Maurizio CHIERICI – Gli occhi stanchi del Papa
10-06-2010Lo scrivono in tanti: il Papa torna protagonista, chi non lo riconosce è comunista. Magari il Papa tornasse protagonista, persona fra le persone, guida morale ascoltata e rispettata. Non per la convenienza frettolosa del bon ton di quando serve. In Italia ai traffici della politica; nel mondo ai signori della guerra travestiti da capi di Stato. Fra i reticolati della terra di nessuno che divide la Cipro indipendente dalla Cipro turca, nello sguardo del Papa c’ era la malinconia di un vecchio troppo solo.
“Prima che sia troppo tardi…”, omelia della disperazione per evitare il bagno di sangue e ricordare a Israele e ai paesi che scrivono la storia di tutti, la rabbia dimenticata dei palestinesi profughi a casa loro. La sua voce era sconsolata come quando si affaccia alla finestra dell’Angelus mentre il mondo brucia e lui prova a spegnere l’incendio con la timidezza dell’ uomo di pace disarmato dalla triade petrolio, Wall Street e industria pesante: insomma, armi. Voce inascoltata. Nessuno risponde.
Le sue parole non sono quotate in Borsa; non pagano lo stipendio dei politici e dei giornalisti penna e moschetto. Scivolano come acqua sui protocolli militari che non conoscono crisi tant’è che mentre la crisi taglia il lavoro di chi cerca lavoro, e taglia pensioni, scuole, sanità, l’Italia compra 200 caccia bombardieri e gli onorevoli devotamente cattolici fanno finta di non sapere dei cento e cento milioni spesi per la felicità di chi dovrà subirli. Per non parlare di quando i così detti “ grandi “ vanno in Vaticano con la benevolenza del far visita ad uno zio fuori dal mondo, che è il mondo degli affari. La foto dello scambio dei regali diventa l’immagine che ogni presidente distribuisce ai suoi elettori cattolici al momento del voto. Povero Papa, trasformato in uno spot.
Negli ultimi trent’anni si sono combattute guerre tecnologiche nel nome della religione per la difesa del mondo libero e cristiano. Ipocrisia surreale. Vescovi militari e ministro Frattini la rispolverano quando i soldati tornano dall’Afghanistan in una cassa di legno. “Se pensano di spaventarci si sbagliano. Vinceremo”. Libano, ex Jugoslavia, Iraq, Gaza, Afghanistan, un milione di morti senza nome, numeri che spaventano ma subito volano via mentre le invocazioni di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVII da trent’anni suscitano leggere apprensioni svaporate nell’indifferenza. Sempre nel nome di Dio, gli integralisti di ogni religione continuano a minacciare le loroguerre sante.
Ma la malinconia di questo Papa è più profonda: Chiesa travolta dalla vergogna della pedofilia. Chiesa che i credenti sentono lontana per quel romano centrismo che ha cancellato le teologie della povertà e della liberazione per affidarsi alle gabbie Opus Dei, Legionari di Cristo, e di ogni altro integralismo, dove i senza censo diventano comparse da commiserare con pacchi dono. Ogni anno in Brasile un milione di cattolici si allontana da Roma. Ogni giorno i preti che vivono fra la gente e ne colgono lo sconcerto devono alzare gli occhi al cielo.
Hans Kung ricorda quando lui e Ratzinger erano giovani teologi nel Concilio di papa Giovanni. E si preoccupa per “la crisi, la più profonda dai tempi della riforma luterana”. Ratzinger invita Kung a Roma appena diventa Papa, “nel ricordo di quando eravamo colleghi all’università di Tubinga. Sembrava aprirsi alla speranza di un rinnovamento che purtroppo non si è avverato”. E la disperazione nascosta nella solennità dei paramenti tormenta Benedetto. Ripete le invocazioni del vangelo e nessuno le raccoglie. 47 secondi dei tg che voltano subito pagina; articoli nei giornali del mondo, quasi una curiosità, che il giorno dopo sparisce senza lasciare traccia.
Perché questa indifferenza? Forse la risposta nella voce di un Papa lontano, Paolo VI. “La gente non crede più alle parole, ormai solo alla testimonianza. All’origine del dilagare della crisi individuale e collettiva, è la non credibilità degli annunci delle autorità che guidano l’attesa dei popoli”. Ripensando ai dittatori benedetti dalla Chiesa come vecchi amici, lo sguardo di Ratziger affievolisce e le sue parole tremano nel timore che nessuno di chi comanda le raccolga. Silenzio e sorrisi educati lunghi cinquant’anni.