Proporzionale? Gli inconvenienti del modulo italiano: frammentazione, incentivazione delle scissioni. Rifondazione Comunista non sarebbe mai nata, spreco di 1 milione di voti della sinistra che non entra in Parlamento. Proporzionale alla tedesca? Elegge solo la Camera bassa e pretenderebbe subito la riforma del balordo bicameralismo italiano. Doppio turno alla francese? Sfrondata dai premi di maggioranza ecco un piccolo, inutile regolamento elettorale con voto di sfiducia costruttivo: ma nell’Italia dei campanili-partito, sappiamo trovare lo spirito giusto per farlo?
Gianfranco PASQUINO – “Stimolato” dal referendum, il Porcellum darà vita ad un Porcellinum
11-07-2011Qualsiasi legge elettorale contiene un elemento qualificante che lo differenzia dalle altre leggi elettorali: la formula con la quale traduce i voti in seggi. Chi non conosce le varietà di queste formule farebbe meglio a non parlare né di leggi elettorali né di riforme elettorali. Il silenzio è consigliato anche a tutti coloro che ritengono che le formule elettorali maggioritarie – come quella comunemente definita inglese e usato in Gran Bretagna, USA, Canada, India, e, con una piccola variante, Australia (più in alcuni sistemi politici dei Caraibi) – non sono democratiche, e che il doppio turno francese è il prodromo dell’autoritarismo. Invece, è giusto lasciare che si sgolino i sostenitori dei sistemi elettorali proporzionali i quali, nella loro ignoranza, dimenticano tutti gli inconvenienti della proporzionale italiana: frammentazione partitica, incentivazione alle scissioni (senza la proporzionale, nel 1991 Rifondazione Comunista non sarebbe mai nata), clientelismo, rendite di posizione, nonché, nelle elezioni del 1972, spreco di un milione di voti di sinistra che non ottennero rappresentanza. Qualcuno degli impuniti proporzionalisti si schiera oggi a favore del sistema tedesco, forse sperando di cancellarne quella odiosa clausola di sbarramento del 5 per cento che impedisce ai partitini di entrare in Parlamento (a rappresentare che cosa?). In verità, il sistema tedesco, se non è semplicemente una concessione all’Udc in vista di future coalizioni, è un sistema che ha funzionato in maniera più che soddisfacente tenendo a mente che serve ad eleggere soltanto la Camera bassa, il Bundestag, e che quindi chiama con sé anche la riforma del balordo bicameralismo italiano. Di sicuro, il sistema tedesco non scaturirà dal Porcellum stimolato dal referendum.
Frettolosi e improvvisati referendari, che avevamo visto e letto schierati arditamente sul fronte del NO nei due referendum del 1991 e del 1993, vorrebbero farci credere che l’esito dell’unico referendum finora in campo – almeno a parole, poiché dovranno poi raccogliere le firme e portare il 50 per cento più uno degli italiani a votarlo – sarà una legge elettorale proporzionale accettabile, decente. Invece, no: un Porcellum sfrondato dei suoi premi di maggioranza diventerà nel migliore dei casi un Porcellinum. Chi si accontenta gode, ma non potranno sicuramente esultare gli elettori italiani che continueranno ad avere il minimo di potere elettorale consentito: una piccola crocetta su un simbolo di partito che porta in Parlamento i predestinati in rigorosa lista bloccata, quasi non importa quanto lunga o accorciata. Tutto il resto è politica accompagnata da un po’ di conoscenze tecniche e comparate. Insomma, il sistema politico della Germania, che, sarà pure il caso di ricordarlo, a cavallo fra gli anni sessanta e settanta veniva da alcuni referendari definita “democrazia autoritaria”, funziona in maniera ottimale, ma non soltanto grazie alla legge elettorale. Dobbiamo aggiungervi il voto di sfiducia costruttivo e il Bundesrat, oltre all’esistenza, nient’affatto marginale, di un grande partito democristiano e di un grande partito socialdemocratico. Anche la Quinta Repubblica francese funziona ottimamente. Garantisce la formazione di governi di coalizione, dà molto potere agli elettori, sia al primo sia al secondo turno di voto, ha consentito l’alternanza, obbliga i partiti estremi (fatiscenti comunisti e Lepenisti compresi) a confrontarsi con quelle regole del gioco.
Già, questa volta sono io che dimentico che noi italiani non dobbiamo imitare nessuno. Sappiamo fare di meglio. Nel passato abbiamo avuto l’anomalia positiva, ovvero, traduco, un partito comunista che non andò mai al governo e poi scese al 16,1 per cento dei voti. Adesso, stiamo per dare vita per via referendaria ad una democrazia “normale”, perché l’aggettivo decente proprio non si applica nel nostro paese. Ma se almeno il Partito Democratico si ricordasse che la sua Assemblea Nazionale ha approvato il maggioritario a doppio turno di tipo francese? Con i piccoli sotterfugi referendari e particolaristici nessuno soddisferà i suoi non troppo oscuri (per un pugno di seggi in più) desideri elettorali.
*Fra i primi a argomentare l’esigenza di una riforma elettorale in senso maggioritario, Gianfranco Pasquino è stato coerentemente referendario nel 1991 e nel 1993. Il suo disegno di legge per la riforma dei sistemi elettorali degli enti locali è stato largamente recepito nel testo finale. Non casualmente, ha anche scritto “Sistemi elettorali” (Il Mulino 2006).
Gianfranco Pasquino, torinese, si è laureato in Scienza politica con Norberto Bobbio e specializzato in Politica Comparata con Giovanni Sartori. Dal 1975 è professore ordinario di Scienza Politica nell’Università di Bologna. Socio dell’Accademia dei Lincei, Presidente della Società Italiana di Scienza Politica (2010-2013), è Direttore della rivista di libri “451”. Tra le pubblicazioni più recenti: "Le parole della politica" (Il Mulino, 2010), "Quasi sindaco. Politica e società a Bologna" (Diabasis, 2011). Ha appena pubblicato "La rivoluzione promessa. Lettura della Costituzione italiana" (Bruno Mondadori, 2011).