La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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La Lettera

Domani chiude, addio

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

Rubriche » Pubblicità, seduzione o banalità »

Questa volta voglio parlare di una campagna che mi piace. È dedicata ai ragazzi dalla rivista musicale Rolling Stone. Ma in fondo è dedicata a tutti noi: recuperiamo il coraggio di ribellarci. Anche contro i messaggi di morte dei manifesti che angosciano le città per far comperare un paio di jeans

Sesso, droga e buoni sentimenti: come lo spot aiuta l’esame di coscienza

11-01-2011

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È arrivato l’anno nuovo. E come da tradizione, ci si scambiano gli auguri e si fanno tanti buoni propositi. Ecco il mio: voglio essere più buona. Inizierò il nuovo anno della nostra rubrica sulla pubblicità raccontandovi finalmente di una campagna che mi piace.

La campagna è quella per la storica rivista musicale Rolling Stone e l’agenzia che l’ha ideata si chiama Dadda Lorenzini Vigorelli BBDO. Una campagna multimediale che dalla stampa e la tv è passata alla rete, con un video virale che è stato premiato con il Leone d’Argento all’ultimo festival internazionale della pubblicità di Cannes e che ancora sta girando sul web.

Il video è un’incitazione al popolo rocker a riappropriarsi di quei “valori” di cui sono stati scippati dai nostri politici e dalla nostra classe dirigente. “Sveglia!” – sprona la voce fuori campo – “Nelle auto blu ci sono più festini che nei nostri backstage, le loro intercettazioni sono più porche delle nostre… Persino le loro madri si vergognano più delle nostre!”. L’invito accorato a reagire, è rivolto agli spaesati pierrot della cultura ribelle del rock immortalati nelle immagini: “riprendiamoci quel che è nostro”.

A completare la campagna, questi 60” pensati per la rete sono stati affiancati da alcuni soggetti di spot per la televisione, di formato più breve: 20” che, se a qualcuno fossero sfuggiti durante gli scorsi mesi, mi auguro verranno nuovamente pianificati per il 2011.

Il primo episodio ha per protagonisti due ragazzi dal look che si potrebbe definire trasgressivo: “chiodo” da metallaro e capelli lunghi lui, catene al collo e giacca di jeans lei. Sono risucchiati in un bacio voluttuoso, i loro corpi avvinghiati, ancora vestiti sul letto. La scena sembra piccante, l’atmosfera calda. Colpo di scena: mentre la ragazza fa per sganciargli la cintura, lui la blocca e, con uno sguardo più da ciellino che da batterista rock, le rivolge le fatidiche parole: “non sono pronto: forse stiamo correndo troppo”. I bollenti spiriti di smorzano, la ragazza si ravvede. “Quello che resta del rock and roll lo trovi su Rolling Stone” recita il super finale che compare insieme al logo della rivista.

In un altro episodio, un gruppo di giovani underground fra borchie piercing e dark look, sta per affiggere una locandina abusiva su un muro tappezzato di graffiti e murales; trafitti dal senso di colpa, rinunciano perché “è vietato dalla legge, è deturpazione ambientale”.

Perché mi piace questa campagna? Perché usa il paradosso per dire una cosa vera. E perché fa riflettere.

In realtà, l’obiettivo marketing della campagna è evidentemente quello di riappropriarsi di un proprio spazio, recuperando quel posizionamento di rivista “contro”, di testata che rifiuta il conformismo alle mode e al mercato, nella musica come nella vita. E, in questo modo… di vendere di più! Non so dire quanto infatti il messaggio sia arrivato al cuore dei contestatori puri e duri, quelli che accusano appunto la rivista di essersi venduta in questi ultimi decenni alla cultura di massa. Ma quello che mi interessa è il modo onesto e non ipocrita con cui si rivolge ai giovani, lanciando una salutare provocazione ai meno giovani.

In un mondo capovolto, dove la Chiesa fa i conti con la pedofilia, dove la politica ha fatto entrare nei suoi palazzi pusher e travestiti, cosa gli abbiamo lasciato a questi poveri ragazzi con il piercing?

Quando la parola orgia viene usata nel TG delle venti e il termine Arcore suscita più fantasie libertine di quanto non facesse Woodstock, come possiamo meravigliarci che l’essere “contro” per questi ragazzi sia solo alla ricerca del vuoto pneumatico assoluto?

L’invito alla ribellione che questa campagna rivolge loro è sì un atto di accusa verso la crisi di valori della nostra società, ma è una contestazione propositiva: svegliatevi, ragazzi! Recuperate un senso, una direzione, un’idea. Qualunque essa sia, è meglio del nulla apatico e atrofizzante in cui vi siete fatti cacciare. Non importa se la colpa non è vostra, tocca a voi reagire. Riprendete in mano il vostro futuro. Non rassegnatevi.

