente se si tiene conto delle affermazioni dello stesso Gelli, che nel ’76 dichiarava di poter contare ben 2400 iscritti.

Queste parole confermerebbero l’esistenza di una seconda lista, forse nascosta a Montevideo nella residenza dell’ex-Venerabile. Guardando però ai fatti concreti il destino dei molti personaggi iscritti negli elenchi non è poi tanto differente da quelli rimasti nell’ombra, poiché l’accusa principale mossa contro i massoni di Gelli – cospirazione contro la Repubblica – cade con un proscioglimento generale.

È sbalorditivo scoprire come le indagini non abbiano mutato in alcun modo la carriera degli affiliati oggi più potenti. Per quanto riguarda gli ufficiali dell’esercito ci sono state 47 misere inchieste disciplinari che si sono concluse con solo sette sanzioni, nella maggior parte dei casi meri rimproveri. Risultati simili si sono riscontrati alla fine delle indagini effettuate su carabinieri, polizia e guardia di finanza, dove molti iscritti sono stati prosciolti basandosi solamente sul loro diniego. Unico campo dove è stata effettuata una reale bonifica è stato quello della magistratura, attraverso la Corte di Cassazione. Sanzioni che però non hanno in alcun modo frenato l’ascesa di personalità coinvolte. Come Giuseppe Renato Croce, giudice per le indagini preliminari a Roma. Anche all’interno dei servizi segreti alcuni elementi sono stati presto sostituiti. Al contrario, pare che nei vari ministeri nessun piduista abbia perso il posto ricoperto prima dello scandalo, se non per assumere impieghi di maggiore o pari rilevanza.

Una ricerca sulla vita degli altri protagonisti dopo lo scandalo risulta ovviamente un lavoro estremamente lungo e complesso. Alcuni di loro, come è noto, sono deceduti poco dopo in circostanze misteriose: il bancarottiere mafioso Michele Sindona morì avvelenato in carcere con il caffè e Roberto Calvi del Banco Ambrosiano fu assassinato a Londra. Il giornalista Mino Pecorelli fu ucciso ancor prima, nel ’79, forse perché in possesso di materiale scottante riguardante il caso Moro (materiale che forse avrebbe collegato concretamente la P2 al sequestro, legame che a oggi è solo ipotetico). Gelli, il capo della loggia (o forse no, poiché è noto che negli elenchi mancano tre nomi, tre persone di assoluta importanza che sono tuttora senza un volto), è agli arresti domiciliari, confinato a villa Wanda per il crac del Banco Ambrosiano – fuori dalle carceri per supposti problemi di salute.

Per quanto riguarda il gruppo dei politici si riscontrano nomi che già nel 1994, appena calmate le acque, figuravano nell’entourage del governo Berlusconi. Come Publio Fiori – già democristiano – che diventò ministro dei trasporti (nel 2001 il tribunale di Roma ha tuttavia escluso la sua appartenenza alla loggia). Antonio Martino, non presente negli elenchi ma aspirante piduista, divenne ministro degli esteri per poi essere nominato ministro della difesa nel secondo e terzo governo Berlusconi; tutt’oggi è deputato Pdl. Gustavo Selva, ex direttore in Rai, assegnato alla commissione esteri nel ’94, per diventare più tardi senatore della XV legislatura. Nel 2008 dichiara candidamente:

Se avessi saputo che nella P2 c’erano tanti galantuomini, prefetti, questori, militari, mi sarei iscritto anch’io.

Rimpianti di una vita. È noto a tutti invece quanto successe a Duilio Poggiolini, uscito indenne dalla P2 ma distrutto da un altro scandalo, Tangentopoli – scandalo che era già annunciato nei documenti di Gelli, ma come si suol dire, “i tempi non erano maturi”. Al contrario, è stata una carriera in ascesa quella del senatore Fabrizio Cicchitto, oggi capogruppo del Pdl, a suo tempo cacciato e poi riammesso nel partito socialista.

