La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Vivalascuola: appunti d’assessore tra cifre e finestre sociali

24-03-2011

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Scuola - Elaborazione grafica di Edoardo BaraldiTutti i casi della nostra vita sono materiali di cui possiamo fare ciò che vogliamo
Novalis

1.- L’ultima me l’ha raccontata la dietista. Una madre, col figlio iscritto in una classe a Tempo Pieno (con l’obbligo, quindi, della mensa), le presenta un certificato col quale un medico richiede per l’alunno una dieta speciale: consumare ogni giorno pasta in bianco con olio.

«Perché?…», domanda la dietista, «ha qualche malattia?…»
«No, risponde la mamma, è che a lui piace solo questo…»
«Ma no, signora!… Non si può fare…».
La dietista, con una pazienza che le conosco, ripete alla madre la solita spiegazione: i bambini, piano piano, devono imparare a mangiare di tutto; è importante che seguano un’alimentazione corretta; ecc. ecc.

Quella della refezione scolastica (o della ristorazione, come preferisce dire qualche collega) è una delle preoccupazioni principali di un assessore alla pubblica istruzione. A Cologno Monzese (più di 47 mila abitanti, a nordest del capoluogo lombardo, sulla tangenziale per Venezia) da oltre trent’anni funziona un Centro Unico di Cottura, prima gestito direttamente dal Comune, poi dato in concessione a una società del settore. Nell’anno scolastico in corso fornisce 3.557 pasti, destinati ad alunni di scuola dell’infanzia, elementare e media.

Ce n’è sempre una. Una volta è la grammatura: le porzioni messe in tavola sarebbero insufficienti. Un’altra volta è la qualità: le pere abate sarebbero troppo piccole. Un’altra volta ancora è il piatto del giorno: l’accoppiata polenta-brasato, secondo alcune mamme, non si dovrebbe fornire a pargoletti di stomaco delicato, ecc. ecc. C’è sempre qualcosa che non va. E probabilmente è così. Nel senso che basta lo 0,02 per cento che abbia qualcosa da dire o ridire e mi ritrovo a dover rispondere a 72 segnalazioni (lettere, email o telefonate). Per fortuna, siamo a livello dello 0,002 per mille.

Farsi un giro per un refettorio e buttare l’occhio sui tavoli è esperienza sempre istruttiva. Apre finestre interessanti su diversi comportamenti educativi.
Ieri ho invitato il Sindaco a venire con me nella scuola Tal dei Tali. Un primo cittadino ha bisogno di contatti diretti. Salutiamo i bambini, stringiamo le mani al personale docente e a quello addetto alla mensa. Dopo aver girato un po’ per i due refettori: di prima e seconda (oltre 120 alunni) e di terza, quarta e quinta (oltre 180 alunni), ci sediamo al tavolo delle maestre di quinta.

Primo piatto: riso e piselli. Mangia lui e mangio io: buono e leggero. Non sono un patito del riso; ma il tutto è gradevole. Giriamo per i tavoli, pochi lasciano il fondo completamente pulito. Molti mangiano soltanto il riso ed evitano accuratamente i piselli. Come mai?… La risposta più frequente è che i piselli non piacciono. Le maestre ripetono l’invito: «La metà, mangiate almeno la metà!…»

Secondo piatto: una specie di gateau di tacchino, patate e formaggio. Lo chiamano tortino ed ha la forma di un hamburger. Una maestra spiega: oltre che di tacchino o di pollo, viene servito anche con il prosciutto. Un’altra sostiene che quello con le uova è pessimo, ma questi sono ottimi. Insieme al tortino una bella manciata di erbette. Ma chissà perché quasi tutti continuano a chiamarle spinaci.

Noi mangiamo tutto e tutto ci sembra buono. Gli “spinaci” sono ottimi. Peccato che i bambini, a stragrande maggioranza, li lascino quasi completamente nei piatti. Le maestre devono inventare mille espedienti per stimolarli almeno all’assaggio. Io stesso, ricorro al fumetto, a Braccio di Ferro. Se mangiate gli spinaci, diventate forti come lui. Ma che?! La metà dei tortini e quasi tutta l’erbetta rimangono nei piatti. Per finire, il kiwi. Molti non sanno sbucciarlo e poi le maestre preferiscono che non si armeggi coi coltelli. Conclusione: tagliano ogni kiwi a metà e i ragazzi portano in bocca la verde polpa col cucchiaino.