Ecco. Per questo mi piace questa campagna. Perché è un messaggio “contro” che non distrugge ma crea. L’esatto contrario di quell’alone funereo che si è posato in questi gioni sulle nostre città. Inquietanti manifesti le tappezzano: su un fondo maculato militare, campeggia chiaro e tondo un bel teschio e nulla più. Un inno alla morte e alla guerra per riempire di un nuovo paio di jeans l’armadio di qualche ragazzino e svuotargli il cervello. Aberrante. Disperante. Il deserto che cresce in città.

Non c’è più religione, si diceva un tempo. Forse è vero: non è più tempo di schierarsi dalla parte di Peppone o di Don Camillo, ma avere qualcosa da dire e per cui combattere, quello sì che serve. Senza, ci ritroviamo a vagare anche noi come pierrot in cerca di identità.

“Smettiamola di fare concerti per salvare le balene!”

Ecco. Fra l’abbuffata pubblicitaria dell’ipocrisia dei buoni sentimenti e uno spot che si ribella al posto di chi non ce la fa più, io scelgo questo. Fra il nulla pericolosamente allettante di un messaggio di morte e una pubblicità che incita a riprendersi in mano la propria vita, io scelgo questa. Perché venti secondi diversi da detersivi, telefonini e supermodelle non possono far nulla contro la colossale crisi di valori che la nostra epoca sta vivendo. Però, forse possono farci guardare con occhio nuovo a chi è diverso da noi. I nostri piccoli ribelli con il piercing.

E allora, dopo tanti sdolcinati panettoni e finti fiocchi di neve, dopo le promozioni natalizie e i saldi di fine stagione, dopo il tronista ad Avetrana e la dittatura dei reality-show, l’augurio per l’anno nuovo è che, anche nei pochi secondi di una pubblicità, si ritrovi il coraggio di un po’ di sacrosanta verità. Dicono che a volte fa male, ma almeno ti lascia sempre una grande cosa: la libertà di sceglierla. E questa sì che è vita.

natalia@adstore.it

Natalia BorriNatalia (con l'accento sulla i) Borri (con la o chiusa) è presidente, fondatrice e direttrice creativa di "The Ad Store Italia", agenzia di pubblicità e comunicazione con sede a Parma, Milano e Bari, ed appartenente al primo grande network internazionale di agenzie indipendenti, fondato a NY nel 1993. "The Ad Store Italia" festeggia quest'anno i suoi dieci anni di vita, all'insegna del messaggio "l'agenzia dietro l'angolo, in ogni angolo del mondo". Natalia Borri ne ha qualcuno in più, ma ha riscoperto una seconda giovinezza da quando si è fatta contagiare dal virus dei "video virali". Ha creato la prima campagna di MTV in Italia, ha inventato la comunicazione di Aprilia con Valentino Rossi e ha vinto premi con Pomì, Air One, Diadora e tanti altri. Odia il fatto di adorare la pubblicità. Ama il fatto di non odiarla troppo.
 

Commenti

  1. Nicola Pantaleo

    Ottimo. Sono molto d’accordo con questa acuta e penetrante analisi di una realtà effettivamente esistente. Complimenti all’autrice.

  2. massimogiovanardi

    acuto,intelligente e purtroppo vera.

  3. Simone Nencetti

    la verità, alla fine, trionfa sempre.

  4. NICO

    mi fanno paura le persone aride, vuote che non hanno la capacità di alimentare una passione e di “amare”.

  5. Masone

    Bravissima!

    Mi verrebbero in mente cento cose.

    Una mia vecchia idea sarebbe che la società di massa (oggi l’unico orizzonte, l’unica onnipervasiva realtà del cosiddetto Occidente, e quindi del mondo globalizzato) costituisca la forma più compiuta del totalitarismo, perché, più che reprimere il dissenso, lo rende radicalmente impossibile: impossibile linguisticamente. Ogni conato di contestazione è automaticamente assorbito, diventa una variazione sul tema dell’industria culturale: il contestatore diventa sùbito, ineluttabilmente, un conformista.

    Che si può fare, allora? È chiaro che la pubblicità di “Rolling stone” non dà risposte: la sfrenatezza sessuale o il disprezzo delle leggi non sono certo comportamenti rivoluzionari, e solo uno sciocco lo potrebbe pensare (gli sciocchi, è vero, sono tanti…) Non dà una risposta perché non la sa e non la può dare, ma mette in evidenza la realtà; e in questo, ha ragione, è onesta, e ci fa pensare.

    Per me penso che, piuttosto che nelle ricorrenti geremiate sull’eclissi dei valori, sempre moralistiche nel loro volontarismo, la risposta sia nella parola con cui Lei conclude il Suo intervento: “verità”. Cercarla, e dirla. Sempre. Questa è l’unica, vera contestazione e ribellione possibile, anche oggi.

    Perché non raccoglie in un libro questi Suoi pezzi così stimolanti?

  6. […] nuovo articolo di Natalia Borri su “Domani” diretto da Maurizio […]

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