La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Università cinesi: se il prof controlla lo stile di vita

07-12-2009

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Forse tra i luoghi migliori per capire il cammino della nuova Cina sono le Università cinesi, dove giovani ventenni si preparano a diventare la classe media di domani e ad accogliere in eredità le grandi aspettative che la Cina degli ultimi vent’anni ha alimentato in patria e nel mondo con il suo progresso irresistibile. Se i migliori studenti hanno la fortuna di potersi recare a studiare all’estero (sempre che possano permetterselo, e spesso questo capita solo per alcuni figli di dirigenti di Partito o ricchi uomini d’affari, o per i fortunati che riescono a ottenere borse di studio dalle università anglo-americane), la stragrande maggioranza di essi si trova a dover completare il proprio percorso formativo nel mondo accademico cinese.

Se le università cinesi sono distribuite in tre grandi fasce che ne definiscono la qualità complessiva, la vita universitaria e le aspettative degli studenti sono le stesse e con poche differenze in ogni campus della Cina. Mentre gli stranieri occidentali che vengono qui a studiare tendono a indirizzarsi verso le grandi e ricche università di prima categoria di Beijing o Shanghai, gli stranieri provenienti dai paesi confinanti (specialmente Russia, Mongolia, Corea del Sud) vengono in Cina con la sola intenzione di imparare il Mandarino, e tendono a scegliere gli atenei ponendo meno attenzione al blasone dell’Università e più alla sostanza dei contenuti.

Per tutti gli studenti cinesi l’università rappresenta un’esperienza molto complessa, fatta di forti esperienze contrastanti e difficili da razionalizzare ed equilibrare, soprattutto durante il primo anno, quando, dopo aver sperimentato un regime educativo molto severo negli studi superiori, i giovanissimi si ritrovano per la prima volta a doversi confrontare con se stessi e il proprio paese. L’università rappresenta infatti per molti giovani la prima occasione di vivere lontano da casa, dai genitori e da un regime scolastico molto impegnativo, ritrovandosi finalmente tra le mani una libertà personale relativamente grande, ancorché non paragonabile a quella occidentale.

È il primo anno a rappresentare in particolare un unico momento di forte scoperta personale e degli altri, in cui non si hanno solo doveri collettivi (come una settimana obbligatoria di addestramento paramilitare) ma soprattutto le prime esperienze amorose (dopo che i rapporti sentimentali sono vietati e puniti durante la scuola superiore), e ci si carica dunque di grosse aspettative verso gli anni successivi. È soltanto allora che per molti cominciano le prime disillusioni professionali sul proprio futuro e la delusione per la limitatezza della libertà sperimentata. Una libertà che non è tanto condizionata in senso oppressivo dal regime politico, quanto dalla longevità e diffusione di certe usanze tradizionali.

L’aspetto che maggiormente influenza il futuro di molti giovani, in modo particolare per le donne, limitandone le opportunità professionali, è lo stretto legame con i genitori (che spesso fanno molti sforzi per farli studiare) che li costringe a dover tornare a vivere e lavorare nella città natale per farsi carico di loro nella vecchiaia, specialmente se figli unici. Incontro Xuqin, ad esempio, che mi racconta come molto probabilmente i suoi quattro anni di università ad Harbin, a migliaia di chilometri dalla sua città natale nel lontano Sichuan, rappresenteranno quasi sicuramente l’unica opportunità che ha di vivere in relativa libertà lontano dai suoi genitori che l’aspettano dopo la laurea, anche se – ci tiene a precisare – suo padre, a differenza della madre, vorrebbe lasciarla libera di seguire il suo cammino anziché riaverla a casa.

L’altro aspetto fortemente condizionante della vita universitaria è l’illusione della libertà dal controllo quotidiano dei genitori. Il ruolo di supervisione passa qui infatti nelle mani degli insegnanti cinesi, incaricati di verificare lo stile di vita di studenti che sono spesso costretti a dover vivere nel campus a meno di non accettare di pagare cifre difficilmente sostenibili per esserne al di fuori, un costo che molti non possono semplicemente permettersi. Le condizioni di vita sono infatti molto più dure che non tra le mura domestiche: camerate, poca acqua calda ed elettricità tagliata verso le 22/23 per impedire agli studenti di rimanere svegli a far baldoria, ma al contempo rendendo difficile per loro studiare a fondo. Al contempo, i portoni dei dormitori vengono chiusi a chiave durante la notte, sia nei giorni lavorativi che nei weekend, impedendo così agli studenti di spendere anche solo una notte brava fuori dal campus…

Con un po’ di imbarazzo, Wen mi rivela di essere stata punita da un insegnante a guardia del suo dormitorio per essere rientrata una domenica mattina alle 6, orario di riapertura dei cancelli, e di aver dovuto scrivere un’autocritica in cui ammetteva le proprie colpe e il proprio rimorso, promettendo di non ripetere in futuro un misfatto simile. Anche se un giovane occidentale non si farebbe troppi problemi ad ammettere di avere commesso un peccato talmente veniale, in Cina il discorso assume un peso diverso, principalmente a causa dell’impatto sociale che ha il “perdere la faccia” e il venire umiliati di fronte a compagni o colleghi. La storia di Wen è sintomatica: vista l’impossibilità di uscire e rientrare durante la notte, molti studenti decidono di passare direttamente la notte fuori, andando spesso a ballare e cantare nei karaoke che trovi ovunque, dove poi scelgono di mettersi a dormire per qualche ora, prima di rientrare verso le 7/8 di mattina.

