Carlo Fruttero e Massimo Gramellini, La Patria, bene o male, Mondadori 2010
Se anniversario dev’essere, che anniversario sia. 150 anni non sono uno scherzo, anche se qualcuno è convinto di sì, e al di là della retorica un po’ furbesca o cialtrona con cui se n’è parlato e se ne parlerà, non può certo far male ripercorrere la nostra storia, meglio se con intelligenza e un pizzico di ironia.
In 150 date, Fruttero e Gramellini affrontano – senza spacciarsi per storici, almeno loro! – il compito di rinfrescarci la memoria sul non facile cammino del nostro paese dall’Unità a oggi. Niente a che vedere con i mitici Bignami, beninteso (qualcuno li ricorda? pezzi d’antiquariato, ormai…), perché nelle belle pagine di questo libro non c’è traccia del grigiore scolastico con cui la Storia ci è stata ammannita. Anzi, sono vivacissime foto a colori quelle che ritraggono protagonisti e comprimari della nascita del Regno d’Italia, da quella testa calda di Garibaldi (camicia rossa e poncho sulle spalle) a quel politico di vaglia che fu Cavour, da Vittorio Emanuele (primo re d’Italia ma arrivato già II) a Pio IX, costretto con le maniere forti a cedere l’Urbe quale capitale.
È ormai la fine dell’Ottocento e, mentre i parlamentari si esercitano nell’arte dello sbeffeggiamento e del trasformismo, gli italiani tirano la cinghia, alle prese con tasse sul macinato sempre più pesanti, scoppiano scandali che coinvolgono le banche e Napoli è messa in ginocchio dal colera: vergogne di un paese ancora giovane, che certamente ne farà tesoro perché non abbiano a ripetersi mai più.
Che il nuovo secolo non promettesse niente di buono lo si doveva capire subito, visto che inizia con un regicidio. E infatti, come se non bastasse il terremoto che rade al suolo Messina e Reggio Calabria, l’Italia si imbarca in ben due guerre mondiali. Dall’una ottiene una vittoria mutilata; alla fine dell’altra cerca compensazione alle mutilazioni che le ha inferto il fascismo. Dopo vent’anni di digiuno, c’è un certo appetito di democrazia, e al referendum per scegliere tra monarchia e repubblica gli italiani si presentano in massa, rendendo pan per focaccia ai Savoia che avevano voltato loro le spalle nel momento del bisogno.
Con la nascita della Costituzione, l’Italia ha ora il suo volto definitivo, un volto che, da quel momento, tanti cercheranno di cambiare per fini nobili o squallidi, con il dialogo o la violenza, pagando con la vita o speculando sulle disgrazie altrui.
Ma più ci si avvicina ai nostri giorni, più diventa difficile leggere la nostra storia con distacco e ironia, tante sono le ferite ancora da rimarginare. Morti ammazzati per mare, per terra e nel cielo senza guerre dichiarate, città degustate da sommelier col garofano rosso all’occhiello, il crollo del muro e della nostra prima Repubblica.
Ancora una volta, lo spartiacque fra due secoli è premonitore: a dare l’impronta agli anni Duemila è infatti il Grande Fratello, imitatissimo da una folta schiera di illustri sconosciuti che diventano improvvisamente protagonisti, autorizzati a sproloquiare su qualunque cosa esibendo come unica credenziale una poderosa faccia tosta.
La fine, lo sappiamo, è nota, anche perché ormai non è più storia. È cronaca, la stessa che il pendolare seduto accanto a noi legge sulle pagine del suo
Federica Albini, laurea in filosofia. Ha insegnato negli istituti statali. Nel 1994 lascia il mondo della scuola per avventurarsi nell’editoria. È redattrice in uno studio editoriale. Vive a Piacenza, lavora a Milano.