Più di 14 milioni di italiani non hanno votato. Tra schede bianche e astensioni, a Milano 42,5 in meno. E la Lega tira diritto
Raniero LA VALLE – E Bossi presenta il conto: balcanizzazione
30-03-2010Se l’Italia fosse un Paese normale, i risultati delle elezioni regionali del 28 e 29 marzo sarebbero risultati normali: in un sistema seccamente bipolare, come quello che fa le fortune della destra italiana, un risultato di 7 regioni all’opposizione e 6 alla maggioranza sarebbe un risultato ragionevole e abbastanza equilibrato; significherebbe che il centro-destra conserva, sia pure di misura, i consensi per governare e il centro-sinistra è ancora in grado di candidarsi al potere; che il governo ha passato senza danni e senza gloria la strettoia delle elezioni “di mezzo termine” e può tranquillamente continuare a lavorare per altri tre anni; che sul risultato del voto hanno pesato non solo gli schieramenti nazionali, ma anche la qualità delle persone, che spesso ha fatto la differenza, come Vendola in Puglia che il centro-sinistra nemmeno voleva, come Renata Polverini nel Lazio che ha commosso e persuaso con la sua limpida figura femminile ed operaia, come Emma Bonino ingiustamente abbattuta dal diktat dei vescovi, come De Luca e Loiero contro cui ha votato (o non votato) mezzo elettorato di sinistra in Campania e in Calabria, come Formigoni a Milano che Comunione e Liberazione sembra aver deputato al potere per sempre.
Ma l’Italia non è un Paese normale, e perciò i risultati elettorali si prestano anche ad altre, più allarmate letture. Il Paese non ha colto quest’occasione per salvarsi dal dominio incondizionato di Berlusconi, che in forza di un diritto proprietario interpretato alla latina, esercita il potere di “usarne ed abusarne” a suo piacimento; e anche se il rimedio era a portata di mano, ha preferito rimanere sotto schiaffo della violenza contro le istituzioni che Berlusconi e la sua corte scatenano ogni giorno nel loro anarchico o sovversivo estremismo; lo scorato se non disperato astensionismo ha contribuito a questo esito.
Tuttavia Berlusconi resta al potere per il gioco di fattori che sono ormai del tutto estranei alla sua effettiva capacità di controllo. Non ha più la forza di un partito che “per amore” doveva inglobare in sé più della metà, se non tutti gli Italiani: questo suo partito personale è uscito a pezzi dalle urne (ha perso sei punti, cioè milioni di voti, rispetto alle politiche), spesso superato nel Nord dalla Lega, aborrito da Casini e quasi ripudiato da Fini. Non ha più il fascino del leader, perché la sua immagine privata e pubblica si è irrimediabilmente rotta, e nemmeno lui deve essere molto contento quando la mattina mette la sua faccia, cipria o non cipria, davanti allo specchio. Ha perso la sua lucidità perché in odio a Santoro e a Floris, ad Anno zero e Ballarò, ha dovuto rinunciare a Vespa e a Porta a porta, scatenando uno tsunami di opinione contro di lui, e ha dovuto rimediare con una “totale immersione” in TV facendo tutto da solo, per vincere il suo personale “referendum”. Ha finto un’intimità che non ha con gli Italiani, mandando loro per posta venti milioni di lettere chiamandoli grottescamente uno per uno per nome. Ha continuato a magnificare come opera del regime la ricostruzione all’Aquila, quando la città, materia ormai”inerte”, giaceva sbriciolata nelle carriole trascinate a forza dai suoi esuli abitanti. Ha tentato il dialogo diretto con la folla a San Giovanni e l’ha fatta giurare, offrendosi come paradigma di un nuovo regime assoluto in cui corpo mistico del sovrano e corpo politico del popolo si identificano, ed è bastato il confronto con Mussolini a piazza Venezia perché la cosa finisse nel ridicolo.
Se questo premier che il mondo ci invidia resta al potere, è perché la sinistra è in stato di confusione mentale, e perché dietro a lui si è alzato un arbitro, che ancora non fischia il rigore e che detta le regole del gioco. Questo arbitro è Bossi, come ha detto egli stesso di sé la sera della vittoria; e Bossi è oggi un uomo di poche, ma decisive parole. Arbitro e allenatore insieme, l’unica cosa che vuole è il “federalismo”, che una volta si chiamava secessione, e che i suoi giornali chiamano “la Padania”. Da vero politico, il capo della Lega Nord si è insinuato nelle pieghe del sistema bipolare, ma non perché voglia due partiti o due schieramenti politici, ma perché vuole due Italie, quella delle regioni ricche e quella delle regioni povere, e vuole due “proletariati”, quello degli italiani e quello degli stranieri, dei nativi e dei migranti, degli sfruttati e degli sfruttatori; due poli, geografici e sociali, uno dei quali deve innalzarsi e dominare sull’altro.
Quando Bossi cominciò, si è irriso, lo si è chiamato “folklore”. Come è stato ricordato nell’occasione, D’Alema tentò di annetterselo, come “una costola della sinistra”. Ora Bossi presenta il conto, ed è la divisione sociale ed etnica, la balcanizzazione. Se lo permetteremo.
Raniero La Valle è presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione. Ha diretto, a soli 30 anni, L’Avvenire d’Italia, il più importante giornale cattolico nel quale ha seguito e raccontato le novità e le aperture del Concilio Vaticano II. Se ne va dopo il Concilio (1967), quando inizia la normalizzazione che emargina le tendenze progressiste del cardinale Lercaro. La Valle gira il mondo per la Rai, reportages e documentari, sempre impegnato sui temi della pace: Vietnam, Cambogia, America Latina. Con Linda Bimbi scrive un libro straordinario, vita e assassinio di Marianela Garcia Villas (“Marianela e i suoi fratelli”), avvocato salvadoregno che provava a tutelare i diritti umani violati dalle squadre della morte. Prima al mondo, aveva denunciato le bombe al fosforo, regalo del governo Reagan alla dittatura militare: bruciavano i contadini che pretendevano una normale giustizia sociale. Nel 1976 La Valle entra in Parlamento come indipendente di sinistra; si occupa della riforma della legge sull’obiezione di coscienza. Altri libri “Dalla parte di Abele”, “Pacem in Terris, l’enciclica della liberazione”, “Prima che l’amore finisca”, “Agonia e vocazione dell’Occidente”. Nel 2008 ha pubblicato “Se questo è un Dio”. Promotore del “Manifesto per la sinistra cristiana” nel quale propone il rilancio della partecipazione politica e dei valori del patto costituzionale del ’48 e la critica della democrazia maggioritaria.