Luca, discepolo di Paolo, con la parabola «dell’amore a perdere» di un padre verso due figli tragici, ci consegna il mandato missionario di un vangelo aperto a ogni popolo il quale ha diritto di accesso alla fede senza condizione preliminare. Gesù compie in territorio pagano gli stessi miracoli che compie in terra d’Israele, con le stesse modalità e alle stesse condizioni. Israele e Pagani per Gesù di Nàzaret sono sullo stesso piano e nessuno può vantare diritti superiori a quelli degli altri. A tutti e due, Israele e Pagani, chiede solo la fede in Dio e nel Figlio dell’uomo (cf Gv 9,35-37) che ne è la versione umanamente accessibile.
L’uomo della parabola è il perno attorno a cui girano i due figli, uno peggiore dell’altro, perché il maggiore, pur restando a casa, non è migliore del minore che se n’è andato via. Il padre, a sua volta, lacerato e sbrindellato tra i due non impone mai la sua autorità e, quindi, non fa prevalere il principio di autorità dell’«ego dixi», ma lascia intatti gli spazi vitali e il tempo della sperimentazione perché i figli, camminando con le proprie gambe, possano arrivare a quella profondità e senso della vita che «adesso» non vedono. È la parabola della Chiesa, dove spesso la gerarchia s’impone non per argomenti, ma per imposizione trasformando l’autorità in autoritarismo e vanificando la sua credibilità di fronte ai figli che vogliono volare nell’immensità del cielo e non essere tarpati per razzolare nella polvere dell’ovvio e del banale.
Un altro elemento a conferma della universalità del messaggio evangelico si trova nelle due genealogie, riportate da Matteo e Luca (in Marco è assente, mentre Giovanni sostituisce la genealogia storica con l’inno alla «preesistenza del Lògos» (Gv 1,1-18). Matteo circoscrive la genealogia del Messia nel contesto giudaico, facendolo risalire fino ad Abramo (Mt 1,1-25), utilizzando modelli narrativi propriamente giudaici come la struttura settenaria del concatenamento generazionale. Luca che proviene dalla scuola dell’apostolo dell’universalità della fede, va oltre e descrive l’ascendenza di Gesù fino ad Adamo, capostipite dell’umanità, anzi fino a Dio creatore dell’universo (Lc 3,23-38): l’orizzonte dunque della vicenda di Gesù non è più Betlèmme, ma la Palestina; non è più la Palestina, ma tutta la storia d’Israele; non è più la storia d’Israele, ma l’umanità intera; non è solo l’umanità, ma questa in rapporto con Dio creatore che si prende cura del mondo che ha creato.
La parabola lucana come «midràsh» di Ger 31 si inserisce in questo contesto. Essa, infatti, narra di «un uomo [che] aveva due figli» (Lc 15,11) e già con questa informazione, posta sullo sfondo narrativo, Luca scaraventa il lettore nel cuore della pienezza di umanità senza particolarismi: «un uomo» fu ieri, è oggi e sarà anche domani. «Un uomo» che potrebbe essere ognuno di noi. La parabola non è un racconto edificante, non intende esporre una morale o un sistema di valori, ma vuole essere un affresco del nuovo metodo di agire di Dio: il metodo dell’«amore a perdere» o, come suole dirsi, dell’amore gratuito che esiste per sé e non per quello che riceve.
Per rendere accessibile il testo userò il metodo che parte dal testo stesso, cercando di contestualizzarlo in Luca, nel NT e in tutta la Bibbia. Cercherò di mettere in luce in modo particolare il rapporto tra Lc 15 e il testo di riferimento di Ger 31 di cui è un commento cristianizzato: un «midràsh» attualizzante, confrontando i testi per dare al lettore la possibilità «fisica» del contatto con la Scrittura. Una visione completa si potrà avere solo alla fine della lettura.
Mi accosto a questo testo come le onde del mare che si adagiano sulla battigia: sono ampie e armoniche, impetuose e calme perché abbracciano il litorale, lo accarezzano e lo rilasciano in un moto cadenzato come di culla; l’onda afferra, ma non possiede; avvolge, ma non trattiene; abbraccia, ma libera allo stesso tempo. Il testo non si lascia possedere, ma si abbandona all’ascolto, si acquieta nel silenzio orante e si riposa nella «ruminatio», preludio dell’assimilazione che diventa vita.
Paolo Farinella, biblista, scrittore e saggista, è parroco nel centro storico di Genova in una parrocchia senza parrocchiani e senza territorio. Dal 1998 al 2003 ha vissuto a Gerusalemme "per risciacquare i panni nel Giordano" e visitare in lungo e in largo la Palestina. Qui ha vissuto per intero la seconda intifada. Ha conseguito due licenze: in Teologia Biblica e in Scienze Bibliche e Archeologia. Biblista di professione con studi specifici nelle lingue bilbiche (ebraico, aramaico, greco), collabora da anni con la rivista "Missioni Consolata" di Torino (65.000 copie mensili) su cui tiene un'apprezzata rubrica mensile di Scrittura. Con Gabrielli editori ha già pubblicato: "Crocifisso tra potere e grazia" (2006), "Ritorno all'antica messa" (2007), "Bibbia. Parole, segreti, misteri" (2008).