Qual è il problema principale di una mensa? La quantità, la qualità, la varietà del menù. Indubbiamente. Può esserlo. Ma ho l’impressione che sette volte su dieci non sia così. Il problema principale è l’educazione alimentare. I bambini non mangiano o mangiano pochissimo verdure, legumi, frutta. Si rimpinzano, a metà mattinata, di merendine salate o dolci, a forma di cuore o di fiore, di stelle o di girandoline, con o senza sorpresa… Il catalogo è illimitato. Sedersi a tavola coi loro compagni è prevalentemente un’occasione per parlare tanto, raccontare, incontrare i compagni delle altre classi, gridare da un capo all’altro del tavolo.

Una volta venne a scuola una suora missionaria dall’Uganda. Mangiò con noi. Si stupì non solo per lo spreco di cibo, ma per il vociare incontrollato e sconsiderato delle scolaresche. Nel suo villaggio, i bambini avrebbero mangiato tutto, in grande silenzio. Non è un problema di disciplina, ma di condizione materiale (il cosiddetto “benessere”) e di mentalità. Oggi un papà e una mamma faticano a dire no ad un figlio. Desiderano accontentarlo in tutto e per tutto. Possono girare, senza timore di apparire ridicoli, cinque o sei medici finché trovano qualcuno che prescriva quotidianamente pasta in bianco con olio.

Un pomeriggio di primavera, stavo assistendo all’uscita degli alunni, nel cortile. Un bambino di quarta aveva con sé il panino della mensa (spesso, se non lo consumano all’ora di pranzo, lo portano a casa). Arrivato al cancello, lo lasciò cadere a terra e cominciò a calciarlo come fosse una palla. Mi avvicinai e lo richiamai. «Il pane è sacro. Col cibo non si gioca, ecc. ecc.»

Si avvicinò la mamma, seccata perché stavo rimproverando il figlio e, invece, di avvalorare le mie parole, aprì il borsellino per darmi un euro. Pensava che stessi facendo tante storie per nulla. Cosa vale un panino agli occhi di una società che spreca e produce quotidianamente quintali di rifiuti? La invitai a seguirmi immediatamente in direzione.

Qual è, allora, il problema principale di una mensa? Sicuramente la conoscenza della piramide alimentare, dei principi nutritivi che stanno alla base della formazione di un menù (quantità giornaliera di carboidrati, lipidi, proteine vegetali ed animali, vitamine, ecc.), sicuramente l’approvigionamento dei cibi, il loro processo di preparazione e cottura, ecc. ma forse l’elemento principale è che intorno al cibo si gioca oggi la “partita affettiva” delle famiglie, preoccupate per lo più di non riuscire a saziare e a soddisfare l’appetito dei loro figlioli, che, si badi bene, per un buon 30 per cento sono obesi o in sovrappeso. Famiglie ansiose, piene di sensi di colpa.

«Caro Sindaco, se vogliamo valorizzare un servizio come la refezione, la Commissione mensa non basta. All’inizio di ogni anno scolastico dobbiamo sguinzagliare la dietista o chi per essa nei quindici plessi scolastici del nostro Comune. Dovrà raccontare a genitori e docenti la piramide alimentare, i principi seguiti nella formazione del menù, le direttive regionali e quelle dell’ASL, la valutazione del gradimento dei singoli pasti e, soprattutto, dovrà far capire che se i loro figli non mangiano verdura, legumi e frutta, noi non possiamo eliminare questi cibi dalla mensa. Poi, caro Sindaco, dobbiamo proporre alle scuole un modulo di educazione alimentare da realizzare in collaborazione coi docenti, un kit per spiegare agli alunni, a seconda dell’età, il menù, il perché e il percome…»

«Caro Salzarulo, sono d’accordo, ma quanto costa tutta questa comunicazione?… Ricordi che la legge finanziaria ha ridotto tutte queste spese dell’ottanta per cento?… Tra poco non potremo fare più neanche i manifesti!…»

