Se fosse una fiction o un film di mafia, sapremmo come va a finire. Un pentito senza protezione finisce come Gaspare Pisciotta. Perché la decisione di non concedere la protezione a Gaspare Spatuzza da parte del Viminale si basa su una sceneggiatura fin troppo prevedibile. E ce l’hanno pure chiarito nella motivazione, che mette in relazione il rifiuto con le dichiarazioni (fuori tempo massimo!) di Spatuzza su Dell’Utri e Berlusconi. Così dubbi non ne restano. Anche se i tg (Tg3 a parte) si sono ben guardati dallo spiegare bene i fatti. Ci hanno però mostrato il pentito, sempre con la stessa maglietta a righe con la quale è stato ripreso tra i poliziotti che lo hanno arrestato. Ora se, gli succederà qualcosa, chiederemo conto al ministro dell’Interno, il leghista che si vanta di arrestare 8 mafiosi al giorno, mentre gli arresti li fanno forze dell’ordine e magistrati. Lui si limita a ostacolarli tagliando i fondi o addirittura, se capita, azzannando poliziotti in nome della padania.
Tremonti non mette mano al digitale (extra)terrestre: preferisce le tasche degli italiani
Il segretario Bersani, nel corso della manifestazione del Pd, ha chiesto al governo di mettere in vendita le frequenze del digitale terrestre, come si è fatto in tutti gli altri Paesi, ricavandone miliardi di euro. Ma in Italia non si è fatto e ci potete scommettere che non si farà, visto che a vendere dovrebbe essere il governo di Berlusconi e a pagare dovrebbe essere Berlusconi. Insomma, un altro caso plateale di conflitto di interessi che potrebbe offrire l’occasione giusta, a Tremonti, per dimostrare come il peso dei sacrifici debba cadere su tutti i cittadini e in particolare su quelli abbienti (e sul più abbiente di tutti!). Ma Tremonti, nonostante la sua arietta presuntuosa, è un tipo accomodante, coi ricchi. Del resto, sarebbe come pretendere che Ghedini (già così secco) si dividesse in due: da una parte l’avvocato di Berlusconi e dall’altra il rappresentante del popolo. Ma Ghedini non è divisibile; è un uomo tutto d’un pezzo e quel pezzo appartiene interamente a Berlusconi.
I favori non richiesti dei furbetti che prendono a schiaffi la libertà di stampa
I signori del Pdl hanno pochi argomenti e li ripetono fino alla nausea. Ogni tanto cambiano opinione, ma restando in formazione compatta come una sorta di nuoto sincronizzato. Così stanno facendo con la legge bavaglio: negli ultimi due anni ne hanno detto di tutti i colori, mantenendo pochi punti fermi. Un caposaldo è il caso della signora Ricucci, in arte Anna Falchi, sorpresa nella sua intimità telefonica, senza peraltro esserne minimamente danneggiata. Ma, al momento, l’ultimo grido della moda-bavaglio è quello enunciato dal senatore Centaro a Lilli Gruber: il divieto di pubblicare intercettazioni è un favore fatto ai giornalisti, per incitarli a quelle belle inchieste di una volta, rinunciando al «copia e incolla» giudiziario che li avvilisce professionalmente. Insomma, lo fanno per il nostro bene, come dicevano un tempo i genitori maneschi tirando sberle. Ma personalmente preferiamo il metodo Montessori: la libertà di scelta garantita dall’articolo 21.
Intercettazioni: le bugie del Capo hanno le gambe corte e qualche zero di troppo
Apertura dei tg su Berlusconi, come da copione. E se no, a che serve il potere? Ed ecco che lui, come da copione, si lamenta di non avere potere, perché tutto il potere, secondo il principio leninista, appartiene ai soviet, quelli dei magistrati spioni. Infatti siamo tutti intercettati. Anzi no, non proprio tutti, diciamo 7 milioni soltanto. Daniela Santanché di recente ha parlato di 12 milioni, ma Berlusconi preferisce tenersi basso, che è la sua dimensione naturale. Intanto, i magistrati fanno sapere che, al massimo, gli intercettati possono essere 30.000. Insomma, le cifre ballano e sballano. E gli italiani a chi credono? Basta guardare i sondaggi, come quello del tg7, che ha chiesto in diretta al suo pubblico se Berlusconi diceva la verità. Gli spettatori hanno risposto al 91% che a Berlusconi non credono per niente. È vero che non si tratta di un regolare campione demoscopico, ma si può dedurne con ragionevole certezza che a Berlusconi non credono neanche quelli che lo votano.
Sono nata a Ghilarza (Oristano), ho studiato lettere moderne all’Università Statale di Milano, in pieno 68. Ho cominciato a lavorare all’Unità alla fine del 73, quando era ancora ‘organo’ del Pci, facendo esperienza in quasi tutti i settori, per approdare al servizio spettacoli negli anni 80, in corrispondenza con lo straordinario sviluppo della tv commerciale, ovvero con l’irresistibile ascesa di Silvio Berlusconi. Ho continuato a lavorare alla redazione milanese dell’Unità scrivendo di televisione e altro fino alla temporanea chiusura del giornale nell’anno 2000. Alla ripresa, sotto la direzione di Furio Colombo, ho cominciato a scrivere quotidianamente la rubrica ‘Fronte del video’, come continuo a fare oggi. E continuerò fino a quando me lo lasceranno fare. Nel 2003 è stato stampato e allegato all’Unità un volumetto che raccoglieva due anni di ‘Fronte del video’.