La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Perché votare le due liste della Sinistra

03-06-2009

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Come voterò alla prossime elezioni europee e se, e come, parteciperò, il 21 giugno, al referendum. Dico subito che trovo assai difficile decidere per questa seconda occasione, mentre mi pare di avere maturato una scelta sensata e responsabile a proposito delle elezioni. Cercherò di spiegare come vi sono arrivato e non mi meraviglierò se le vostre decisioni saranno diverse dalle mie. Sono il primo a comprendere che oggi più che mai qualunque opzione è discutibile.

Un voto per l’Europa. Mi pare diffusa una grande sottovalutazione del fatto che andremo a votare non per la ricostituzione del parlamento nazionale ma per quella del parlamento “continentale”. A meno di non condividere l’ottuso pregiudizio che l’Unione europea è un’inutile escrescenza politica, si tratta dunque di partecipare alla rielaborazione di un organismo che necessita di particolari competenze, sia per realizzarne i fini di libertà, eguaglianza e fraternità sia per opporsi alla costante minaccia di trasformazione dell’Unione in una specie di notariato di decisioni prese altrove (l’Europa dei mercanti e dei banchieri) sia, infine, per garantirne un’efficace presenza in campo planetario, in costante dialettica con le altre istituzioni internazionali e con le cosiddette “grandi” potenze. Molti provvedimenti importanti attendono di essere presi a Bruxelles, a cominciare dalle questioni dei flussi migratori e dei diritti umani, Da qui, la necessità di valutare le capacità e le vocazioni internazionali dei candidati, ma, innanzi tutto, lo schieramento al quale appartengono. Emergono allora quattro scelte, per così dire negative: a) che non si può votare Lega, b) che non si può votare PDL, c) che non si può votare UDC, d) che non si può, secondo me, non partecipare al voto.

Non si può votare Lega. La Lega è una presenza regressiva nei confronti di un organismo destinato a creare un concerto di popoli che cercano di realizzare una civiltà della pace nella giustizia. Questa meta, estremamente innovativa in un continente per secoli straziato da terribili conflitti (e ancora contrassegnato da ferite e cicatrici brucianti), richiede una solidarietà creativa che progressi-vamente rimuova barriere, demolisca muri (è il XX anniversario della caduta di quello di Berlino!), renda sempre più evanescenti le frontiere. Per la Lega, l’Europa dovrebbe, invece, essere una fortezza, una cittadella di agiati in armi contro le richieste di chi, chiedendo una vita degna di questo nome, esige di fatto una ridistribuzione delle risorse mondiali. Con uno dei suoi leader più importanti – il delfino di Bossi, Maroni- la Lega ha deposto ogni maschera e teorizzato ormai apertamente la necessità della cattiveria: pietà l’è morta, non solo per gli extracomunitari ma anche per gli europei delle zone povere del continente. La spietatezza usata nel caso dei “clandestini”, brutalmente respinti nell’orrore da cui speravano di sfuggire è la prova più evidente di un egoismo razzista tale da attirare sul nostro paese la condanna dell’ONU. Per me, che mi sforzo di essere cristiano, rimane un penoso mistero che la diffusione di un’ideologia siffatta sia particolarmente elevata in regioni tradizionalmente cattoliche. Negli anni ’70 e ’80 era in quelle città e paesi che nascevano e viveva-no di solidarietà “militante” decine e decine di organismi non-governativi per il soccorso dei paesi del Sud della Terra, travagliati dalla fame, dalle dittature o dalle conseguenze di un mercato selvaggio. Non v’era parrocchia che accanto alla meditazione del vangelo non ponesse l’etica della fraternità… I battesimi, le prime comunioni. le nozze, i funerali erano occasioni per ricordare l’impulso universalista del cristianesimo, la capacità di farsi, secondo la definizione di Balducci, cittadini “planetari”, di dire e di testimoniare, con don Milani, “I care”. La Lega ha saputo frantumare e involgarire questa tendenza sfruttando il terrore di una possibile perdita di identità sofferto dalle persone meno colte, resusci-tando i fantasmi dell’invasione da parte dei “terroni” negli anni ’50. Anche allora, del resto, il peso di una integrazione fra residenti e immigrati fu addos-sato su alcune categorie: come quella, quasi eroica anche oggi, delle insegnanti elementari. La “normalizzazione” post-conciliare dei seminari e la paura dei vescovi e dei preti per la crescente presenza dell’Islam hanno avuto gran parte, insieme al dissolvimento della rete di circoli, sezioni, associazioni, nell’instau-razione di una cultura consumista in cui ci si raggruppa nell’egoismo di comitati di quartiere, preoccupati soltanto che certi spettacoli non si vedano.