2. – Tempo di bilanci previsionali. Mentre scrivo, siamo alla quinta riunione di Giunta. Nella prima, il ragioniere la mise giù dura. Le entrate correnti per il 2011 diminuiranno di oltre due milioni e mezzo di euro. Soprattutto per riduzione dei trasferimenti dello Stato (meno 1.630.860) o per obblighi derivanti da nuove leggi (meno 450.000 euro per trasferimento del servizio idrico integrato alla CAP Holding). Quasi sempre quando sento snocciolare cifre, provo giramenti di testa. Devo fermarmi. Devo fissare gli occhi sulla tabella per orientarmi.

«Egregio Signor Sindaco e gentili Assessori, di fronte ad un totale di entrata corrente (presunta) di 32.863.320 euro, avete un impegnato già di 32.483.000 euro derivante da spese di personale pressoché incomprimibili, contratti in essere da rispettare, quota capitale di mutui da pagare, ecc… Un Comune come Cologno, non dimenticatelo!, soltanto di bollette per telefono, acqua, luce, gas, ecc. spende 1 milione e mezzo all’anno. Quindi, sottraendo da 32.863.320 i 32.483.000 di impegnato, vi rimangono a disposizione 380.320 euro da decidere dove appostare, scusatemi il linguaggio tecnico…»

Guardo la cifra dell’impegnato 2011 della Pubblica istruzione: euro 2.252.510; la confronto col totale dell’impegnato 2010: 2.973.211,45… Dio mio, mancano all’appello oltre 720.000 euro!… Se voglio offrire gli stessi servizi dell’anno scolastico in corso, se voglio continuare a fornire libri di testo, refezione, pre e post-scuola, centri ricreativi, assistenza ai disabili, trasporti, ecc. ecc. dove li vado a prendere? Ammesso pure che i miei colleghi siano di buon cuore e che, d’accordo sulla priorità programmatica della scuola, destinino i 380 mila euro alla Pubblica istruzione, la cifra mancante resta rilevante. E il mio collega ai Servizi sociali non è messo meglio di me. Tra l’impegnato 2010 e 2011 ha quasi 1 milione e mezzo in meno… Non c’è nulla da fare. Ci guardiamo negli occhi. O ci attrezziamo per i miracoli e diventiamo santi o ci armiamo di bisturi sociali e studiamo da chirurghi.

E’ moralismo se mentre ascolto e scruto queste cifre penso al riccone d’Italia che se la spassa ad Arcore? Sono soldi suoi, assessore, che pretendi?… Mah! Guadagnati come? Non è forse vero che Mediaset, da quando è sceso in politica, ha visto migliorare di molto i suoi bilanci? E la Mediolanum assicurazione?…

E’ moralismo se penso ai cinquanta miliardi di evasione fiscale? E’ giusto che io aumenti le tariffe degli asili nido, della mensa scolastica, del pre e post-scuola e dei centri ricreativi, quando miliardi e miliardi di euro finiscono nelle tasche di cricche corrotte e corruttrici? Ha senso organizzare assemblee di utenti e cittadini e star lì a spiegare per ore ed ore le difficoltà di bilancio e la necessità, se desideriamo conservare i servizi, di aumentare le tariffe, quando i soldi dei contribuenti vengono sprecati in modo sciagurato, irresponsabile e criminoso? Molti penseranno che siamo come gli altri. Forse ci metteranno nel mazzo. Siamo la “casta” che se ne frega delle condizioni materiali dei cittadini e delle loro famiglie.

«Ragioniere, come posso far quadrare i conti?…»
«Assessore, si limiti alle spese obbligatorie, a quelle previste da precise norme di legge…»
D’accordo, ammettiamo di poter tagliare pre-post scuola e centri ricreativi che sarebbero facoltativi, ma l’assistenza ai disabili? Il trasporto? Gli arredi scolastici? Il contributo per registri e stampati? Il sostegno alla programmazione didattica ed educativa? I libri di testo? Il diritto allo studio? Che facciamo? Torniamo al Patronato scolastico?…
Tempi duri. In basso. Sopra il Sultano gode e i cortigiani applaudono.

