Me ne sono ricordata all’improvviso: ma la Remington dov’é? Se dico Remington a scuola i ragazzi pensano a un telefonino, oppure alzano gli occhi per frugare nella breve memoria. Nella mia memoria la Remington è la prima macchina che ho imparato a usare in casa, scrivendo forse racconti d’amore, ma soprattutto tesine e tesi per l’università Appartiene al mondo delle cose di ogni giorno che ormai non usiamo più ma che restano sempre con noi e dalla cui storia noi veniamo. Infatti quell’oggetto ormai da tutti messo da parte (ma Marco Pannella so che la usa ancora…) aveva servito fedelmente la scrittura ben prima della rivoluzione dello schermo.
La macchina da scrivere era rimasta lì, dimenticata da tempi immemorabili, in un angolo del salotto. Era una Remington, nero lucida, appena leggermente scrostata, dei primi del Novecento. Appartenuta al nonno, vi avevo scritto su fin da ragazzina, mi piaceva da morire saltellare con un dito sui tasti per inventare le mie storie fantastiche… Molto più che con l’Olivetti anni sessanta (verde oliva, naturalmente) che usava mio padre. Ricordo i fogli di carta carbone, azzurro “copiativo”, si diceva, o grigio ferro, che il nonno avvocato usava per fare le copie di lettere e documenti ; imprimevano la scrittura in modo alquanto sbiadito, ma pur sempre leggibile, sulle carte veline sottostanti, messe alternate tra un foglio e un altro di quella strana carta che anneriva anche le dita appena la si toccava…
Se ne potevano fare poche copie per volta, ma poiché le fotocopiatrici non erano nemmeno nella mente di Dio, ed i bisogni spesso sono indotti, nessuno pensava di poter arrivare a consumare tanta carta e quelle poche copie si potevano certamente far bastare. Caso mai si ricominciava, dato che c’era anche tanto più tempo a disposizione…
E, già, quelle copie erano proprio le “veline”, fogli bianchi leggerissimi e semitrasparenti, su cui già Mussolini, da giornalista ormai duce, trasmetteva i suoi ordini alle redazioni. Oggi le parole hanno cambiato significato,visto che le “veline” sono diventate tutt’altro, mentre il potere non è meno arrogante e invasivo…
Una catena di oggetti si accompagna, pertanto, nella memoria, alla vecchia macchina da scrivere che, fondamentale e orgogliosa, troneggiava sulla scrivania liberty di legno chiaro…ed ora invece se ne sta in disparte, in un canto della biblioteca, tra i libri di storia, guarda caso, e il mitico Zingarelli… forse per ricordarci di andare a vedere alla voce corrispondente.
E ritornano in mente pure, per associazione, la carta assorbente, mai più vista in giro, e la penna stilografica nel suo astuccio blu, e forse anche il barattolino d’inchiostro nero seppia, lì pronto per quando si decideva di scrivere una bella lettera di proprio pugno ad un amico lontano o ad un amore mai dimenticato, evitando l’impersonale carattere artificiale…. Pure se la macchina da scrivere aveva un “carattere”suo proprio. Mi piaceva anche studiarne il meccanismo, per esempio guardare sotto i tasti, dove si ergevano le inclinate bacchettine di sostegno, una piccola selva di alberelli, tutti uguali e perfettamente allineati… Sembravano soldatini diligenti, ma se si batteva troppo forte, ogni tanto qualche tasto si inceppava…
La gloriosa Remington tuttavia era eterna e resisteva anche ai maltrattamenti, anzi sembrava proprio costruita a prova di adolescente irrequieta.
Sono stata proprio contenta di averla ereditata, ma non mi piace l’idea di doverla trattare come un pezzo da museo…Infatti non è certo messa in bella vista, ma se ne sta lì, discretamente defilata e impolverata… non è certo uno status symbol! Inutile tuttavia pensare di rimetterla in funzione, sarebbe penoso vederla arrancare per scrivere due righe…
Del resto, anche la tastiera del computer presto sarà obsoleta. Inventeranno lo “scriptopensiero”, basterà pensare ad un qualsiasi testo ed eccolo già trascritto sullo schermo palmare, automaticamente trasmesso ovunque si voglia.
Ma i vecchi oggetti sono oggetti con l’anima, e restano con noi solo per ricordarci, con un pizzico di nostalgia, il modo diverso che avevamo di vivere… Notti estive insonni passate a studiare e a guardare più le stelle che la televisione, pomeriggi d’autunno grigio piombo tra i libri e il registratore, gelide mattine invernali con il caffelatte e gli Oro Saiwa, e in primavera rami di roselline cinesi messe nei piccoli vasi sul davanzale… E la macchina per scrivere del nonno sempre lì, a portata di mano, anche per provare finalmente a scrivere la tesi di laurea…Ma andavo avanti troppo lentamente e così finivo diritta in copisteria, proprio dietro l’università, dove per ogni pagina battuta sull’anonima macchina da una signorina un po’ attempata (con gli occhiali spessi come vetri di bottiglia) veniva fuori un numero incredibilmente alto di errori… Ma si pagavano solo dieci lire a pagina, in tutto cinquemila lire per tre copie originali (senza carta carbone!) rilegate in copertina azzurra plastificata. E le correzioni erano rigorosamente fatte a mano!
Era il tempo delle macchine da scrivere.
Giusy Frisina insegna filosofia in un liceo classico di Firenze