Il destino dell’affiliato più famoso è risaputo; come si è detto sopra infatti, il programma del partito berlusconiano ha in gran parte ripreso gli intenti gelliani, portando al potere l’imprenditore piduista. Interrogato a proposito della propria iscrizione, Berlusconi ha cambiato per ben tre volte la propria versione, negando o ridimensionando i fatti, come sua abitudine. Il Cavaliere del resto è solo il caso più vistoso della mancata bonifica operata all’interno del settore politico il quale conta ben pochi casi di emarginazione (cercata o forzata, vedi il caso di Pietro Longo, allora segretario del Partito Socialdemocratico, che divenne per tutti l’immagine del politico corrotto e piduista; verrà arrestato nel 1993, nel periodo di Tangentopoli).

Passando invece ai giornalisti reclutati da Gelli, il nome più famoso è sicuramente quello dell’onnipresente Maurizio Costanzo il quale, anche grazie all’affermarsi dell’organizzazione, diventò prima direttore della “Domenica del Corriere”, poi del quotidiano “L’Occhio” e infine del telegiornale “Contatto”. All’esplosione dello scandalo il quotidiano fallisce, ma la carriera di Costanzo non si arresta in nessun modo. Il conduttore era solo la punta di diamante del blocco editoriale di Gelli, che poteva contare sul pieno appoggio di Angelo Rizzoli, editore del “Corriere della Sera” e di altre testate. “Angelone” rinasce come produttore cinematografico poco dopo lo scandalo e che, grazie a un ricorso salvifico in Cassazione nel 2009, risulta incensurato. È interessante notare come buona parte dei giornalisti coinvolti nello scandalo siano stati pian piano riassorbiti all’interno delle riviste o delle televisioni berlusconiane; come Claudio Lanti, direttore pluriennale di “Velina Azzurra” (rivista di partito), e Roberto Gervaso, scrittore nonché conduttore su Rete 4, almeno fino a poco tempo fa.

Un nome non presente nelle liste, ma legato a doppio filo con la loggia è quello di Flavio Carboni, professione faccendiere, che compare spesso durante le indagini degli anni Ottanta vicino ai nomi di Gelli e di Berlusconi. Proprio Carboni, alcuni mesi fa, è tornato sulle pagine dei quotidiani per la sua appartenenza alla P3, quell’organizzazione che il Cavaliere definisce come un circolo di “sfigati e pensionati”.

Tutti questi nomi confermano il pensiero di Barbacetto quando dice che per comprendere quello che succede oggi resta essenziale leggere la storia dell’Italia recente – della P2 in primis – perché, per usare le sue parole:

Gli uomini, le logiche ed i programmi sono passati dalla Prima alla Seconda Repubblica e continuano ancora oggi.

La nostra generazione come può liberarsi dalla ragnatela della massoneria deviata?

In Italia passiamo sopra a tutto, lasciamo correre. Se giovani di altre nazioni occidentali andassero a scavare nel passato dei loro paesi trovando simili scheletri nell’armadio, probabilmente avrebbero una reazione più forte della nostra. Confusione, rabbia, disgusto. Noi no. Come si è detto all’inizio, il marcio della politica italiana non è stato scoperto ora, con questa inchiesta. No, sapevamo già chi era Berlusconi, che cosa Forza Italia, che cosa l’impotenza dei magistrati. Non riusciamo a meravigliarci, dunque, non abbastanza, ed è questo il lato peggiore di tutta la faccenda, tutto ci sembra ormai all’ordine del giorno. E questo è possibile solo in un Paese nel quale un primo ministro può permettersi di comperare manciate di deputati alla vigilia del voto di fiducia, sotto gli occhi di tutti. O più semplicemente in un Paese che elegge più volte un premier piduista.

Insomma ben poco è cambiato dagli anni Settanta, la gestione del potere è sempre nelle stesse mani, mani che però oggi non sono più nascoste sotto il tavolo. Ci possiamo solo chiedere cosa sarebbe successo se le indagini sulla P2 fossero proseguite senza intoppi. Gherardo Colombo, ad esempio, è convinto che in tal caso le indagini avrebbero portato alla scoperta di Tangentopoli con ben dieci anni di anticipo.

Il pagamento di tante tangenti tra l’81 e il ’92 non sarebbe mai avvenuto.

Lo confida l’ex magistrato, ormai rassegnato e disilluso. E chissà, forse oggi quelle mani non sarebbero arrivate dove sono ora.