Non ho nessuna intenzione di metterla, come si dice?, in politica. Il basso non è tutto uguale e il sopra neanche. A volte i diretti sono lo specchio dei dirigenti. E viceversa. Incontro spesso berlusconiani. Persone che credono di poter fare ciò che vogliono. Le regole per costoro sono cappi. Hanno di solito un Ego spropositato e tiranno. Se non riescono a sedurti, diventano arroganti e prepotenti. L’importante è fare i loro affari. Raggiungere il loro obiettivo. Giusto o sbagliato che sia.

Ne ho incrociato una all’inizio del mandato che, pur di attivare un post-scuola in un plesso scolastico, ha pagato la quota del primo mese a una o due famiglie. E così ha raggiunto il numero minimo che, nel nostro Comune, è davvero minimo: sette. Ha potuto pagare le quote perché minima è anche la tariffa: 24 euro mensili per affidare un bambino alle cure di un’educatrice dalle sette e mezza alle otto e mezza del mattino o dalle sedici e trenta alle diciotto del pomeriggio. Insomma, un euro o poco più al giorno. Il costo orario di un’educatrice (malpagata) della cooperativa che ha in appalto il servizio è di circa 20 euro (lordi) all’ora.

Tredici euro secchi di saldo negativo al giorno moltiplicati 160-165 giorni di lezione (è una scuola a tempo pieno con il sabato libero) fanno circa 2.000 euro. E’ la cifra che il Comune deve mettere a carico della fiscalità generale per venire incontro alle esigenze (legittime) di sette famiglie. Se poi questi alunni non sono neanche sette ma cinque, perché dopo il primo mese, due si ritirano, il saldo negativo aumenta. Conclusione: gestiamo un servizio che se ci costa 100.000 euro, realizza un’entrata di 36.000 euro o poco più. La cifra precisa, infatti, di copertura del post scuola da parte delle famiglie è del 36%.

Un papà e una mamma che lavorano fuori Cologno e che devono, magari, timbrare il cartellino alle otto o giù di lì; un papà e una mamma soli, che non hanno nonni cui affidare il loro figliolo o che, nell’anonimato dei palazzoni condominiali, non hanno conoscenze o amicizie, hanno indubbiamente l’esigenza di lasciare la prole da qualche parte, in mani sicure. Che il Comune organizzi un servizio è dunque opportuno: ma può farlo per un gruppetto di quattro o cinque bambini? Bambini che vengono poi ritirati appena possibile, per cui può capitare che alle cinque e dieci del pomeriggio l’educatrice si ritrovi da sola nell’aula a non saper che fare.

Gli sprechi e le schifezze in alto non possono giustificare e legittimare gli sprechi in basso. Nei nostri contesti sociali e territoriali è giusto che un Comune attivi un simile servizio. Deve, però, avere un numero di iscritti e frequentanti adeguati e, soprattutto, deve tendenzialmente pareggiare entrata ed uscita. Altrimenti, cari cittadini, conoscetevi, solidarizzate, fate società, autogestitevi. Perché in una scuola di due o trecento alunni, venti o trenta genitori non si organizzano e rispondono al loro bisogno sociale, regalandosi a turno un po’ di tempo? Perché quest’idea che a tutto debba pensare il Comune o lo Stato? Perché quest’andazzo che tanto paga Pantalone e se si può arraffare qualcosa è meglio arraffarla? Pantalone, poi, in un Paese come il nostro, è rappresentato dall’universo dei lavoratori dipendenti e pensionati, gli unici a pagare sicuramente le tasse.

Si potrebbe sostenere: visto che chi iscrive il figlio al pre-post scuola è probabilmente un lavoratore dipendente, che male c’è se gli si viene incontro, restituendogli un po’ di reddito? Astrattamente niente. Nei fatti e per stare all’esempio, se l’Amministrazione spende 65.000 euro per coprire un servizio rivolto a duecento utenti, quante scuole potrebbe tinteggiare con gli stessi soldi? Le risorse non sono illimitate. Questo anche un berlusconiano dovrebbe capirlo. E se si spendono per coprire i costi del pre e post scuola, non si possono tinteggiare plessi scolastici o rinnovare arredi o sostituire le lavagne d’ardesia con quelle interattive e multimediali. E’ impossibile avere la botte piena e la moglie ubriaca.