Il voto al PdL. Non insisto sull’impossibilità morale di votare PdL perché so bene che fra i miei lettori ci sono ben pochi berlusconiani e anzi, giurerei, nessuno. La candidatura europea del Cavaliere, e la certezza che egli dovrà, appena eletto, dimettersi, alimenta le beffe di chi non dimentica le sue performances internazionali: la sua mania di baciare i colleghi (prima o poi ci riuscirà anche con Benedetto XVI), i suoi inviti agli affaristi americani a venire in Italia perché “abbiamo molte belle segretarie”, i suoi insulti ai parlamentari europei che pretendono di criticarlo, i suoi cucù, le sue corna, le sue vanterie seduttive nei confronti di rocciose governanti scandinave, le sue invocazioni a Obama nell’austerità di Buckingham Palace, le sue agghiaccianti barzellette, che gli valgono in Francia il soprannome di Pisse-froid. Peggio (molto peggio!) ancora: la sua detestazione per ogni forma di controllo democratico, il suo perenne ricorso al vittimismo nei confronti dei giudici e le disinvolte dichiarazioni di essere sempre stato assolto, quando la verità è che i reati di cui era accusato sono andati in prescrizione grazie alle tattiche dilatorie dei suoi avvocati o sono stati “sbiancati” da leggi ad personam, tutto questo è lo schermo preoccupante di situazioni ancor più allarmanti. Come nota il Financial Times, che non è propriamente un organo comunista, “il pericolo di Berlusconi è la demonizzazione degli avversari e un rifiuto di lasciare spazio a qualunque potere di controllo”. Votare PdL è ampliare questo pericolo, la drammatica realtà è che nel PdL, se si escludono Fini e Tremonti, non esiste più una classe politica di governo, esistono soltanto i proni funzionari di un’azienda-nazione. Ha ragione Veronica Lario: non siamo alla dittatura ma a un (basso) impero del quale sono da temere eccessi di tutti i tipi e, aggiungo io, l’estremismo più pericoloso: quello della mediocrità.

Il voto all’UDC. È possibile votare un partito che ha fra i suoi vertici il senatore Salvatore “Totò” Cuffaro, condannato per favoreggiamento di un mafioso? Un partito che esibisce come biglietto da visita elettorale il ballerino Filiberto di Savoia, il quale si vanta di essere “parente di quasi tutti i governanti europei”, come se fossimo ancora al tempo delle monarchie? Un partito che candida orgo-gliosamente Magdi Cristiano Allanm giornalista arabo italianizzato, ex musulma-no, battezzato sotto i riflettori della televisione, un uomo che sparge detesta-zione per l’Islam e venerazione per lo stato di Israele? Un partito che ha come suo leader l’onorevole Casini, esempio di assoluta coerenza: transitato per tutte le correnti DC, poi nel mondo della Destra con Berlusconi, senza Berlusconi, contro Berlusconi, domani chissà?

