“Racconti di Cuba” di Alessandra Riccio raccoglie voci, abitudini, fantasie, musica e risate di personaggi famosi e piccoli protagonisti senza nome che animano un teatro dall’incanto misterioso con un’allegria unica al mondo. Alessandra ricorda e rimpiange gli anni dell’“esilio” all’Avana. La politica resta la scena di fondo che accompagna ogni storia
L’Avana è un amore che non resiste alla nostalgia
22-09-2011
di
Maurizio Chierici
Ogni volta che si racconta Cuba si ricomincia dal passato. Testimonianze di scrittori, intellettuali, giornalisti; voci di chi scappa con rabbia o di chi resta per coerenza o perché non se la sente di affrontare l’universo dai mille pensieri appena di là dal mare che divide l’Avana dal paradiso di Miami. Dove le luci nascondono la disuguaglianza di un mercato insopportabile alla folla cresciuta nella sonnolenza del pensiero unico la cui parabola ha nutrito le analisi della sinistra che osserva Cuba da vicino-lontano stabilendo un rapporto parziale con la vita di ogni giorno. Ogni volta si risale dal passato, mezzo secolo di pene o entusiasmi che avrebbero dovuto disegnare conclusioni ormai razionali lasciando perdere i radicalismi sui quali soffiano le propagande. Ma i dubbi invecchiano senza risposta: Cuba è davvero il paese canaglia degli Stati Uniti? E gli Stati Uniti vogliono ancora rimuovere Castro? Il tempo passa e gli entusiasmi sbiadiscono nella delusione. Eppure gli anni continuano a nutrire l’utopia della fratellanza sociale che ha smesso di consolare l’altra America delle tigri nascenti, latini quasi liberi dal colonialismo degli affari ma non ancora liberi dal dubbio che il saccheggio travestito da globalizzazione sia davvero finito. Cuba è sempre stata raccontata in questo gioco di specchi. Da una generazione all’altra milioni di lettori continuano a riflettere la contrapposizione mediatica che trasforma l’Avana in uno spazio surreale. A favore o contro Fidel, il resto non ha mai contato davvero. La sorpresa dei “Racconti di Cuba”, editore Iacobelli, memorie di Alessandra Riccio arrivata all’Avana nel 1988 mentre Gorbaciev lanciava la perestroika e ripartita sei anni dopo quando l’Unità, il giornale sul quale scriveva, “ viene travolta assieme al partito (Pci) da altri venti “; questa sorpresa è l’aver rovesciato la rassegnazione un po’ ringhiosa di chi ha cambiato idea e pretende di far sparirye il passato. Intanto dopo 40 anni si rompe l’amicizia tra Fidel e la sinistra italiana e le chiavi delle stanze al terzo piano della bella casa di Calle 11 tornano ai burocrati del regime. Alessandra chiude la porta per l’ultima volta avvilita da pensieri che non consolano: “ Il partito è morto, l’Unità è morta, anch’io non mi sento bene. E’ ora di tornare a casa “. Ma l’Avana non sopporta la nostalgia. Ed Alessandra va e viene, si rinnamora si disinamora, l’incanto degli incontri continua. E la speranza non si arrende: “ quando ricomincerà il ferry boat che ogni giorno univa l’Avana a Miami? “. Nell’attesa quattro generazioni di ragazzi “ scendono in strada per giocare a pallavolo al primo acquazzone della stagione delle piogge “ in ogni calle, in ogni piazza come facevano nonni, padri, madri, allegria che sconvolge il traffico eppure nessuno protesta perché è un rito quasi sacro come il Natale cancellato e poi tornato dopo la visita di Giovanni Paolo II. Fra i ragazzi che Alessandra guarda dal balconne del terzo piano, c’è una bambina angolana: non può giocare con la palla eppure i riccioli sono sempre in prima fila nelle risate e sotto il palco di Fidel. Scivola fra le guardie armate della sorveglianza speciale. E Fidel la vede e la prende in braccio. Populismo, retorica? Forse. Ma la ragazzina è felice. Agita (con la mano che le é rimasta) una bandiera colorata. Viene dall’Angola dove é sopravissuta con un solo braccio al massacro della famiglia nella guerra civile nutrita