Non si può votare per non pagare l’ICI sulla prima casa – unica imposta “federale” che i Comuni incassavano direttamente, sulla base della ricchezza del patrimonio immobiliare dei propri cittadini – e pretendere che il cosiddetto “Welfare locale” rimanga invariato.

3. – Qualche giorno fa mi ha chiesto un incontro un professore dell’Università di Milano-Bicocca. Scopo: illustrarmi le iniziative di formazione dell’Ateneo destinate agli insegnanti dei diversi ordini scolastici.

Ascolto con interesse e, intanto, sfoglio il depliant con i temi degli aggiornamenti seminariali. Leggo alcuni titoli: LIM, Classi virtuali e “libri misti”; Insegnare con passione, insegnare con l’immaginazione; L’identificazione precoce degli indicatori di rischio cognitivo ed emotivo; Cultura civica e ruolo della scuola; Appassionare alla storia: è possibile?; Pratiche filosofiche a scuola…

Che bello! Ecco dove mi sentirei vivo, altro che star qui a subire tagli e a far quadrare conti che non quadrano. A molti di questi seminari, se potessi, mi iscriverei subito. Per un po’ mi sembrerebbe di tornar giovane. Sto evadendo, lo capisco. Ho in testa un’opprimente nuvola di piombo. Mi sento ripiegato, costretto a difendere il terreno con le unghie. Ma forse nemmeno il professore che mi sta di fronte sta molto bene. Lo capisco, quando ringraziandolo per l’illustrazione e complimentandomi per l’ottima iniziativa, gli aggiungo che io, però, non posso fare granché perché, «sa professore, tra tagli e patti di stabilità ci stanno strangolando e la situazione finanziaria del Comune…» «Sì, lo so… Anche l’Università non è che stia bene. Facciamo questi corsi per cercare nuova utenza…» A questo punto, un’atmosfera solidale, si instaura tra di noi.

Gli riassumo ciò che realisticamente posso fare: a) diffondere il depliant nelle scuole, sottolineando l’importanza dei temi affrontati; b) parlarne al prossimo incontro coi dirigenti scolastici del territorio per eventuali convenzionamenti e progetti. Infine, mi lascio andare ad una confessione: come assessore, ad esempio, mi piacerebbe tanto dotare tutte le classi di scuola elementare e media di LIM perché, non è che io creda ai miracoli tecnologici, ma mi pare giusto adeguare le aule, intese come ambienti di apprendimento, alle nuove tecnologie. Non dico mandare in cantina tutte le lavagne di ardesia e sostituirle con quelle interattive, ma collocarle, almeno, a fianco.
Il prof. coglie subito la palla al balzo. Se si mette giù un progetto, qualche soluzione si potrebbe trovare, ricorrendo, magari, a uno sponsor e chiedendo l’aiuto delle famiglie. Uno spiraglio. Il prof. mi dà uno spiraglio.

Se c’è qualcosa che m’affatica come assessore è il dover rimestare sempre gli stessi problemi: i rubinetti dei bagni che non vanno, le infiltrazioni d’acqua nei soffitti delle aule, l’ascensore bloccato, il selciato dell’entrata scolastica sconnesso. E’ roba di competenza del mio collega ai lavori pubblici, ma i cittadini tutte queste distinzioni non le fanno. Parlano con un assessore e pensano che abbia la bacchetta magica. Non sanno che l’Ufficio Tecnico non ha più una squadra di operai e interviene solamente per le urgenze. Non sanno che se vanno in pensione dieci dipendenti comunali, possiamo assumerne soltanto due…
Al termine del colloquio ci salutiamo, con l’impegno di risentirci. Per un po’ ho dimenticato le angustie quotidiane e respirato sulle alture della ricerca educativa e dei problemi della pratica didattica.