Non andare a votare. Sin qui la mia personale inchiesta mi è risultata facile. Ma poi? Sono avviato verso gli 81 anni e calcolo di aver dovuto affrontare il mio dovere di elettore almeno una cinquantina di volte. Credo di avere votato DC in 5 o 6 occasioni, una volta “Comunità”, una volta il Movimento Politico dei Lavoratori, per il resto, sempre, per la sinistra propriamente detta: PDUP, PCI, PDS, DS, Rifondazione, Sinistra Arcobaleno. Questo significa che, nella quasi totalità dei casi, ho votato partiti di opposizione, di minoranza. In parte la mia scelta era dovuto alla conoscenza ravvicinata di persone eccezionali (Zacca-gnini, Basso, Labor, Castellina, Pintor, Lombardo Radice, Ingrao…), in parte alle mie convinzioni religiose. Credo nella laicità della politica ma credo anche che il vangelo mi imponga di preferire i movimenti che mi sembrino occuparsi con maggiore coinvolgimento della situazione dei poveri, i “nostri” e quelli “esterni”. Essere con le minoranze ha significato per me vedere bocciate proposte che mi sembravano valide, e vanificate fatiche, sentirmi accusato (anche da amici e persino da parenti) di estremismo, e avere spezzata la mia carriera nella RAI. E però ho avuto la gioia di conoscere donne ed uomini straordinari, capaci di spendersi per la creazione di un mondo migliore, e la mia vita è stata illuminata di entusiasmi e di fatiche aperte ai sorrisi della solidarietà. Non sono mancati, com’è ovvio, momenti duri e anche durissimi. Vi sono state occasioni in cui ho pensato di non andare a votare. Talvolta mi è sembrato che le forze in campo fossero così sproporzionate che il mio impegno e quello dei miei compagni e compagne sarebbe stato del tutto inutile. Talvolta che la democrazia fosse così infestata da poteri occulti che le elezioni non avrebbero avuto che il valore di un rito. Talvolta che nella mia stessa parte non mancassero persone di pericoloso settarismo. Allora cedevo allo sconforto – o addirittura a una sensazione di nausea – e mi sembrava giunto il momento di mostrare ai professionisti della politica che anche persone ostinate come me mandavano al diavolo baracca e burattini; e arrivavo a domandarmi se per caso non valesse il “tanto peggio tanto meglio”: se una più vasta astensione non avrebbe provocato un benefico choc nel sistema politico. Nello squallore di una situazione che ha gravità inconsuete, queste sensazioni e tentazioni sono state nelle settimane scorse ben vive in me, come in tanti miei conoscenti.

E però, dopo averci seriamente riflettuto, sono profondamente convinto di doverle respingere, come in passato. In politica non esistono vuoti, le astensioni contano, di fatto, come voti attribuiti alla maggioranza, ne ingrandiscono la vittoria, segnalano diserzioni e disperazioni, rinsaldano nei potenti la convin-zione di poter esercitare abusi, in un paese arreso o indifferente. Nell’impos-sibilità di distinguere gli scontenti e gli indignati dai menefreghisti, la politica perde i suoi contorni a favore di una apparente massa di inetti, ammaestrati dal monopolio televisivo. Più che nelle altre vicende della nostra storia nazionale, nelle elezioni che ci stanno davanti un sensibile aumento delle astensioni rafforzerebbe ulteriormente il progetto berlusconiano e della P2, in cui tutti i poteri sono nelle mani di un regime sempre più populista e autoritario. Non sarebbe la dittatura, forse, ma qualcosa di molto simile. La presente recessione economica (la più grave degli ultimi ottant’anni) ha trasformato l’Italia in un paese cupo e smarrito in cui le paure degli anziani si mescolano alle profonde incertezze e a un avvilente senso di inermità di centinaia di migliaia di giovani.

Dunque, votare è necessario, nonostante le difficoltà di riconoscersi nel venta-glio delle forze di opposizione. È necessario mostrare che non sono poi tanto poche e pochi le elettrici e gli elettori che pongono la loro obiezione di coscienza.

L’Italia dei valori e il Partito Democratico. Tra le forze d’opposizione, quelle più notevoli per dimensioni sono, come tutti sappiamo, l’Idv e il PD. So che alcuni miei conoscenti voteranno il partito di Di Pietro e rispetto la loro scelta. Dirò francamente, tuttavia, che a me l’Idv non piace. Mi rallegra quando leva la voce contro le mascalzonate della maggioranza ma più spesso mi sembra connotata da un populismo parallelo e simmetrico a quello del Cavaliere. La sua proget- tualità è scarsa, rudimentale, marcata da insuccessi che ne rivelano i limiti.

