Ministro senza cultura (tesi di laurea copiata male, esame di stato nel paradiso degli asini di Reggio Calabria, espulsa da Forza Italia dal consiglio comunale di Desenzano "per incapacità") è la velina che obbedisce al Cavaliere nel ripetere le accuse ai giornali non Mediaset: "infidi" quando parlano dei suoi processi
Perché la Gelmini ha paura dei ragazzi che studiano scienze della comunicazione?
17-01-2011
di
Gennaro Carotenuto
Nell’epoca della società dell’informazione, il Ministro dell’Università Mariastella Gelmini va in televisione (Ballarò, Rai3, servizio pubblico) a dichiarare che le Facoltà di Scienze della Comunicazione sono inutili. Gelmini (in buona compagnia, da Bruno Vespa a Maurizio Sacconi) prende così per l’ennesima volta partito dalla parte di un “fare” tecnico-scientifico sul quale investire (ma la realtà tremontiana è che i tagli sono anche lì) contrapposto ad uno sterile “pensare” delle scienze socio-umanistiche sulle quali considera bene invece disinvestire, nella presunzione che sia auspicabile una società zoppa in grado di reggersi prescindendo da una delle due gambe del sapere. È una guerra, quella di Gelmini, dichiarata fin dall’incipit della sua legge che, per la prima volta, espunge dalle funzioni dell’università quella della trasmissione critica del sapere che perfino Letizia Moratti aveva mantenuto.
Quello che il Ministro trova urticante, e vorrebbe quindi eliminare insieme alle odiate facoltà di scienze della comunicazione, è il fatto che migliaia di giovani acquisiscano nell’Università pubblica strumenti per decodificare e quindi difendersi dal monopolio informativo nel quale viviamo, dove la concentrazione editoriale e l’orientamento al profitto dei media è inconciliabile con l’interesse sociale al pluralismo garantito dalla Costituzione repubblicana.
Così proprio nelle facoltà di scienze della comunicazione (che qualunque studioso serio considera un motore del progresso economico e culturale nella nostra era post-industriale) il governo vede invece un pericolo per la propria narrazione sociale, per il proprio latifondo informativo e per l’egemonia sottoculturale incarnata dal gruppo Mediaset e più in generale dal berlusconismo.
Nelle facoltà di scienze della comunicazione gli studenti non si preparano solo alle professioni della comunicazione di massa, d’impresa, pubblicitaria. Apprendono a pensare la comunicazione come plurale e partecipativa. Acquisiscono strumenti che permettono loro di inventare nuovi media altri. Studiano per innovare forme, tecniche e contenuti rispetto al format da pensiero unico sul quale si regge il modello. Lavorano per fare comunicazione e informazione con la propria testa e non per compiacere qualcuno.
Nel latifondo mediatico berlusconiano si fa carriera col conformismo, l’omologazione, il servilismo. La colpa dell’Università pubblica (e delle facoltà di scienze della comunicazione che Gelmini vorrebbe eliminare), è di offrire strumenti per stare con la schiena dritta ed insegnare a pensare e comunicare che esistono altre vie.
Gennaro Carotenuto insegna Storia del Giornalismo presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Macerata. Giornalista pubblicista, dal 1998 collabora con programmi di Radio3 Rai e il trimestrale "Latinoamerica" dove scrive dal 1992. Ha lavorato o collaborato con quotidiani come El País di Madrid, La Stampa, La Jornada. Dal ‘97 è analista di politica internazionale ed è socio della cooperativa editoriale del settimanale uruguayano Brecha. Nel 2005 ha pubblicato "Franco e Mussolini, la guerra vista dal Mediterraneo", Sperling&Kupfer, Milano. Nel 2007 ha curato il volume "Storia e comunicazione. Un rapporto in evoluzione", EUM. Nel 2009 è uscito "Giornalismo partecipativo. Storia critica dell'informazione al tempo di Internet", Nuovi Mondi.