4. – «Le fasce tariffarie della refezione scolastica a Cologno sono quattro», spiego al nutrito gruppo di rappresentanti della Caritas venuti ad incontrarmi per capire come funziona il sistema. Parlo e distribuisco il foglio con la seguente tabella:

Tabella Vivalascuola

«Il numero totale degli utenti, come potete vedere, è 3.557; la distribuzione nelle quattro fasce è quella che potete leggere. La maggioranza, quasi il 67%, è nella quarta fascia…»
«D’accordo, qual è il costo del pasto?»
«Nell’anno in corso, cinque euro e otto centesimi…»
«Così tanto?…»
«Sì, perché una parte, corrispondente a 53 centesimi, è data dal costo di ammortamento del nuovo Centro Unico di Cottura realizzato con un project financing… A parte l’inglese, la cosa di fondo è che il Comune per ogni pasto consumato deve corrispondere una certa cifra alla società ristoratrice. La cifra è data, se vi interessa, dalla differenza tra il costo pasto (5,08) e la media delle tariffe (1,30 + 2,30 + 3,80 + 4,50 = 11,90 : 4 = 2,98). Tradotto: per ogni pasto consumato bisogna dare alla società due euro e 10 centesimi. Se moltiplicate questa cifra per 3.557 utenti, capite che il Comune deve dare più di 7.500 euro al giorno. Per cento giorni di scuola sono 750 mila euro, ma i giorni di scuola sono molto di più… Il servizio di refezione scolastica è in rosso, come molti altri servizi…»
«Ma noi non eravamo venute qua per ascoltare tutte queste cifre!…»
«Scusatemi, avete ragione… Perché eravate venute?…»
«Abbiamo delle famiglie che vengono al Centro di ascolto della Caritas, ci dicono che fanno fatica a pagare la mensa scolastica, siamo andati ai Servizi sociali e ci hanno mandato da lei. Vorremo sapere come fare per aiutarle.»
«Quello che dite è vero. Nelle prime settimane di assessorato, venne da me un papà quarantenne. L’azienda aveva dichiarato fallimento, aveva portato i libri in tribunale e da quasi un anno non prendeva più stipendio. Aveva dato fondo a tutti i risparmi. Non riusciva proprio a pagare la retta del mese di maggio per la refezione del figlio… Situazione drammatica, d’emergenza. Trovammo una soluzione. In quell’occasione pensai che sarebbe stato necessario istituire un fondo per situazioni simili. Pochi giorni dopo, però, si abbattè sui Comuni la scure di Tremonti. Fondo!… Altro che fondo! Si naviga a vista…
Comunque, vorrei dirvi che il Comune una politica per le famiglie un po’ la fa: infatti, in caso di frequenza contemporanea di più figli alla mensa, al secondo figlio viene applicata una riduzione del 50%; in pratica, si paga la metà. E al terzo una riduzione del 75%; ossia, la metà della metà.»
«Questo è importante… E’ una notizia che non avevamo…»
La discussione va avanti per una mezz’oretta. Si continua a parlare di tariffe, livelli di morosità, responsabilizzazione, disoccupazione, crisi sociale, aumento della povertà, ecc. ecc. Alla fine ci accordiamo: se vi sono famiglie in situazioni d’emergenza, ci mettiamo in contatto e vediamo il da farsi.

Famiglie? Un’altra tabella avrei dovuto fornire alle gentilissime signore della Caritas. Quella su quante famiglie, nei tre ordini di scuola (materna, elementare e media), pagano la tariffa intera perché hanno un solo figlio, quante la metà perché ne hanno due e quante un quarto perché ne hanno tre. Ebbene su 3.557 utenti, 2770 hanno un solo figlio (77,87%), 706 ne hanno due (il 19,85%) e 81 (il 2,28%).

