Lo confesso. Nel 1969, ottenuta la maturità, e per guadagnare qualche soldo che mi permettesse un po’ di indipendenza, accettai di andare a lavorare presso la redazione torinese dell'”Avanti!”. Le mie simpatie politiche erano decisamente più a sinistra – il Sessantotto era scoppiato l’anno prima -, ma volevo lavorare e mi piaceva scrivere.
Ed era pur sempre il giornale diretto alla sua fondazione da Leonida Bissolati, e poi, a parte la parentesi mussoliniana (1912-1914), da personaggi come Nenni, Lombardi, Pertini o Ghirelli. Ma che ora il suo direttore sia il signor Lavitola ha dell’incredibile. C’era sì stata la parentesi craxiana e del suo Ghino di Tacco, ma mai, credo, qualcuno avrebbe pensato che potesse finire nelle mani di un personaggio simile, accusato di far coppia con quel Tarantini che veniva finanziato da un presidente del Consiglio munificente e benefattore di protettori, puttane e papponi.
Pertini, Bissolati o Nenni si rivolteranno sicuramente nella tomba. Più qualcun altro che ha ancora i piedi su questa terra, come il sottoscritto. Ma i socialisti, o presunti tali, che dicono?
Mussolini, Craxi, Lavitola, tre “socialisti” che hanno assassinato l’Avanti!
di Ippolito Mauri
Chissà in quale tropico sta trafficando Valter Lavitola direttore e proprietario dell’Avanti. L’ultimo scoop un anno fa nel paradiso (fiscale) di Santa Lucia. Con l’idealismo di un giovane reporter indagava sulla casa a Montecarlo del cognato di Fini. E il trionfo corre nei fogli devoti al Cavaliere. Lavitola orgoglioso con un pavone spalanca il titolo, nove colonne, prima pagina, caratteri rossi nel rispetto della tradizione socialista, per annunciare la truffa alla quale non credono i giudici romani. Se l’ordine dei giornalisti non sopporta che la professione dell’informare venga confusa con la professione del ricattare, trafficare armi e intrighi da faccendiere, certi protagonisti politici cresciuti nel socialismo dell'”Avanti!”, mantengono il silenzio della vergogna. Nessun rimpianto per l’agonia morale del giornale attorno al quale era cresciuta la loro vocazione del servire il popolo.
E dopo 105 anni di vita travagliata, la storia dell'”Avanti!” finisce nelle immondizie. Distrutto dalle battaglie che pretendevano dignità al lavoro della gente senza nome, dalla persecuzioni di governi autoritari, soprattutto dal decisionismo di due uomini forti e un quaquaraquà, responsabili in modo diverso dell’agonia del giornale nato per coordinare la speranza. Mussolini e Craxi hanno diretto e cancellato “Avanti!”. Parabole lontane eppure il risultato non cambia. Mussolini fa bruciare la redazione dalle camice nere e lo chiude “per sempre “appena va al governo. Craxi lo trascina al fallimento nel braccio di ferro disperato coi magistrati di Mani Pulite. Villetti è il direttore che si dimette: non ne sopporta l’uso personale. E i lettori spariscono.
Muore nel ’94, rinasce nel ’96, lo compra un certo Lavitola che subito chiude per riaprire nel 2003. Di socialismo neanche l’ombra. Le bandiere di Forza Italia fanno capire chi ha pagato la rinascita: Cicchitto, Paolo Guzzanti (vice direttore del Giornale), Brunetta, fedelissima Boniver. L’editore occulto candida Lavitola nella circoscrizione Sud: primo dei non eletti. Avrebbe gestito Tarantini da Montecitorio. Adesso il silenzio dei colpevoli. Tace Brunetta, cresciuto all’ombra di un De Michelis dal cuore d’oro. Lo raccomandava per ogni commissione concorsi e appalti: “Poareto, ghe do una man”.
Tace Sacconi deputato socialista a 29 anni. Sottosegretario nella prima e seconda repubblica, ministro del lavoro e della salute mentre la moglie dirige Farmitalia, associazione che promuove legittimamente gli interessi degli industriali farmaceutici. Qualcuno brontola per il conflitto di interessi. E la Salute passa a Fazio. Tace Fabrizio Cicchitto, colonna inquieta dell’ Avanti ! di Gaetano Arfé, partigiano che si era formato alla scuola di Benedetto Croce e Federico Chabot. Non sa come moderare il radicalismo del giovanotto scatenato negli articoli contro il governo Craxi. “I rischi delle privatizzazioni sono tutte in piedi. Gli squali più grossi sono in attesa…”.
I padri del socialismo fine ‘900 riponevano grandi speranze nei riccioli dell’enfant rouge: “Non colto, ma bene informato. Legge più riviste che libri. Formazione marxista rigorosa con tendenza al leninismio. Viene dalla Cgil di Santi dove ha imparato a dialogare strutturalmente col Pci entusiasmando i ragazzi “che non sopportavano la deriva a destra del partito. Ne diventa la voce fino a quando spunta nella P2, gomito a gomito col Cavaliere. Negli ultimi mesi è troppo impegnato in tv per accorgersi dove rotola quel “suo “giornale che ha accompagnato la storia del socialismo italiano. E adesso non parla: cosa potrebbe dire?
Paolo Collo (Torino, 1950) ha lavorato per oltre trentacinque anni in Einaudi, di cui è tuttora consulente. Ha collaborato con “Tuttolibri” , “L’Indice” e “Repubblica”. Ogni settimana ha una rubrica di recensioni su "Il Fatto Quotidiano". Curatore scientifico di diverse manifestazioni culturali a Torino, Milano, Cuneo, Ivrea, Trieste, Catanzaro. Ha tradotto e curato testi di molti autori, tra cui Borges, Soriano, Rulfo, Amado, Saramago, Pessoa.