Da leggere
Ignacio Martínez De pisón, Il Fascista, traduzione di B. Arpaia, Guanda
Pisón (Saragozza, 1960) è noto al pubblico italiano già per più d’un titolo. Dal brillante esordio einaudiano con Strade secondarie al più recente, e bellissimo, Morte di un traduttore. Ora, con questo Il fascista (ma il titolo originale suonava diversamente, Dientes de leche), racconta la storia di un contadino toscano, Raffaele Cameroni, che parte volontario – assieme ad altri 80 mila compatrioti – per andare a combattere in Spagna tra le fila dei franchisti. Ma Raffaele non è fascista, è solo povero (così come il protagonista dell’indimenticabile Antimonio di Leonardo Sciascia). E in Spagna vivrà la guerra, il dopoguerra, la transizione, fino all’avvento della democrazia. E anche l’amore, quello della giovane infermiera Isabel, figlia e sorella di anarchici. Una grande e avvincente saga familiare che incrocia tragedie e sentimenti, passioni e realtà quotidiane, presente e, soprattutto, un passato ben difficile da cancellare.
Da ri-leggere
Fernando Savater, Il mito nazionalista, traduzione di E. Dalla Torre, Il Melangolo
Un breve e più che mai attuale saggio del noto filosofo spagnolo per scoprire e denunciare il vero volto di un fenomeno politico ad alto tasso di pericolosità. Per Savater, infatti, il nazionalismo rappresenta “uno dei peggiori nemici che l’idea illuminista di cittadinanza basata su diritti condivisi e non sulla somiglianza etnica” deve affrontare. E per farlo esamina – da par suo e con “passione razionale” – il fenomeno del nazionalismo basco e della sua rappresentazione più estrema: il terrorismo dell’ETA (Euzkadi Ta Azkatasuna = Paese Basco e Libertà). Certo, a casa nostra, e per fortuna, le sparate della Lega e di alcuni suoi compagni di strada sono spesso più dettate dall’ignoranza e dal provincialismo che da un preciso obiettivo politico. Ma tutta una serie di fenomeni, dai più pericolosi, come le ronde o i naziskin, ai più innocui, come le ampolline di Bossi o i ridicoli matrimoni celtici, sono sintomatici di una parte della società che potrebbe avviarsi verso una deriva davvero pericolosa.
Da leggere
Isaac Tosa, Il paese della paura, traduzione di Paola Tomasinelli, Gran Vía
Cinema e letteratura ci hanno abituati alle figure del “perseguitato” e del “persecutore”. Come non ricordare infatti il magnifico racconto lungo di Julio Cortázar intitolato, appunto, El perseguidor, o il camionista senza volto del film Duel di Spielberg, o il diabolico guardiano Jack Torrance tra i labirintici corridoi dell’Overlook Hotel di Shining? Questa volta, invece, Isaac Rosa, pluripremiato scrittore Sivigliano, classe 1974, ci propone un persecutore “piccolo piccolo”, un ragazzino che stravolge la vita di un normalissimo signore borghese, Carlos, con moglie e figlio, e che lo condurrà, passo dopo passo, in un vortice di terrori, ossessioni, minacce, ricatti e violenza. Un romanzo teso e dagli sviluppi imprevisti (e “necessario”, come ha scritto “El País”), assolutamente originale e fortemente inquietante, che mette il dito e indaga su quei meccanismi sociali che creano e diffondono l’indiscriminata, generalizzata, e spesso immotivata e pretestuosa, paura dell’Altro.
Paolo Collo (Torino, 1950) ha lavorato per oltre trentacinque anni in Einaudi, di cui è tuttora consulente. Ha collaborato con “Tuttolibri” , “L’Indice” e “Repubblica”. Ogni settimana ha una rubrica di recensioni su "Il Fatto Quotidiano". Curatore scientifico di diverse manifestazioni culturali a Torino, Milano, Cuneo, Ivrea, Trieste, Catanzaro. Ha tradotto e curato testi di molti autori, tra cui Borges, Soriano, Rulfo, Amado, Saramago, Pessoa.