Cosa si nasconde dietro questo esercito di famiglie con figli unici? Crisi economica? Incertezza sul futuro? Maggiore consapevolezza e attenzione ai desideri di affermazione e realizzazione degli individui? Particolari mutamenti socio-educativi?… Un tempo i proletari erano quelli che avevano soltanto la prole. Oggi forse non è più questo l’attributo principale. Che tutto ciò abbia dei riflessi sui servizi comunali e sulle istituzioni scolastiche è abbastanza immaginabile. Quali, è domanda, invece, che richiede studio e riflessione da parte di dirigenti degli Uffici e di assessori. Consultare qualche sociologo della famiglia? Neanche a pensarci. Il D.L. 78/2010, più noto come “la scure di Tremonti”, riduce dell’80% la spesa annua per incarichi di studio e consulenza. Non rimane che spremere le meningi da soli!…

5. – “Scuola e cultura”: due parole grandi come grattacieli. La seconda, tra l’altro, contiene la prima come in una scatola cinese.
“Con la cultura non si mangia”; prossimo alla laurea, il giovane studente universitario, che introduce il dibattito, cita Tremonti. Poi accenna ai tagli all’istruzione, all’università, alla ricerca (cita la cifra di un miliardo e mezzo l’anno); al federalismo di cui tanto si discute nei palazzi romani e assai meno tra cittadini ed elettori; infine domanda: con tutti questi tagli come possono i Comuni conservare un livello alto dei servizi?…

La domanda è rivolta a me e al collega assessore di Carugate. La sede è quella della Biblioteca Civica di questo Comune e l’iniziativa alla quale sono stato invitato è promossa dalle forze politiche di centro sinistra.

Sono lì anche perché dirigente scolastico, persona che respira, quindi, quotidianamente aria di scuola. Brutta aria, dico. Aria di ripiegamento, di abbandono, di solitudine.
La scuola oggi non si sente capita dalla sua società. Si sente frustrata nei suoi compiti, incompresa, oppressa, taglieggiata. Premialità, merito, mobilità sociale… Ma chi crede a queste fanfaluche ideologiche, quando spadroneggiano le minetti, quando le carriere politiche e professionali si decidono nelle sale di lap-dance e del bunga-bunga? Non bisogna generalizzare, è vero. Non bisogna farsi catturare dal quotidiano spettacolo di un ceto politico che ha fatto del cinismo e del godimento l’arte suprema di governo. Tanti sicuramente non ci stanno ed esprimono dissenso e indignazione. Dicono no al ricatto di Marchionne e alla compravendita sessuale e parlamentare del plutocrate.

Ma questa società cosa chiede alla scuola? Che pasta d’uomo e di cittadino dovrebbe formare? Quali facoltà potenziare e sviluppare? Non è facile rispondere alle domande.
Nella scuola, quando va bene, si trasmettono contenuti disciplinari in contesti affettivi e relazionali. Si parla di strategie didattiche, obiettivi, metodi, sussidi. Il buon insegnamento dovrebbe mirare a formare apprendisti di lingua, matematica, storia, geografia, chimica, fisica, ecc. Dopo tanti anni di permanenza nelle aule, dovrebbero venir fuori persone desiderose di diventare matematici, scrittori, ricercatori, scienziati, ecc. Invece, no. Interrogato, un ragazzino quasi certamente da grande vorrebbe fare il calciatore, l’attore, il cantante, il presentatore televisivo o qualche altro mestiere legato a profili sociali di successo; geologo, astronomo, botanico o filologo romanzo neanche a parlarne.

La scuola si sente invasa da una società che propugna soltanto relazioni mercantili e utilitarie. Che vorrebbe ridurla ad azienda.
L’efficienza, l’efficacia, il calcolo economico, d’accordo. Ma l’educazione, l’istruzione, la formazione non sono merce. Non tutto nella vita è mercato.
Da qui la reazione che spesso si coglie di una “volontà di arroccarsi”. Basta con tutte queste storie del “fare scuola fuori dalla scuola”! Occorre insegnare agli alunni abilità fondamentali come, tanto per fare un esempio, il saper leggere un brano, coglierne l’idea principale, riassumerlo, commentarlo, discuterlo…

Un Comune come Cologno, fino a qualche anno fa, sosteneva la scuola fornendo servizi (pre-post, refezione, assistenza educativa per i diversamente abili, ecc.) e integrando il curricolo scolastico con proposte musicali, teatrali e di educazioni varie: motoria, stradale, ambientale, ecc.

Oggi tutto questo sta diventando finanziariamente impossibile. I Comuni, prima di spendere soldi per fare proposte educative devono assicurare il rinnovo degli arredi scolastici e la manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici. Prima i cosiddetti “compiti d’istituto”, poi… Poi, niente! Perché la situazione finanziaria di un Comune, anche virtuoso, è tale che si fa già tanta fatica a realizzare quanto di competenza.

