Gianfranco PASQUINO – Nell’agonia del berlusconismo i liberali finalmente si fanno vivi: immaginari, ingenui, illusi, ingannati, oppure semplici coccodrilli?
07-11-2011Non saprei come definire esattamente tutti coloro che in questa fase di lunga, triste, pericolosa agonia del berlusconismo si dicono rammaricati dal fatto che Berlusconi non abbia fatto una “rivoluzione liberale”. La mia prima reazione è di consigliare loro di andarsi a leggere il libro di Piero Gobetti, La rivoluzione liberale (scritto poco tempo prima dell’avvento del fascismo). Il secondo suggerimento di lettura è un qualsiasi testo sul liberalismo. In estrema sintesi, il liberalismo è un insieme di regole a protezione della libertà del cittadino contro eventuali pretese dello Stato. Il liberalismo è costituzionalismo, vale a dire separazione dei poteri. Chi vince le elezioni ha ottenuto il potere di governare. Il Parlamento ha il potere di controllare. La magistratura (Corte costituzionale compresa) ha il potere di verificare che gli atti dei cittadini, dei rappresentanti, dei governanti siano conformi alle leggi, che non le violino, e che rispettino il dettame costituzionale. Soprattutto, il liberalismo è quella concezione che contrappone al potere del denaro, economico, il potere dei voti, politico. Con il denaro un cittadino può contare più di molti altri; ma con il voto ciascuna “testa” conta uno. Il liberalismo si basa sul principio insormontabile che il potere economico non deve conquistare il potere politico e che il potere politico non deve asservire il potere economico. La proprietà privata è sostanzialmente intangibile, garanzia di libertà politica, ma non deve essere usata per occupare il potere politico. Dunque, fin dal 1993-94, i liberali coerenti avrebbero dovuto chiedersi se un magnate come Berlusconi avesse le carte in regola per lanciare una rivoluzione liberale, oppure se, proprio a causa delle risorse di cui disponeva, da quelle risorse appesantito e condizionato, non avrebbe mai neppure pensato a “liberalizzare”. Un liberale coerente avrebbe chiesto ad altissima voce al potere economico di non mirare al potere politico, altrimenti, di liberarsi della sua “zavorra” economica al fine di essere libero in tutte le sue attività di governo. No, non c’erano liberali dentro lo schieramento di Berlusconi (la Lega?, Alleanza Nazionale? gli ex-democristiani? gli ex-socialisti?). No, non erano veri liberali coloro che, come Ferrara e Feltri e troppi commentatori del “Corriere della Sera” e de “Il Sole 24 Ore”, appoggiarono Berlusconi. Non lo sono neppure adesso. Non m’interessa sapere che cosa sono. Invece, so perfettamente che, in questo paese, la rivoluzione liberale, persino nell’etica della politica, riusciranno a farla, come dimostra tutta la storia delle democrazie europee, soltanto i socialdemocratici coerenti, ovvero, in Italia, una piccolissima minoranza illuminata. Concludo affermando che nessuna esperienza socialdemocratica è stata costruita in maniera illiberale e nessuna è “degenerata” per violazioni del liberalismo politico, sociale, economico. Nessuna è necessariamente, preliminarmente, da preferire, per qualità, a esperienze liberali compiute.
Gianfranco Pasquino, torinese, si è laureato in Scienza politica con Norberto Bobbio e specializzato in Politica Comparata con Giovanni Sartori. Dal 1975 è professore ordinario di Scienza Politica nell’Università di Bologna. Socio dell’Accademia dei Lincei, Presidente della Società Italiana di Scienza Politica (2010-2013), è Direttore della rivista di libri “451”. Tra le pubblicazioni più recenti: "Le parole della politica" (Il Mulino, 2010), "Quasi sindaco. Politica e società a Bologna" (Diabasis, 2011). Ha appena pubblicato "La rivoluzione promessa. Lettura della Costituzione italiana" (Bruno Mondadori, 2011).