Ho molta simpatia per Dario Franceschini. Sta bravamente cercando di portare il PD a un concetto di opposizione più ferma, chiara e articolata di quella dei suoi predecessori. Questa “linea” ha certamente resuscitato simpatie e consensi in un elettorato cui sembrava che certa, come dire?, paciosità nei confronti di Berlu-sconi, finisse per sfociare in un consociativismo, preoccupato soltanto di porre qualche limite allo strabordare di Forza Italia. Perché, allora, non voterò PD come tanti dei miei amici? Ecco: la mia impressione è che nonostante tutto, il PD raccolga piuttosto la tradizione della DC che quella della sinistra parlamentare. I suoi esponenti ex PCI si presentano come cauti riformatori, i suoi esponenti teo-con ricordano la destra democristiana e hanno nel partito un peso spropor-zionato, grazie a un vantato prestigio in Vaticano; i cristiano-sociali, nobile pattuglia conciliare, non riescono a evitare che il cosiddetto interclassismo caro alla “dottrina sociale della Chiesa” sbiadisca tensioni anziché indurire una lotta, doverosa ma anche possibile, a tutela dei diritti dei poveri. A causa di questi problemi interni, il PD sembra incapace di prendere posizioni forti nel paese, di mettere le sue strutture al servizio dei movimenti che si oppongono alla devastazione della scuola pubblica, all’immiserimento della ricerca scientifica, alla crescente distruzione del welfare. Appare incerto nella sua fisionomia, come in attesa di un evento catastrofico che ancora non è sicuro ma che appare possibile e forse probabile: per esempio di una trasmigrazione di Rutelli & C. in un partito di centro “cattolico”, da costruire con Casini e la benedizione del cardinale Scola, patriarca di Venezia (e di CL).

E non mi piace, del PD, il quale aggrega poco più di un quarto dell’elettorato, la strategia e la tattica del bipartitismo (il solo PD contro il monolito berlusco-niano), il suo arroccarsi in “splendido isolamento”, come unico partito di opposizione, con una specie di disprezzo per le altre formazioni politiche italiane. Comprendo bene, tuttavia, che proprio questa tattica elettorale convo-gli verso il PD il voto di tante brave persone, preoccupate di costruire uno sbarramento alla deriva autoritaria del paese. Dirò di più: se pensassi che il problema fosse soltanto questo, di creare in parlamento un argine allo strapotere berlusconiano, forse anch’io voterei PD. Ma in queste elezioni non si vota per il parlamento italiano e il pericolo di un aumento dell’elettorato di destra non è il solo. C’è anche (o è lo stesso pericolo ma su un diverso versante della vita nazionale) il pericolo di una nuova emarginazione della sinistra: già assente dal parlamento italiano, essa verrebbe cacciata anche dal parlamento europeo. Non credo che chi ha a cuore l’ideale di una democrazia arricchita da un massimo di pluralismo possa pensare che questa eliminazione (la quale comporterebbe assai gravi riflessi anche nel nostro paese) sia un avvenimento augurabile.

Nei 130 anni della sua storia, la sinistra italiana ha commesso errori di tutti i tipi. Ha pensato di poter essere forza di governo e insieme di opposizione, di potersi concedere lunghissime fasi costituenti, infinite e astruse polemiche e reciproche scomuniche, ha avuto nostalgie leniniste e nostalgie proudhoniane, ha eretto le sue Inquisizioni e festeggiato piccoli trionfi senza accorgersi che erano effimeri. Ha creato cultura come nessun’altra parte politica, ha offerto interpretazioni dei destini umani e colto il dolore degli umili, forse più delle chiese. In nome di tutto questo si è ininterrottamente frantumata, nel nostro Occidente, ogni volta dando luogo a due coaguli (o più) “di unità”: e come altre volte è avvenuto, a queste elezioni si presenta, sciaguratamente, in due tronconi, in aperta concorrenza e polemica fra loro. Tuttavia a leggere bene la storia di questa sinistra democratica, è chiaro che le velenose contrapposizioni personali, i settarismi infantili, le tentazioni di violenza, tutto questo ciarpame individua-lista non hanno mai potuto scalfire una verità: che la sinistra, in Italia come altrove, è stata la protagonista delle lotte più generose e importanti della storia, il tentativo di riaffermare il principio di eguaglianza fra le persone, un principio che le forze di destra hanno di fatto sempre negato e quelle “di centro” cautamente trattato, in nome della “ragionevolezza”.

