Non solo Gheddafi: Berlusconi ha un debole per troppi dittatori
29-08-2009Al cuore non si comanda. E il cuore del nostro Cavaliere batte per gli uomini forti. Magari presidenti a vita, una garanzia. Il regalo delle fiamme tricolori a Gheddafi e quel correre nella notte sotto la sua tenda beduina allargata in un parco di Roma con l’affanno del rattoppare lo sgarbo del presidente Fini che non aveva ricevuto il colonnello perché in folklorico ritardo, tradiscono la tenerezza verso un ospite col quale sta disegnando l’amicizia del petrolio e delle grandi opere. Imprese italiane al lavoro in Libia. Soldi, soldi: per far dimenticare l’invasione fascista. Soldi che escono dalle nostre tasche di contribuenti antifascisti e anti uomini forti. Soldi dai quali sono esclusi gli italiani che Gheddaffi ha buttato fuori quarant’anni fa. Il Duce li aveva spediti a piantare viti e costruire case nella “quarta sponda”. E contadini e piccoli imprenditori si erano rassegnati ad accettare il posto al sole. Il colonnello li ha espropriati di tutto. Adesso si fa festa sul loro dolore col capo del governo italiano radioso accanto a Gheddafi. Quarant’anni dopo, veneti, lombardi e siciliani ai quali due dittature hanno bruciato la vita, non festeggiano.
Gheddafi è solo l’ultimo dittatore in sintonia con Palazzo Chigi. Tre settimane fa B è volato a Tunisi accompagnato da una signora che in Tunisia è di casa: Stefania Craxi. Abbracci affettuosi al presidente Ben Ali: “Assieme faremo grandi cose”. In Italia solo i craxiani ricordano di Ben Ali per la protezione nella quale aveva avvolto l’esilio del Bettino in fuga. Nessuno sa davvero chi è e cosa fa. Dal 1981 Zime El- Albedine (nome intero) è regolarmente rieletto capo dello stato col 99 % dei voti. Prima dell’ultimo plebiscito, a Parigi, chiacchierando con Le Monde, un consigliere dell’ambasciata tunisina avevano anticipato il risultato: “Questa volta non possiamo vincere col 99 e qualche zero per cento come nelle altre elezioni. Abbiamo programmato il 94. Sei punti vanno agli avversari e la democrazia è salva”. Ma la solerzia non ha confini: diventano 98. Non si sa mai. Nel 1981, quando era primo ministro del presidente Bourghiba, “combattente supremo che ha strappato l’indipendenza ai francesi dopo vent’anni di prigione”, Ben Ali raccoglie i giornalisti stranieri. L’annuncio è storico: “Comincia la primavera tunisina dopo la primavera di Praga”. Alle belle parole non si resiste e Ben Ali prova ad incantare, ma senza rispondere alle domande di chi voleva sapere: primavera contro quale dittatura? Dittatura del povero Bourghiba da anni perduto nel sonno dell’incoscienza? Eroe fuori gioco e potere nelle mani del suo capo di governo, Ben Ali, appunto. Rivolte sindacali spente nei massacri: esercito e polizie che sparano. Primavera contro chi? “Primavera soprattutto per chi…”, rispondeva Ben Ali. “Primavera per il popolo”. E per aiutare in fretta il popolo organizza un colpo di stato mentre “il popolo” continua ad attraversare il mare in cerca di lavoro e di una vita senza l’ombra delle polizie addosso (almeno fino alla legge Maroni).
Gheddafi e Ben Ali sono gli ultimi abbracci di Berlusconi. Ha abbracciato Arafat con un assegno. Non poteva, povero Abu Amar, mendicare passaggi aerei alla Tunisia dove era rifugiato o agli emiri del Golfo. Troppo pericoloso mettersi in fila negli aeroporti. “Così ci siamo tassati per farlo viaggiare tranquillo. Aereo di seconda mano…”. Il cuore di B batteva anche per lui. Arafat non era un dittatore; senza patria immerso in una corte dalle mani lunghe: corruzione, abitudine forsennata. Dalla moglie in giù allungavano le mani mentre il leader dell’Olp sperava nella politica.
Abbraccio a Palazzo Chigi con Nazarbaev, presidente di un Kazakistan che galleggia su 18 miliardi di barili di petrolio. “Simpatico e disponibile. Ho promesso di andarlo a trovare per progettare imprese comuni…”. Mentre si riaffacciano le centrali nucleari e i contratti per gas e petrolio sono assicurati anni e anni, il corteggiamento sembra sospetto. Forse la ricchezza che affascina il Cavaliere è un’altra: il segreto che mantiene al potere il signore kazako e gli altri dittatori più o meno soft. 40 anni Gheddafi, 30 anni Ben Ali, ma Nazarbaev è interessante. Prende il posto di Breznev e resta primo segretario del partito comunista kazako per 25 anni. Padrone di ogni virgola. Appena cade il muro di Berlino si autoproclama primo presidente liberista del continente asiatico. “ Comunismo ? “Non sa di cosa parliamo. Cambia la bandiera rossa e 19 anni di potere che non cambia. Privatizza i beni che i soviets gli “ imponevano di controllare”. Petrolio al figlio; televisioni, radio e giornali alla figlia. Il resto a fratelli, cugini, cognati, amici di tribù. Geniale. Devono averne parlato tra una pietanza e l’altra a palazzo Grazioli.
