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Primo viaggio nel 1908, torna nel '35 e nel '55 a 90 anni suonati: il suo diario viene pubblicato dal "Corriere della Sera", un amore che non finisce mai. Il grande studioso d'arte laureato ad Harvard e trapiantato a Firenze è affascinato dalle testimonianze dell'invasione normanna. "Poche le opere d'arte, ma una natura che commuove e riporta a secoli perduti e si comprende di quante delizie sia ricca"

Quando gli stranieri scoprivano l’Italia: Bernard Berenson si innamorò della Calabria

18-08-2011

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Bernard Berenson“Il sogno da me lungamente accarezzato di rivisitare la Calabria si è avverato… Sebbene povera di monumenti e d’opere d’arte in confronto con le altre regioni d’Italia, la Calabria è una delle più belle nella sua classica severità, nella vasta serie di paesaggi ancora intatti; e soggiornarvi, si comprende, finalmente di quante delizie sia ricca”. Bernard Berenson ritorna in Calabria alla veneranda età di novanta anni come eccezionale cronista del “Corriere della Sera”. Il grande storico d’arte innamorato dell’ Italia, laureato a Harvard e trapiantato a Firenze, pubblica sulla terza pagina del quotidiano di Via Solferino, tre elzeviri tra l’ottobre e il dicembre del 1955. Il suo primo viaggio in Calabria risaliva al maggio giugno 1908.

La visita fugace del 1935 non lo aveva soddisfatto. Così narra il massimo conoscitore del Rinascimento toscano. “Venti anni fa in compagnia dell’amico Alessandro d’Entrèves traghettai da Messina dove allora insegnava a Reggio città nella quale mai avevo avuto tempo di fermarmi”. Berenson precisa che allora non ebbe una buona impressione della città. “Reggio mi sembrava polverosa, scialba e mal tenuta. Le opere d’arte che contavo di vedervi stavano provvisoriamente ammucchiate in un capannone”. In compenso con l’amico d’Entrèves, Berenson viene invitato a un banchetto pomeridiano. Chiamati simpaticamente “innocenti guastafeste”, rei di impedire il ritorno al traghetto questi offrirono piramidi di frutta di ogni specie, vassoi colmi di dolciumi profumati, rosoli, vini e bevande rinfrescanti”. Una sorta di risarcimento per l’inconveniente museale e un elogio immaginifico di colori che rimandano al panneggio di Lorenzo Lotto e ai colori primaverili di Sandro Botticelli.

Venti anni dopo nel giugno del 1955 il critico d’arte lituano ritorna a Reggio con il proposito di una visita a dovere non tralasciando le lodi al nobile Lungomare declamato da D’Annunzio e ai ruderi del Castello Angioino. Pur non essendo molte le vestigia del passato, in una città che ha sofferto distruzioni per mano dell’uomo e dei terremoti, Berenson in quella occasione, presta attenzione e devozione ai reperti degli scavi archeologici. Il professore De Francisci, sovraintendente alle antichità di tutta la regione lo accompagna permettendogli così di vedere in un giorno di festa nazionale (il 2 giugno) le vestigia della Magna Grecia raccolte nel Museo reggino. “Fra le cose parsemi più ammirevoli, menziono la testa e i piedi di marmo e la parrucca di bronzo unica nel suo genere, frammenti di una statua del quinto secolo avanti Cristo dovuta forse allo scultore locale Pitagoras di Reghion”. Il vegliardo si sofferma su una serie di tavolette in terracotta provenienti dagli scavi di un Tempio di Locri dedicato a Persefone e di fronte a tanta magnificenza si congeda commosso dalla guida illustre che si rammarica per la mancanza di fondi necessari alla ricerca e al restauro.

Berenson è affascinato dal periodo normanno. L’invasione in Calabria è coeva a quella dell’Inghilterra.Ma l’evoluzione storica dei due Paesi prende strade diverse. Le rissose e pugnaci rivalità tra i successori di Tancredi di Houteville, avidi di potere e di ricchezze, si riversano sule coste dell’Italia meridionale fino al trionfo di Ruggero I, conquistatore della Sicilia. Fratello di Roberto il Guiscardo. Il Conte di Sicilia, prode soldato in guerra e abile politico, sceglie come città di elezione la calabrese Mileto dove termina i suoi giorni nel 1101 lasciando la moglie Adelaide e il figlio Ruggero II, nato nella medesima città sei anni prima . Berenson passando per Mileto, ricorda che ai tempi la città per alcuni anni fu politicamente importante quanto Londra e Parigi. Le chiese e i suoi palazzi dovettero offrire bellezza architettonica e fasto di decorazione e di arredi al pari dei più insigni edifici costruiti allora in Italia. Tutto scomparse entro le voragini apertesi nel suolo a causa dei fortissimi terremoti. Berenson si augura con un filo di ottimismo che l’intrapresa degli scavi porterebbe alla luce tesori i simili a quelli della corte normanna di Palermo.