Non c’è mai stata in Italia durevole conquista di giustizia e dignità umana senza l’apporto determinante della sinistra e dovunque la sinistra è stata repressa, coartata e/o vittima delle sue contraddizioni, lì è cresciuto in proporzione diretta, l’autoritarismo dei governi. Vale anche per l’oggi: l’estromissione della sinistra dal parlamento nell’aprile dell’anno scorso ha avuto riflessi politici immediati. Il tono provocatorio della maggioranza, il suo cinismo, la sua arroganza sono aumentate, la sfida ai sindacati indurita, la volgarità della progettazione, trasformata in ferocia. Il “pacchetto-sicurezza”, che ha già passato il vaglio del senato contiene norme scellerate, gli attacchi alla magistratura si sono incarogniti, la complicità con Israele approfondita, l’impoverimento del sistema sanitario sfrontatamente avviato, mentre l’inerzia del governo di fronte alla miseria che colpisce almeno il 10 oer cento delle famiglie italiane rivela la lontananza siderale fra il Lider Maximo di Arcore e la realtà del paese. Il governatore della Banca d’Italia prevede un durissimo aumento della disoccupazione…

Voterò a sinistra, ancora una volta. Quale delle due? Io non credo nelle scomuniche, credo nel duro cammino da fare, e da ricominciare ogni volta che abbiamo sbagliato la direzione. Guardo le due liste elettorali e le vedo fitte di nomi di persone che conosco, uomini e donne, pieni di idee e di voglia di fare, onesti, distaccati da ogni conflitto di interesse. Voterò per tre di loro: di fronte a ciò che c’è da fare seguirò la mia vecchia bussola, il cui ago ormai trema ai miei passi ma continua a segnare il Nord della mia vita: la convinzione che bisogna essere attenti a ciò che unisce piuttosto che a ciò che ci divide.

(Avevo promesso ad amici ed amiche di specificare le “preferenze” che segnerò sulla scheda. Allora, a costo di sembrare un ingenuo – che nel linguaggio di certa politica significa stupido – racconterò che pensando alle persone da eleggere ho innanzi tutto pensato a quelle che se ne sarebbero tornate a casa dopo avere svolto un eccellente lavoro. Ora, di tutti gli europarlamentari di cui ho seguito per anni l’attività, quella che più ha suscitato la mia ammirazione per il suo coraggio, il suo intuito, la sua saggezza, la sua capacità di fare rete è Luisa Morgantini. Speravo che, nonostante i suoi quasi settant’anni, sarebbe stata ricandidata. Invece ho trovato un suo appello a votare Giuliana Sgrena. Non credo di poter dire che Giuliana sia mia amica ma certamente la stimo molto come coraggiosa giornalista e come donna di cultura. Il suo drammatico sequestro in Iraq, il suo coinvolgimento nel “caso Calipari” sono ancora ben presenti nei miei ricordi e perciò ho accolto con piena convinzione il suggerimento di Luisa. E poiché credo che negli anni terribili della presidenza Bush anche l’Europa sia stata infettata dalla cultura del disprezzo dei diritti umani, voterò anche due altri candidati di SINISTRA È LIBERTA’ che si sono distinti nella lotta alla tortura, alle carceri disumane, alle renditions.

Ettore MasinaEttore Masina, giornalista e scrittore. Ha lavorato ne "Il Giorno" di Italo Pietra. Primo vaticanista della televisione italiana, poi nel TG2 di Andrea Barbato. Nel 1964 ha fondato e per trent’anni diretto un’associazione di solidarietà internazionale (Rete Radiè Resch) tuttora attiva in vari paesi. Tra i suoi libri "Romero, il vescovo deve morire", "Le barche sono rotonde" (G.O.); finalista al premio Viareggio con "Il vincere" (edizioni San Paolo). Deputato per due legislature, è stato scelto all’unanimità dai gruppi parlamentari come presidente del Comitato della Camera per i diritti umani.
 

Commenti

  1. Alfredo G.

    Grazie per i pensieri e le riflessioni che ha voluto condividere con passione e saggezza. Mi trovo in gran parte d’accordo.
    Il disamore per una certa politica dominante e la poca informazione sui veri progetti dei candidati mi lascia ancora molti dubbi. Ma credo e sperimento che la società civile è spesso più avanzata di tanti che vogliono rappresentare il paese. Manca un po’ l’ascolto e l’incoraggiamento delle istituzioni.
    Buon voto! ma soprattutto auguro a tutti che ogni giorno ci porti attenzione e disponibilità a capire e amare.

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