L’onorevole avvocato Ghedini difende Berlusconi: lo paghiamo noi
29-09-2011Un momento difficile per il paese e per i parlamentari impegnati a programmare un futuro credibile non solo per le folle dei senza lavoro o con stipendi che non arrivano a fine mese, soprattutto per chi deve lanciare i miliardi salvagente al naufragio dell’Italietta 2000. Bruxelles e Berlino ci guardano. E ministri ed onorevoli si affacciano in tv balbettando proposte nel fervore di un patriottismo che si smarrisce nei labirinti delle convergenze e delle divisioni. Non solo tra governo e opposizione, ma tra governo e governo.
Il più indaffarato è l’onorevole Nicolò Ghedini. Scarse le notizie sul suo impegno parlamentare, ma informazioni copiose scendono ogni sera dalla televisioni: sorriso Frankestein nei ring dei talk show oppure (con l’immancabile borsa) protesta dalle scale dei tribunali, per non parlare della visione ormai familiare: onorevole avvolto nella toga mentre prova a difendere il Grande Cliente dalla persecuzione dei magistrati. Nessuna informazione se il buon stipendio dell’onorevole Ghedini attenua le parcelle dell’avvocato Ghedini. Anche perché bisogna considerare le spese. Non solo colleghi di studio o giovani apprendisti affascinati dallo sfogliare le carte del Grande Cliente, quel su e giù per l’Italia erode gli incassi delle competenze. Insomma, potrebbe mettere da parte sempre meno.
La politica è l’altro grande amore vocato com’è ad impegnarsi per il bene dei cittadini che rappresenta e la felicità della nazione alla quale lavora. L’avvicinamento al Cavaliere parte da Padova, destra del Movimento Sociale. E si fa subito un nome non perché figlio dell’avvocato padre, ma per la difesa illuminata dei serial killer che partono dal nord est per seminare delitti in Germania ed Olanda. Condannati, com’è giusto, ma il cavillare della prosa ghediana rivela la stoffa di un avvocato destinato a luminosa carriera. L’incontro con Gaetano Pecorella, presidente delle Camere Penali, in cammino dalla sinistra verso Arcore, gli fa capire dove il destino può sorridergli.
Ecco l’abbraccio fatale con Berlusconi. Nel 2001 ne diventa onorevole e avvocato, coordinatore del partito nel Veneto. Non si sono più lasciati. Si sa poco sul sul suo operare in parlamento. Anche perché non ne è frequentatore devoto. Il suo posto quasi sempre vuoto: 9105 assenze. Penultimo nella classifica degli svogliati occupato com’è dagli ideali della professione. Ma quando é in aula cosa fa? Nella classifica dei deputati silenziosi occupa il 622° posto, solo 8 colleghi intervengono meno di lui impegnato com’è nei processi del suo leader perché l’abnegazione di Ghedini tutela l’onore del capo del governo, quasi un incarico istituzionale compensato dai benefit dei quali gode ogni parlamentare: voli gratis, treni gratis e se mai dovesse star poco bene, cliniche e luminari pagati da Montecitorio.
Il problema dei parlamentari avvocati in un certo senso lo ha affrontato Tremonti nella terz’ultima o quart’ultima finanziaria di qualche mese fa, ma l’abolizione dell’ordine ha scatenato la bufera. I 24 onorevoli avvocati Pdl della Camera, e i 18 avvocati senatori di Palazzo Madama, marciano su Roma guidati dal ministro La Russa a braccetto del ministro Maria Stella Gelmini più altri altri 87 avvocati di Montecitorio e 47 di Palazzo Madama dove li accoglie l’avvocato presidente Schifani. Manovra minacciata da voto contrario. E il povero Tremonti lascia perdere. Nell’Italia del dopoguerra i padri della Repubblica chiudevano lo studio appena andavano in parlamento: dal presidente De Nicola a Giuliano Vassalli. Ma i tempi cambiano, la modernità suggerisce altre regole.
Quando il Berlusconi Uno aveva proposto il suo avvocato Cesare Previti ministro della Giustizia, Scalfaro rifiuta di firmare. Passano gli anni, Berlusconi insiste e l’avvocato Alfano può insediarsi al tavolo delle prescrizioni e dei legittimi impedimenti, lasciamo perdere le noiose contraddizioni del conflitto di interessi. Perché nessuno vuole evitare che la produzione legislativa possa essere orientata da interessi particolari legati allo sviluppo di processi pendenti ai quali possono essere interessati gli studi di chi propone le leggi. E’vero che i mezzi della politica sono in grado di esercitare influenze per strade meno volgari, ma è così comodo riunire nello stesso studio le convenienze della professione e l’idealità del mandato parlamentare. Da tempo si parla dell’opportunità di allontanare dalla professione chi siede in parlamento. Ma quale governo, quale ministro, quale opposizione trova il coraggio di sfidare una nuova marcia su Roma?