Bernard Berenson nutre una forte attrazione per le bellezze naturali della Calabria e nel descriverle usa un italiano forbito di chiare radici toscane. Da tanti anni risiede nella Villa “I Tatti” dove ha creato con le sue collezioni pregiatissime un luogo da fiaba con una biblioteca e fototeca di grande respiro. Situata dove la Firenze urbana improvvisamente si tramuta in incantata campagna nella tenuta tanto cara a Francesco Boccaccio, il rifugio di Berenson si adatta a fughe improvvise in Sicilia e Calabria. Nel ritorno in Calabria la seconda puntata pubblicata sul Corriere della Sera prende spunto dal dualismo città e campagna.

“La strada che da Reggio volge a settentrione” richiama l’eleganza antica manzoniana. La Costa Viola è descritta come la continuazione della Costa Azzurra, senza le contaminazioni di un’edilizia aggressiva di modernità volgare ancora da venire che violenta il più bel paesaggio preservato del Mediterraneo. Abbandonati “i favolosi incanti di un percorso dal quale basta scorgere al largo una vela per pensare a quella di Ulisse” Bernard Berenson si dirige all’interno verso le “prime ardite balze delle montagne dove scorge lecci, castagni e faggi”. Giunto a Gerace lo studioso ammira la sua cattedrale e ricorda il suo precedente viaggio nel 1908. “La spola va avanti e indietro sul telaio del tempo”.

Berenson nota l’abbandono di luoghi meravigliosi e coglie il prodigio di una riscoperta malinconica tra calcinacci e finti restauri. Il critico d’arte si ferma a Nicastro per vedere il mercato locale. Le contadine colorano le strade con vestiti tradizionali di foggia settecentesca e camminano con andatura maestosa. In questa parole di Berenson c’è un amore indicibile che nobilita ogni dettaglio con chiare allusioni alla teatralità dei borghi aviti . Lo storico d’arte giunge a Cosenza che è in completo “assetto festivo” Luci elettriche abbaglianti, banchetti carichi di ogni mercanzia. In serata i fuochi d’artificio quale ” saggio di meridionale valentia pirotecnica”. È la festa dedicata a San Francesco di Paola. il nobile Tancredo Tancredi accompagna l’illustre ospite per le vie del Centro Storico. Una sosta nella casa di Bernardino Telesio e nel Duomo dove Il critico si sofferma sul monumento funebre dedicato ad Isabella d’Aragona, “un ottimo resultato di scuola toscana e francese”.

Nel Palazzo vescovile lo lo storico d’arte ammira la Croce bizantina,secondo la tradizione dono di Federico II di Svevia alla città, forse confezionata a Costantinopoli e trafugata dopo il saccheggio del 1204. Nel pomeriggio una corsa in Sila nei pressi di Montescuro con l’amico Tancredi. Certo per un novantenne si comprende un’energia incredibile per catturare arte e bellezze naturali nel respiro della essenza antica della Calabria. I laghi silani color pistacchio e la vista dalle alture che nascondono il Mar Jonio sono formidabili anche per chi ha viaggiato in tutto il mondo e per tantissimi anni. Berenson nell’indicibile godimento ricorda l’affascinante paesaggio di sogno che si vede nell’Ascensione della Vergine di Matteo di Giovanni da Siena esposta allora alla National Gallery di Londra. Questi rimandi tra paesaggio e arte fissano nella memoria il colore del tempo. Lasciata Cosenza, una sosta ad Altomonte.

“La campagna è vuota come in certe regioni di Francia ma incomparabilmente più adatta a favorire sogni ed evocazioni romantiche”. “Infine Altomonte appare. E’ un vero nido di uccelli di rapina che sorge, altissimo, sopra precipiti scoscendimenti: In vetta lo corona un palazzo-torre non privo di somiglianza col palazzo Tolomei di Siena. La chiesa, invece nella sua modestia, ricorda Santa Chiara di Napoli. Dietro l’altar maggiore v’è il monumento sepolcrale di Filippo Sangineto conte di Altomonte, eseguito da un seguace di Tino di Camaino, e sopra uno dei portali all’esterno una Madonna in quel medesimo stile franco-italiano da me or ora citato, a proposito della tomba di Isabella d’Aragona”. In poche righe Berenson fa innamorare qualunque viaggiatore. L’unicità dei luoghi e i rimandi d’arte suscitano passione e stupore, senso di smarrimento e consapevolezza di essere innanzi alle vertigini dell’Eterno.

