Anna Marchesini, Il terrazzino dei gerani timidi, Rizzoli, 2011.
Un’opera prima suscita sempre una certa curiosità nei lettori, a maggior ragione se l’autrice è un’attrice notissima e molto amata. Ma, purtroppo, temo sia soltanto questo il motivo del successo di vendita del libro di Anna Marchesini. Personalmente, e con grande rammarico, ne sono rimasta davvero delusa. E non perché mi aspettassi di ritrovare in quelle pagine traccia dei migliori personaggi da lei interpretati, inevitabilmente comici. Sapevo bene che l’argomento era di tutt’altro tenore e che con questo libro la Marchesini intendeva esaudire il desiderio, a lungo rimandato, di raccontarsi smettendo finalmente le maschere che tanta fortuna le hanno dato in teatro.
Malauguratamente – e non me ne voglia chi ha apprezzato il libro –, l’urgenza del dire si avverte in modo eccessivo, tanto che il lettore viene investito da una cascata di parole che, nel tentativo impetuoso di esprimere al meglio un concetto, gli si avviticchiano attorno fino a soffocarlo. Troppe, davvero, e troppo spesso mal congegnate fra loro, anche per demerito di una punteggiatura che pare disseminata a casaccio, più per ostacolare la lettura che per agevolarla. L’impressione è che la Marchesini, una volta aperta la cornucopia dei ricordi, non riesca più a padroneggiare gli strumenti per esprimerli, e si lasci trascinare dalle parole stesse, in una ridda di sostantivi, avverbi e aggettivi che finiscono per divorarsi l’un l’altro.
Ed è forse per questo che non sono riuscita ad affezionarmi alla piccola Anna, al suo mondo immerso in una cupezza inaudita, ai suoi tentativi – timidi, come la fioritura dei gerani su un terrazzino mal esposto di città – di dire “esisto anch’io” e di cancellare “quella coscienza di sé come un’intrusa in casa d’altri”. Né sono riuscita a immedesimarmi in un’infanzia riletta alla luce degli studi di psicologia (disciplina in cui la Marchesini è laureata), più interpretata (in senso freudiano) che ripercorsa, e che finisce per rifugiarsi nella letteratura, unico luogo in cui i fantasmi del presente – silenzio, solitudine, malinconia – trovano specchio e, dunque, consolazione.
Da leggere, forse, ma certamente non in treno, dove la lettura è sollievo non dai fantasmi, ma dalla ben più spaventosa realtà.
Federica Albini, laurea in filosofia. Ha insegnato negli istituti statali. Nel 1994 lascia il mondo della scuola per avventurarsi nell’editoria. È redattrice in uno studio editoriale. Vive a Piacenza, lavora a Milano.