Il 15 maggio al Viminale il governo italiano si è incontrato con il rappresentante per l’Italia dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) Laurens Jolles. In agenda la questione dei respingimenti dei migranti in mezzo al mare, sulla illegittimità e inopportunità dei quali non mi esprimo perché già molti si sono chiaramente espressi. Jolles ha ovviamente invitato l’Italia a sospendere questa politica “in contrasto con il principio di non respingimento sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951” e a riammettere le persone rispedite in Libia per dare la possibilità a eventuali rifugiati – che correrebbero gravi rischi se rimandati dalla Libia al loro paese e verso i quali “l’Italia è responsabile per le conseguenze del respingimento” – di richiedere la protezione internazionale.
Ma il governo italiano ha risposto picche concludendo, con il ministro Maroni, che “le proccupazioni dell’Acnur devono trovare risposte in sede europea”. Questo è il punto centrale – al di là delle schermaglie ideologiche o delle roboanti dichiarazioni funzionali alla campagna elettorale – che ha sancito, come riportato dai mass media, un accordo “sulla possibilità di costituire un tavolo tecnico con la partecipazione dell’Unione Europea per elaborare una strategia che miri a rafforzare lo spazio di protezione in Libia, compresa la ratifica da parte di Gheddafi della Convenzione di Ginevra”. L’idea di un’iniziativa che coinvolga l’Europa ha un senso, purché sia chiaro che dietro a tutto questo ci sono le più grandi questioni che agitano il mondo oggi.
Innanzitutto quella del diritto di ogni persona a trovare un asilo sicuro quando è minacciata da guerra, tortura o morte nel proprio paese: questo principio di diritto internazionale è oggi messo in discussione dai respingimenti italiani. Urge trovare nuove soluzioni per riaffermare questo diritto umano (sancito sia dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 come dalla Costituzione italiana), come la possibilità di richiedere asilo al comandante della nave (da considerarsi quindi come terraferma del paese di cui porta la bandiera) e la possibilità di richiedere la protezione internazionale all’Europa anche in terra libica (possibilità oggi quasi inesistente data la limitata capacità operativa dell’Acnur in Libia e la non ratifica da parte di questo paese della Convenzione di Ginevra).
C’è poi la questione europea, nella quale non può non inserirsi l’attuale problematica vissuta dall’Italia. La Libia – a causa degli accordi sanciti con l’Italia che hanno certamente vantaggi per il paese nordafricano ma anche costi – ha finora accettato i respingimenti che, certamente, comportano pesi non indifferenti per un paese non preparato a gestire simili flussi. Ma fin quando li accetterà? Non arriverà il momento in cui anche la Libia, come fa oggi l’Italia, richiamerà l’Europa alle sue responsabilità? L’Italia come la Libia – oltre ad essere paesi di immigrazione – sono anche paesi di transito verso altre mete, sia a motivo di ricerca di protezione internazionale come di una migliore situazione economica. L’Europa non può scaricare il peso di tutto questo immenso flusso di migrazioni su pochi paesi di frontiera, ma deve assumersi per intero le proprie responsabilità storiche (il grande divario socio-economico tra Sud e Nord del mondo ha molte cause, la gran parte delle quali però affondano le radici in cinque secoli di colonialismo) come le più attuali responsabilità per una comune politica estera e di gestione delle frontiere più esposte.
Infine c’è la crisi economica globale che, se certamente colpisce i nostri paesi, ancor più danneggia i paesi del Sud del mondo causando quindi un aumento dei flussi migratori. Da questa crisi globale o ci usciamo tutti insieme o non ne usciremo tranquillamente. Il Nord ha bisogno di lavoro e di giovani, ma ha anche bisogno di ridurre i costi per competere. Il Sud ha materie prime, mani e teste da offrire, ma cerca quello sviluppo e quella giustizia economica che continuano ad essergli negati. Facile, con queste premesse, essere tentati dalle scorciatoie dell’illegalità (lavoro nero, leggi restrittive che favoriscono l’immigrazione clandestina, tratta degli esseri umani…) nelle quali solo le mafie finiscono col guadagnare. La crisi economica come il fenomeno migratorio vanno considerati nel contesto globale, e possono così diventare un’occasione di vero sviluppo. L’Europa, a partire da un onesto riconoscimento delle proprie responsabilità, può agire da catalizzatore per un progetto migrazioni-cooperazione che coinvolga paesi di origine e di transito-immigrazione. Un progetto che parta da una regolazione internazionale della migrazioni e contribuisca a una gestione più oculata e sostenibile di potenzialità e risorse, per puntare a soluzioni della crisi economica nel segno di una maggiore giustizia globale e ridistribuzione delle ricchezze.