Di questi tempi non sempre politica e informazione valorizzano l’autorità del Parlamento e dei suoi abitanti, tanto più se “ex”. Anche per questo vale la pena di segnalare la Conferenza dell’Associazione europea degli ex-parlamentari tenuta a Kiev, dal 7 al 10 ottobre, sul complesso tema dell’immigrazione che registra, in tutti i paesi dell’UE, prese di posizione al limite della xenofobia.
Infatti dall’incontro è uscita, su testo presentato dalla tedesca Karin Junker, una Dichiarazione (Migration et integration en Europe) realmente importante su “una delle più grandi sfide a cui le autorità debbono fare fronte in materia politica”. Ogni paese – ricorda la Dichiarazione – ha problemi diversi a seconda della provenienza e della cultura di appartenenza dei migranti che accoglie, ma ovunque “l’immigrazione, sia legale sia illegale, suscita inquietudini più o meno fondate nelle popolazioni: spetta al mondo politico e alla società civile fornire un contesto giuridico e sociale che risponda alle esigenze della coesione sociale nel rispetto dell’identità culturale dell’immigrato”.
Di fronte alla dinamica di eventi spesso tragici che inducono le persone a mettere a rischio la vita per cercare condizioni di vita migliori è necessaria una politica europea coordinata che cooperi con i paesi di provenienza e che si prenda cura dei migranti, a partire dalle donne migranti, dai minori e dagli aventi diritto all’asilo. “La lotta contro la povertà e l’esclusione sociale in realtà beneficia l’insieme della società, tanto più che esiste il dovere umanitario di assistenza ai gruppi particolarmente vulnerabili” per garantire il diritto alla scuola anche per i bimbi irregolari e alla sanità per i clandestini, così come della protezione alle donne minacciate di violenza, oppressione e persecuzione per ragioni di genere. A scala europea debbono essere prese risolutamente misure contro la criminalità organizzata, la tratta degli esseri umani e la prostituzione forzata; ovviamente non va sottovalutata neppure la prevenzione contro il terrorismo, che tuttavia non deve coinvolgere nel pregiudizio gli stranieri, visto che in Germania sono stati accusati del reato cittadini tedeschi convertiti all’islam.
D’altra parte la mobilità va al passo con la globalizzazione e riguarda l’economia e il mercato ancor prima delle persone. Ma sono gli esseri umani che passano di paese in paese non per turismo, ma per povertà e assenza di prospettive, per conflitti violenti, guerre civili, persecuzioni politiche e religiose o per orientamento sessuale tradizionalmente condannato e perfino per catastrofi ambientali imputabili all’uomo. Si tratta di problemi che – come ha riconosciuto il Forum mondiale sull’emigrazione e lo sviluppo (Atene, novembre 2009) – vedono impegnati a fianco delle Nazioni unite i paesi di emigrazione e di immigrazione insieme con i sindacati e le Ong. In Europa l’integrazione appare soddisfacente, anche se non si può generalizzare: “il mondo politico e la società debbono essere vigili per prevenire la formazione di società parallele nei quartieri a rischio, dove l’accesso alla scuola e al lavoro è fortemente limitato e la tutela della salute appare insufficiente, perché il fenomeno favorisce l’esclusione sociale, priva di prospettive i giovani senza lavoro e li fa scivolare nella delinquenza”.
Spesso chi emigra non è qualificato e non conosce bene la nuova lingua: bisogna fare perno sull’uguaglianza di opportunità, anche perché persone che sono venute per un breve periodo finiscono per restare, ricongiungere le famiglie o fondarne una nel paese d’accoglienza. Fondamentale la scuola e l’educazione linguistica, a partire dai bambini, che debbono “crescere bilingui”, ma anche degli adulti che debbono essere messi in grado di conoscere “i sistemi storici, sociali, culturalim linguistici e legali dei paesi di accoglienza”. Un multiculturalismo autentico vede l’integrazione degli immigrati come “il vettore di un vasto arricchimento interculturale della società” e non un mezzo di assimilazione: le strutture multietniche “non sono sinonimo di integrazione, bensì di segregazione” e non producono dialogo sociale e culturale. A tale fine perciò occorre che gli insegnanti ricevano “una formazione adeguata”.
Spetta alle autorità nazionali, regionali e locali “fondare le proprie politiche di integrazione secondo le norme e le leggi internazionali ed europee”. La documentazione è enorme: a partire dall’art. 79 del trattato di Lisbona, l’Unione, il Consiglio d’Europa, l’Organizzazione mondiale del lavoro, il Comitato economico e sociale hanno espresso la necessità di uniformare le normative anche nella previsione di una crescita, sia pur controllata, dell’immigrazione, per preservare il bilancio economico e demografico dell’Europa. Non dimentichiamo che “la maggior parte dei migranti sono membri produttivi delle nostre società che contribuiscono alla formazione della ricchezza e pagano le tasse e i contributi sociali. Senza contare che i miliardi di euro trasferiti dai migranti ai paesi d’origine contribuiscono in maniera significativa alla stabilizzazione. Sempre per non produrre squilibri bisognerà interagire per evitare il danno ai paesi di provenienza del mancato rientro del personale qualificato.
I media “esercitano un’influenza considerevole sull’opinione pubblica e possono sia consolidare i pregiudizi, sia eliminarli”: debbono dunque essere partner politici per denunciare le discriminazioni e sostenere l’integrazione. Condizione indispensabile per una vita non conflittuale delle comunità è la “partecipazione degli immigrati alla vita economica, politica e culturale”. In questo senso sarà necessario studiare un comportamento elettorale per gli immigrati e la possibilità di estendere loro il diritto di voto regionale e locale.
Ovvie le raccomandazioni espresse a sostegno di una rinnovata solidarietà, di un’autentica politica europea in materia di asilo – si chiedono maggiore attenzione e migliori finanziamenti al Bureau europeo sull’asilo – e immigrazione, con una forte sottolineatura sull’incapacità delle società industriali di mantenere il livello di vita, di crescita economica e di mantenimento del sistema sociale di welfare senza il ricorso all’immigrazione per il ben noto deficit di natalità. L’Unione europea deve sviluppare “partenariati di mobilità” e cooperazioni interministeriali con i paesi terzi interessati, anche dell’Est/europa senza dimenticare di rafforzare il partenariato euro-mediterraneo, per dare senso a una politica di regolamentazione costruttiva.
Per l’Italia l’impegno a fare conoscere la dichiarazione dell’Associazione europea degli ex-parlamentari rappresenta un riflettore per illuminare la doverosa correttezza istituzionale da cui il governo, le regioni, le province, i comuni così come gli organismi della società civile debbono partire quando deliberano in questa materia.
Giancarla Codrignani, docente di letteratura classica, giornalista, politologa, femminista. Parlamentare per tre legislature