Castrovillari non gli appare più attraente dopo averla vista nel 1908. L’indomani arriva a Spezzano Albanese e Berenson si meraviglia di non veder pù i costumi tradizionali. Dopo quasi cinquant’anni avverte che si respira la modernità del miracolo economico anche in terra calabrese. La meta prediletta è Rossano al cospetto del Mar Jonio. “E’ ricca di avanzi bizantini; ma questi non suscitano vero interesse in un dilettante della mia specie”. La Chiesa di San Marco che sovrasta gli altri edifici colpisce il maestro per la bellezza e Berenson con il carico dei suoi anni affronta la ripida salita come fosse una balza dantesca. La struttura cruciforme si incontra in tutto il mondo cristiano ortodosso, dalla Russia settentrionale, al Caucaso e all’Armenia, ma anche dalla Catalogna a Zara.

Berenson rinuncia alla visione del Codex Purpureus già esaminato a Roma nel 1954. Troppa burocrazia e troppo tempo per richiedere i permessi alla Curia. Lo storico si sofferma a elogiare l’ospitalità in una locanda del posto. Dopo la siesta Bernson visita il monastero basiliano di Patirion. Nella descrizione c’è il meglio della sintesi di amore per l’arte e la natura. ” Vi si giunge per una strada a svolte secche ripida e senza muri di riparo che passa attraverso una solitaria macchia di lecci, ginestre, mirti, lentischi e lauri. Gli alberi e gli arbusti ora nominati conferiscono carattere così classico ai pendii sul nostro cammino che si pensa di far pellegrinaggio a un delubro di Diana e non a un monastero greco di epoca bizantina… Dell’antico assetto rimane solo la chiesa con un’abside di architettura del tutto siculo-araba, ornata di losanghe in cotto di duo colori: giallo e bruno cioccolata”.

Il resto è in rovina. Durante il ritorno a Castrovillari, Berenson legge vecchi cartelli della riforma agraria Segni-Gullo e descrive le nuove case dei contadini. “Io non sono un sociologo né un uomo politico, un economista, un filantropo; ma avendo visitato in lungo e in largo il territorio che dona origine al più discusso e accarezzato problema dell’Italia contemporanea, il Mezzogiorno… soffre più del fatto che vi manca il contadino vero e proprio che non dell’assenteismo del padrone dei fondi. Non nego la frequenza dei casi in cui quest’ultimo spende l’ammontare delle magre rendite dei suoi molti ettari a Napoli, a Roma e, talvolta a Parigi e Montecarlo: tuttavia buon numero di aziende agricole darebbero migliori risultati se nel Mezzogiorno esistesse un effettivo contadino. E con ciò intendo gente che di generazione in generazione vive volentieri sopra un pezzo di terra al quale presta la propria opera manuale, che lo ama e lo preferisce a qualsiasi altro cosi come faceva Orazio per la sua amatissima Taranto. In Toscana non è raro che i poderi siano stati coltivati dalla medesima famiglia per più di due secoli”.

Il viaggio in Calabria finisce con una giornata meno stanchevole da Scalea a Praia a Mare dove Berenson rispettando l’otium romano si abbandona al completo riposo, godendo l’aria marina e l’immenso spettacolo del tramonto. La lezione di Berenson è molto attuale. Occorrono generazioni per creare una comunità di libere persone. Pur non citando la ‘ndrangheta Berenson percepisce che la Calabria senza libertà e democrazia è destinata alla decadenza. La classe politica del tempo sia a destra che a sinistra parlarono di riscatto sociale, ma non bastò L’emigrazione dissanguò la Calabria che perse migliaia di artigiani e futuri operai specializzati a Philadelphia, a Detroit e Buonos Aires. Le radici secondo Berenson tengono insieme la società. Dispersa la memoria rimangono solo le rovine. Neppure le generazioni successive con qualche diploma e laurea in più salvarono la Calabria, perchè mancava quel senso di appartenenza che è propria di un ceto contadino e borghese, inteso quest’ultimo come appartenente alla classe dei medici, dei farmacisti, degli insegnanti, ma soprattutto degli artigiani pronti ad entrare nel ciclo industriale che ersero il treno della modernità oppure fuggirono nelle metropoli d’oltre Oceano.

Bibliotecario al Corriere della Sera e giudice di pace. Ha pubblicato vari libri di poesie, l'ultimo si intitola "Pandosia".
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