Un altro problema interessante me lo rivela Yaqi, che si lamenta di come l’università, con la sua maggiore apertura culturale rispetto alla scuola superiore, contribuisca solo a creare negli studenti una vasta serie di aspettative di contatto col mondo occidentale (alle quali il rapporto con gli insegnanti e studenti stranieri dà un contributo fortissimo), che rimangono spesso deluse a causa della mancanza di effettive opportunità di scambio universitario – soprattutto se si studia in un’università di livello inferiore – o di una apertura al mondo esterno giudicata insufficiente. Come conseguenza di ciò, ogni straniero diventa immediatamente oggetto di un interesse particolare da parte dei giovani universitari cinesi (soprattutto se si riesce a dialogare in una lingua comune e internazionale come l’inglese), che spesso lo ammirano per il messaggio esotico che porta con sé.

In ogni caso, la profonda curiosità verso il mondo esterno non si trasforma quasi mai in rifiuto o commiserazione del proprio patrimonio culturale e tradizionale, che viene anzi difeso, custodito e raccontato con vanto ed orgoglio. In questo senso le università aiutano a bilanciare la scoperta avvincente del mondo occidentale con i valori, le tradizioni e le regole di funzionamento della Cina comunista. È infatti nelle università che, in molti casi, gli studenti stessi avvertono per la prima volta la diversità e l’incompatibilità di certi valori culturali occidentali con quelli culturali asiatici, e come la penetrazione incontrollata dell’influenza occidentale su tematiche come religione, diritti umani o democrazia porterebbe solo disordine e incertezza…

Sorprendentemente il privilegio non viene avvertito negli stessi termini in cui lo percepiamo noi, e molte ingiustizie vengono spiegate e accettate secondo i canoni morali del confucianesimo e dell’accettazione dell’ordine gerarchico. Mi lascia tuttavia interdetto incontrare in un bar alle 2 di notte Chao, studente universitario e figlio di un dirigente di Partito governatore di uno dei distretti della provincia dell’Heilongjang, che in un eccesso di sfacciataggine mi rivela di poter rimanere fuori tutta la notte in quanto nessun guardiano si permetterebbe mai di punirlo per il suo ritardo. Un’ingiustizia clamorosa e fastidiosa, soprattutto se confrontata con la spiacevole avventura di Wen. Tuttavia, e forse stranamente, ciò non sembra alimentare un senso di ribellione tra i giovani studenti universitari, almeno in ambienti così lontani dalle grandi aree urbane di Beijing o Shanghai.

Viene dunque spontaneo chiedersi che fine abbia fatto lo spirito contestatore e ribelle della primavera del 1989, e se i giovani cinesi di oggi coltivino rancore verso il Partito e l’oppressione di libertà personali (che sono comunque larghissime, se confrontate con quelle nordcoreane, e non inferiori a quelle russe) oppure se invece non guardino alla Cina di domani e al mondo con un forte orgoglio individuale e collettivo, e una serie di aspettative la cui conferma rappresenterà per il Partito (sia con i suoi dirigenti di oggi che con i suoi dirigenti di domani) una difficile sfida politica da vincere a tutti i costi, almeno se vorrà continuare a godere del consenso popolare nelle maggiori aree urbane.

Emanuele ScansaniEmanuele Scansani ha studiato scienze politiche internazionali dell'ex-URSS a Bologna e, in Gran Bretagna, a UCL e LSE, specializzandosi sui conflitti nei paesi comunisti e post-comunisti. Emanuele lavora al momento in Cina come Lecturer alla Harbin Normal University, nella Heilongjiang province.
 

Commenti

  1. Mariarita Peca

    Avrei usato, in molti punti, le sue stesse parole. Ho trascorso un po’ di mesi in un’università cinese del sud ovest e ho avuto esattamente la tua stessa percezione. Credo che la forte adesione all’etica confuciana si rifletta non solo nel rispetto, a volte per noi grottesco e paradossale, delle gerarchie e nell’accettazione dei privilegi (corruzione e privilegi, ahimè, si dividono sempre la scena!), ma anche in una visione quasi sacrale del potere, come se anche oggi, come accadeva ancora fino a 60 anni fa, il partito-imperatore continuasse ad essere l’indiscutibile figlio del Cielo!

    Buon lavoro!

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