da mercenari sudafricani. Il padre e la madre che l’hanno adottata sono medici cubani: non se la sentivano di abbandonarla nell’inferno, ma tornati a casa cominciano a preoccuparsi. Nessuno riesce a fermarla. Nei viaggi di andata e ritorno Alessandra cerca proptagonisti di un passato che si allontana. Sono ancora lì? Al circolo degli anziani riabbraccia Paquita sfuggita dai latifondi dei ponderosos per guadagnarsi da vivere nelle lavanderie dell’Avana Vecchia. Con la pazienza di una adolescente che impara la vita stirava guayaberas immacolate, camicie piegoline e bottoni di madreperla nella Cuba delle mafie italo americane dove “ tutto era lecito, tranne pensare, scrivere fare politica e desiderare di cambiare le cose “. E quando le cose cambiano, quel 2 gennaio 1959, va in strada felice perché “ la clientela che si serviva della sua lavanderia, funzionari che decretavano l’esclusione dei neri dalle spiagge, i medici che si rifiutavano di curarla nelle loro cliniche, i professori che avevano condannato il suo amore con un bianmco “ sono scappati nell’altra America “E nelle loro belle case va abitare anche Paquita: i figli possono finalmente studiare, il marito lavora al porto, tutti si danno del tu senza inchini. Ma il marito muore, i figli scappano a New York dove Paquita va a trovarli ma non resiste e torna nella città dove è cominciata la speranza. Quando sfiora un palazzo del Vedado, Alessandra ricorda di quando scuoteva il cancello di Dulce Maria Loynaz, avvocato minuto e frettoloso, avvolta in una dignitosa vestaglia nel fresco di dicembre. Doveva essere bellissima quando è arrivata la rivoluzione. Veniva da un’infanzia dorata ed aveva 57 anni. Gli amici e il marito scappano ma lei rimane per continuare a scrivere nelle stanze dove ha liberato la fantasia. Quando nel 1992 riceve il premio Cervantes dalle mani del re di Spagna ha 90 anni e non se la sente di salire sul palco. Lo scrittore cubano Lisandro Otero ringrazia per lei. Torna all’Avana “ per morire dove sono nata “, ripeteva ad Alessandra. Se ne è andate nel ’97 e il vuoto e le sue parole sono rimasti in chi sfogliava i suoi libri nelle sue stanze.
Nell’elencare i protagonisti degli incontri-racconti si nasconde il pericolo dell’ immiserire nello scheletro degli aneddoti la tenerezza nella quale la Riccio avvolge la memoria felice che l’ha accompagnata dall’altra parte del mare. Le pene del poeta Herberto Padilla che nel 1968 aveva vinto all’Avana il premio dell’Unione Scrittori ed Artisti, i quali, pur rispettando il verdetto della giuria, pubblicano una dichiarazione che accusa Padilla di essere indifferente di fronte ai compiti rivoluzionari: insomma, mentalità borghese da condannare. Il poeta insiste nella provocazione letteraria letta come provocazione politica e nel ’71 finisce in prigione. Ne esce dopo una scandalosa autocritica e Saverio Tutino,“ in quel momento corrispondete del Monde dall’Avana “ ,racconta ciò che succede e scoppia un finimondo che divide Garcia Marquez da Vargas Llosa e tanti altri. Quando Alessandra domanda a Padilla perché avesse pronunciato “ quell’orrenda autocritica, mi risponde strizzando l’occhio, che l’aveva fatto affinché gli amici, all’estero, intendessero che si trattava di un atto suggerito, o addirittura imposto “ dalla polizia di stato. Padilla se ne va, vagabonda e parla cambiando racconti ed idea. Affoga nella solitudine dell’esilio fino alla morte, lontano da Cuba. Altri ricordi sono meno tristi. L’amicizia che continua con Roberto Fernandez Retamar, intellettuale dall’eleganza che nasconde nel dirigere La Casa de Las Americas, centro culturale forse più importante dell’America Latina. L’amicizia con Otero e poi altre donne ancora lì o che non ritrova, ormai: povera Hildita, figlia grande del Che. Se ne è andata a 40 anni. Ma Alessandra non vuol dimenticare: insegue ogni memoria per non sentirsi sola.