Bisogna riconoscere che B non ha abbracciato Isayas Afework, signore della guerra e dittatore in Eritrea. Almeno non in pubblico. Lo invita a Roma nel 2007 ma non fa tempo a sceneggiare la visita ufficiale. Perde le elezioni e Prodi, costretto dai protocolli ormai firmati, deve incontrarlo a palazzo Chigi. Nessun pranzo; cerimonia all’osso. Prodi non è tenero con l’uomo che ha fatto sparire undici ministri: in un timido documento chiedevano il rispetto della costituzione e almeno un’elezione, ogni tanto. Isayas seppellisce anche la moglie del generale Pedros Salomon, “garante dell’indipendenza della nazione”, sparito assieme ai ministri. Al momento della purga la signora era negli Usa per un master. Isayas la convince a tornare: “Può salvare la vita al marito ancora vivo”. Povera donna: la polizia la impacchetta all’aeroporto. Svanita per sempre. E il Dipartimento di Stato di Bush fa finta di non saperlo.
Perché il capo del governo italiano aveva voglia di abbracciare Isayas? E perché lo accoglie “come amico” a Villa Certosa per qualche giorno di relax, chissà quale relax? Ore di mare e di sole. Forse hanno parlato dell’ambasciatore italiano ad Asmara, Antonio Bandini, espulso per aver chiesto spiegazioni sull’arresto dell’intero governo. O dei nostri carabinieri, caschi blu Onu, assediati in caserma dall’esercito al quale Isayas aveva ordinato di sparare se mettevano fuori il naso. Proibito pattugliare come in Kossovo o in Afghanistan. Tornano a casa, ma il governo B2 fa finta di niente: rifinanzia la missione come se le nostre divise fossero ancora ad Asmara: un miliardo e 747 milioni di euro. Non è sicuro dove siano finiti. E poi via tutte le Ong, ultima a lasciare Mani Tese, presenza storica in Africa. Massimo Alberizzi del Corriere della Sera chiede al sottosegretario agli esteri Mantica ( radici An ) perché non prende provvedimenti contro una dittatura così volgare. Mantica svanga e poi sussurra: “Isayas fa affari col fratello del Capo…”, Italcantieri di Paolo Berlusconi. Deve costruire mille appartamenti, palazzine di quattro piani, a Massaua dopo che un’altra impresa aveva raso al suolo centinaia di ville affacciate sulla spiaggia, opere di grandi architetti italiani, patrimonio dell’Umanità, secondo l’Unesco. Ma il governo B2 tira diritto. Adolfo Urso, vice ministro delle attività produttive, decide che Asmara deve diventare la capitale del Piano Africa. Imprenditori bergamaschi (Giancarlo Zambaiti ecc.) subito delocalizzano in Eritrea dove lo stipendio medio di chi sgobba è 166 dollari l’anno. Pochi centesimi di euro al giorno. Chi protesta finisce ai lavori forzati. Popoli, mensile internazionale del Centro San Fedele di Milano prova a chiedere: accogliereste nella vostra casa un signore come Isayas?
A Tripoli Berlusconi è l’ospite superstite dei paesi G8. Brown e il principe d’Inghilterra, Sarkozy, la Merkel, Putin, dileguati. Il Dipartimento di Stato non solo non fa partire ameno un piccolo funzionario da Washington, ma affonda con durezza contro Gheddafi per i festeggiamenti ufficiali al terrorista (malato terminale) tornato a casa dopo anni di prigione. Magari Berlusconi gli soffierà nell’orecchio: “Caro colonnello, non dovevi coccolare come eroe l’uomo che ha organizzato la strage di Lockerbie. Un errore, ma tranquillo. Parlo con Barak e Valdimir e sistemo tutto”. Sotto gli affari spunta un’ombra di vergogna. Debolezza di un momento. Dopo aver festeggiato il trattato Italia-Libia, B dribbla i fuochi d’artificio per i quarant’anni di potere e scappa a Danzica dove lo aspetta Vladimir amico del cuore, ospite come Blair e Isayas a Villa Certosa. Lascia a Gheddafi gli sbandieratori di Gubbio, gli artiglieri di Sardegna e le Frecce Tricolori. Insomma, regali veri. Con Putin può finalmente mettersi in maniche di camicia. L’idea della Cecenia “libera e democratica” li unisce davanti alle curiosità impertinenti della stampa internazionale. A volte risponde Putin, a volte risponde Berlusconi. Giornalisti uccisi? Menzogne. Parleranno di politica ma anche di malizie: quei racconti del letto, regalo di Putin, mitici materassi di Palazzo Grazioli.