Il 12 marzo 1981 i magistrati Turone e Colombo ordinano una perquisizione ai recapiti noti di Licio Gelli, nell’ambito dell’inchiesta sul falso rapimento del bancarottiere Michele Sindona. A Castiglion Fibocchi, sede degli uffici della società Giole, viene rinvenuto un elenco di 962 iscritti alla loggia massonica segreta P2. Comincia a svelarsi così l’esistenza di una fitta rete di poteri e interessi. È il più grave scandalo della storia repubblicana. La lista verrà resa pubblica solo due mesi dopo per volontà – non proprio ferrea – dell’allora presidente del consiglio Arnaldo Forlani. Le sue dimissioni risultano inevitabili dopo un ritardo di questo tipo. A settembre il Parlamento istituisce la commissione parlamentare di inchiesta sulla Loggia massonica P2, presieduta da Tina Anselmi, che terminerà i suoi lavori tre anni dopo.

L’originaria “Loggia Propaganda” nasce nel 1877 e prende il nome di P2 nel secondo dopoguerra per la numerazione progressiva che coinvolge tutte le altre logge. La figura che la caratterizza principalmente è senza dubbio Licio Gelli; questi riceve l’incarico per la gestione completa della P2 nel 1970 (diventerà “venerabile” nel 1975) e con essa il potere di affiliazione che sfrutta al massimo facendo un vero e proprio lavoro di reclutamento. Ben presto la loggia gelliana assume una fisionomia diversa rispetto alle altre: solo il gran maestro Gelli può scegliere i nuovi adepti (e non attraverso una votazione quindi); gli altri massoni non vi possono entrare per conoscerne l’attività; gli stessi affiliati alla P2 hanno l’obbligo di tenere segreta la loro iscrizione; infine le riunioni sono quasi del tutto abolite per mantenere la più totale riservatezza.

Presto la figura del Venerabile comincia a destare timori all’interno della massoneria e lo stesso Gran Maestro Salvini tenta di escluderlo dal gruppo; Gelli rivolge al GM pesanti minacce e finisce per acquisire ancora più poteri.

La spinta che muove il gruppo è fondamentalmente il timore che l’Italia si apra all’avanzata elettorale del Pci e della sinistra. A questo segue la volontà di disegnare un’efficace strategia anticomunista senza scrupoli, capace di istituire una rete di collegamenti nazionali ed internazionali, di coordinare l’attività di coloro che rivestono ruoli di comando e di potere per poter incidere profondamente nella realtà politico-istituzionale italiana.

Nonostante, durante la gestione Gelli, nel nostro Paese si siano verificati gravi episodi di carattere eversivo, in realtà il processo di smascheramento del vero lavoro della P2 e il coinvolgimento effettivo di tutti i suoi affiliati è stato lungo e travagliato, probabilmente mai davvero completato, anche per via di segreti di Stato e un gran numero di politici collusi.

(PROSSIMA PUNTATA: una multinazionale chiamata P2)

GLI AUTORI DI QUESTA INCHIESTA

Nicola Andreatta

Nicola Andreatta

Giovanni Campanini

Giovanni Campanini

Domenico Mammone

Domenico Mammone

Andrea Sbalbi

Andrea Sbalbi

Cristiana La Marca

Cristiana La Marca

Giovanna Biscaro

Giovanna Biscaro

Sara Florio

Sara Florio

Nicola Andreatta, Giovanna Biscaro, Giovanni Campanini, Sara Florio, Christiana Lamarca, Domenico Mammone e Andrea Sbalbi sono gli autori della ricerca svolta nel corso di Laurea Magistrale in Giornalismo e Cultura Editoriale all'Università di Parma.
 

Commenti

  1. Rosetta Bertolin

    BRAVI!

  2. Ci voleva ora che quasi tutti hanno dimenticato. Questi signori dominano il nostro paese. Dobbiamo fare qualcosa.

  3. Marirosa Daniel

    Complimenti,ottimo articolo. E’ importante non dimenticare per saper leggere il presente.

  4. marco infante

    bravi ragazzi….ottimo articolo.spero che lo leggano tante persone…dobbiamo svegliarci.

  5. Annamaria Cavalli

    Complimenti! Non ci può essere cambiamento senza memoria storica. I giovani devono sapere e non dimenticare…. La P2 è stata il brodo di coltura dell’attuale sfacelo.
    Avanti così!

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