Ricevo dal professor Fabrizio Borsella di Recanati l’invito a chiarire una volta per tutte se risponda al vero che i marinai genovesi si siano comportati con colpevole e palese pusillanimità nel corso della battaglia di Lepanto. Egli, infatti, m’informa d’aver appreso dalla “viva” voce (si fa per dire) del Capo della Lega Umberto Bossi, apparso agguerrito più che mai alla recente Festa dei Popoli Pagani, che nella fattispecie “… mentre i marinai padani si battevano con coraggio e successo, i liguri se ne stavano lontani, timorosi sull’esito della battaglia …” , A seguire il Nostro avrebbe affermato che ogniqualvolta si fosse trovato a passare davanti ad una statua di Doria (quale Doria non dice) non si sarebbe peritato di assestargli qualche bacchettata sulle mani (sic). Il Professore mi chiede in ultimo, non senza qualche perplessità, se per caso Bossi non avesse avuto ragione nel proferire le sue accuse.
La mia risposta.
Beh, proprio ragione no, anche se il valetudinario figlio del Po (non per nulla il suo animato figliolo viene chiamato “il Trota”) non ha fatto che conformarsi pedissequamente ad una certa vulgata pseudo-storica secondo la quale il genovese Doria nella battaglia navale di Lepanto del 1571 si sarebbe comportato con codardia o, quanto meno, ambiguamente.
La sorpresa è un’altra ed è clamorosa: il 31enne Principe Giovanni Andrea Doria (figlio di Giannettino vittima della congiura dei Fieschi e nipote del più celebre Grande Ammiraglio omonimo), nella fattispecie poco o nulla ebbe a che vedere con la marineria genovese o ligure che dir si voglia, in quanto egli comandava la Flotta Spagnola, militava pertanto sotto le insegne di Filippo II che aveva aderito alla Lega Santa contro i Turchi insieme alle forze navali della Santa Sede, della Repubblica di Genova, della Serenissima, dell’Ordine di Malta e del Duca di Savoia.
La flotta genovese era invece comandata dal nobile Ettore Spinola spalleggiato nella circostanza da altri celebrati condottieri genovesi quali Pietro Lomellini e Giorgio Grimaldi (!). Per quanto storicamente sarebbe stato appurato, i marinai (e i soldati) liguri al loro comando si comportarono stoicamente e valorosamente coprendo con bravura l’area loro assegnata al centro dello schieramento cristiano capeggiato da Don Giovanni d’Austria, Comandante Supremo dell’intera flotta cristiana.
Quanto al giovane comandante Doria (o D’Oria), la cronaca del tempo vuole che, essendogli stata affidata la difesa del fianco destro della formazione, egli abbia esitato ad ingaggiare battaglia con la potente flotta (ben 90 galee) di Ulugh Alì (dato come rinnegato di origine calabrese), consapevole dello svantaggio costituito dalle sole 53 galee al suo comando: versione ulteriormente suffragata dal fatto che Ulugh Alì parve ottenere inizialmente un primo parziale successo con l’affondamento di alcune galee… spagnole. Ma la verità, come sempre, è ben più complessa e articolata. In realtà Doria, allontanandosi in mare aperto, altro non aveva fatto che attirare su di sé il grosso delle forze capeggiate da Ulugh Alì destinate a completare l’accerchiamento del settore centrale della flotta cristiana, accerchiamento che non ebbe luogo lasciando il resto della flotta turca (il fianco sinistro con Shoraq o Scirocco; il corpo centrale con Alì Pascia Comandante Supremo) in balia della flotta cristiana che la decimò uccidendo e decapitando financo i due comandanti citati.
Per contro Doria, con una manovra simil Orazi e Curiazi ex post, passò al contrattacco costringendo la flotta turca alla resa e Ulugh Alì ad una ingloriosa fuga alla volta di Costantinopoli incalzato altresì dalla flotta di riserva del Marchese di Santa Cruz.
Ma di questo non si tenne debito conto; convinto dagli argomenti propinatigli, non a caso, surrettiziamente dal vecchio Sebastiano Venier comandante “virtuale” della flotta veneziana (acerrima nemica di Genova), il Papa Pio V si adoperò tempestivamente per far decadere Doria dalla sua carica di Consigliere di Don Giovanni d’Austria.
Domanda: se Giovanni Andrea Doria fosse stato in realtà un imbelle pavido e irresoluto, come avrebbe potuto causare la fuga del suo diretto poderoso nemico? E, cosa assai più significativa, come si spiegherebbe che, dopo la battaglia di Lepanto, gran parte dei potenti dell’epoca fecero a gara per conferire al Doria una pletora di riconoscimenti, di incarichi, di nomine, di ruoli e titolo prestigiosi? Mah, la Storia è spesso matrigna.
Di certo v’è solo una cosa: che se il Senatur, anziché bofonchiare bislacche ed esilaranti castronerie, andasse a lezione di Storia (magari, perché no?, dalla sua sodale Gelmini che lo vorrebbe insignire d’una Laurea e che, come è arcinoto, di Storia si intende a meraviglia) si risparmierebbe molti dileggi e i vessilli dei celoduristi padani brillerebbero di ben altra luce.
Ad maiora.