Il collega di Carugate condivide; aggiunge, tra l’altro, che nel suo bilancio pesa il costo della convenzione con la locale scuola materna paritaria: 315.000 euro all’anno. Una bella cifra che considerano intoccabile, tant’è che stanno raccogliendo firme a sostegno. Se poi pone mente al fatto che un dirigente dell’istituto comprensivo ha sondato le famiglie per verificare la loro disponibilità a coprire con un contributo volontario le spese delle supplenze, scopre di trovarsi di fronte ad uno strano paradosso: le scuole private fanno sempre più ricorso al pubblico per sostenersi, mentre quelle statali sono costrette a chiedere sempre più contributi delle famiglie (e non solo per l’ormai famosa carta igienica).

«Ma è giusto – domanda una signora a destra della sala – chiedere questi soldi ai genitori? Noi siamo tenuti a darli?»
Per la scuola dell’obbligo, giusto non sarebbe. Conosciamo tutti il dettato costituzionale. Del resto, è vero che il contributo volontario delle famiglie c’è sempre stato: a cominciare dalle quote versate per le gite. Negli ultimi anni, da quando la regione Lombardia ha cancellato l’assicurazione per gli alunni, il contributo è stato chiesto anche per questo fine. Ma quello di pagare le supplenze, è la prima volta che la sento. Francamente non sono d’accordo. «Eppure succede» insiste la signora. Non deve succedere. Se succede, l’allarme e la nostra indignazione devono crescere.

Si va avanti così, oltre mezzanotte, fra interventi, domande e risposte, esplorando e discutendo i mille aspetti di una situazione sfilacciata, non facile da ricomporre e rovesciare. Ho in testa alcuni libri e cerco di dare un tono a me stesso e al pubblico. Un tono in cui la curiosità, la voglia di capire, il prendere atto delle trasformazioni non si separi dall’orgoglio professionale, dalla consapevolezza di dover svolgere al meglio un mestiere, quello di educatore, comunque fondamentale. L’educazione non è finita, La scuola della vita, La bellezza salverà il mondo sono i titoli di alcuni libri recentemente letti che mi danno forza.

Quando saluto per andar via, sta ancora piovendo. A sinistra, all’uscita, cerco il mio ombrello marrone. Qualcuno, probabilmente per sbaglio, me l’ha portato via.

Fonti di approfondimento

  • Il decreto Brunetta qui.
  • Il vademecun della CGIL sulle sanzioni disciplinari qui.
  • Tutti i materiali sulla “riforma” delle Superiori qui.
  • Per chi se lo fosse perso: Presa diretta, La scuola fallita qui.
  • Guide alla scuola della Gelmini qui.
  • Le circolari e i decreti ministeriali sugli organici qui.
  • Una sintesi dei provvedimenti del Governo sulla scuola qui.
  • Un manuale di resistenza alla scuola della Gelmini qui.
  • Dove trovare il Coordinamento Precari Scuola: qui; Movimento Scuola Precaria qui.
  • Il sito del Coordinamento Nazionale Docenti di Laboratorio qui.
  • Cosa fanno gli insegnanti: vedi i siti di ReteScuole, Cgil, Cobas, Cub.
  • Spazi in rete sulla scuola qui.

Questo testo è stato pubblicato su La poesia e lo spirito. Vivalascuola è curata da Alessandro Cartoni, Michele Lupo, Giorgio Morale, Roberto Plevano, Lucia Tosi

Donato SalzaruloDonato Salzarulo è un insegnante dal 1968 e dirigente scolastico dal 1986 ed è stato per anni consigliere comunale e assessore alla pubblica istruzione a Cologno Monzese, svolgendo con spirito indipendente e intento innovativo il lavoro nelle istituzioni al servizio del bene comune, raccogliendo consenso e ricevendone numerosi riscontri positivi. Ricco di conoscenze ed esperienze è persona culturalmente aperta, capace di ascolto e di dialogo con tutti, soprattutto con i più deboli e gli ultimi.

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