I libri saranno salvati dalle donne, è la speranza di Mario Vargas Llosa: «Ormai la letteratura sta diventando un’attività femminile. Nelle librerie, nelle conferenze o nei recital degli scrittori, e, naturalmente, nella facoltà universitarie dedicate alle lettere, le sottane battono i pantaloni con una goleada. Si spiega che nelle fasce sociali medie le donne leggono di più perché lavorano meno degli uomini. E poi perché le donne sono portate a giustificare, più degli uomini, il tempo dedicato alla fantasia e alle illusioni. In Spagna il numero delle ragazze e delle signore che confessano di leggere supera quello degli uomini del 6,2 per cento. Differenza che continua ad aumentare e si aggrava in altri Paesi. Mi rallegro con le ragazze e le signore, ma deploro gli uomini …». Non leggono perchè impegnati «in cose importanti: sport, cinema, tv, bridge e ogni gioco di carte. Non sanno il piacere che perdono…». Perdita che precipita lo scrittore nel pessimismo: «Una società senza letteratura o dove la letteratura è stata relegata, come certi vizi inconfessabili, ai margini della vita sociale e convertita in poco meno di un culto settario, questa società è condannata a barbarizzarsi spiritualmente e a compromettere la propria libertà».
Insegue i fili che soffocano la letteratura: la specializzazione, per esempio: «Viviamo in un’era di specializzazione della conoscenza dovuto al prodigioso sviluppo della scienza e della tecnica e alla loro frammentazione nella rete di cammini e compartimenti chiusi. È vero che la specializzazione permette di approfondire; esplorazione e sperimentazione sono i motori del progresso. Ma nasconde conseguenze negative: elimina quei denominatori comuni grazie ai quali uomini e donne possono coesistere, comunicare e, in un certo senso, sentirsi solidali». Le parole degli specialisti vengono inscatolate – insiste – in ghetti tecnici «i cui linguaggi sono il codice di un’informazione progressivamente parziale che confina in un particolarismo che ci allarma. Perché concentrarsi sulle foglie e sui rami dimenticando che sono parte di un albero e l’albero di un bosco? Avere coscienza dell’esistenza del bosco dipende dal il sentimento di appartenenza che unisce l’intero sociale e impedisce di disgregarsi in una miriade di particolarismi solitari».
Al contrario, la letteratura «è uno dei denominatori comuni dell’esperienza umana grazie alla quale gli esseri viventi si riconoscono e dialogano, non importa quanto diversa sia l’occupazione, il tipo di vita e i tempi storici che determinano i loro orizzonti. I lettori di Cervantes, Shakespeare, Dante o Tolstoj sono e si sentono membri della stessa specie perché dalle loro opere abbiamo appreso ciò che condividiamo come esseri umani, ciò che rimane dentro di noi malgrado le ampie differenze che ci separano». La letteratura «apre un miracoloso intervallo» nelle abitudini grigie della vita di ogni giorno «sospensione provvisoria che ci ruba dalla cronologia e dalla storia per convertirci in cittadini di una patria senza tempo. Ci trasforma in protagonisti più intensi, più ricchi, più lucidi più complessi…» ed evita «… le stupidaggini dei pregiudizi, del razzismo, della xenofobia, del settarismo religioso e politico o del nazionalismo escludente».
Non importa la differenza tra grande e piccola letteratura: «un romanzo mediocre come La capanna dello zio Tom ha stimolato la presa di coscienza sociale degli Stati Uniti sugli orrori della schiavitù».
Le nuove generazioni stanno crescendo con computer e tv: Vargas Llosa ne è parzialmente infelice. «I media audiovisivi non sono in grado di sostituire la letteratura… tendono a relegare le parole in secondo piano rispetto alle immagini che sono il loro linguaggio primordiale…Nello schermo piccolo o grande i recitativi risultano soporiferi. Definire un film o di un programma tv ‘letterario’ è la maniera elegante per decretarlo noioso».
E a questo punto entra in sena Bill Gate, signore dei computer. «Persona alla quale l’umanità deve moltissimo sul terreno della comunicazione. Ma…», tornano i «ma». Visitando l’Accademia reale di Madrid, Gate ha assicurato gli accademici di non voler morire senza aver prima realizzato il più importante desiderio. Eliminare la carta, quindi i libri a suo giudizio anacronismi tenaci. Sostiene «che lo schermo dei computer è in grado di sostituire tutte le funzioni affidate a libri e giornali… Non ne sono tanto sicuro. Non riesco ad abituarmi all’idea che la letteratura non funzionale e non pragmatica, la lettura che non cerca comunicazione o informazioni di utilità immediata, possa integrarsi nello computer, entrare nel sogno delle parole con la stessa sensazione di intimità, la stessa concentrazione e l’abbandono spirituale che il libro consente… Solo un presentimento: con la sparizione del libro la letteratura riceverebbe un maltrattamento quasi mortale…».
Lo scrittore diffida della letteratura elettronica così come non sopporta l’eliminazione del fascino delle parole su piccolo e grande schermo. «Come immaginare una società non contaminata dalla letteratura? Si può paragonare ad una comunità di balbuzienti e afatici con tremendi problemi di comunicazione dovuti ad un linguaggio rudimentale. Questo vale anche per le persone. Una persona che non legge e legge poco, o legge solo immondizia, può parlare molto ma dirà sempre poche cose perché dispone di un repertorio minimo ed inefficiente. Non è solo limitazione verbale. È anche limitazione intellettuale. Incapaci di pensare e riconoscere perché le idee, i concetti mediante i quali ci appropriamo della realtà esistente e dei segreti della nostra condizione, li respiriamo leggendo».
Lo scenario sciaguratamente annunciato, potrebbe essere una «civilizzazione lilipuziana nella quale sulle parole prevarrebbero a caso, grugniti, gesti scimmieschi…». Mondo popolato da esseri «incivili, barbari, orfani della sensibilità, storpiatori di parole, ignoranti viscerali, negati alla passione e all’erotismo…Gli istinti basici deciderebbero la routine quotidiana: paura per ciò che non si conosce, solo appagamenti alle necessità fisiche». Inconsapevole per mancanza di parole, anche l’amore si ridurrebbe ad un esercizio primitivo, volgarità per sopravvivere senza piacere. Ma lo scrittore continua a sperare che il mondo non si arrenda. E che la lettura non diventi «una curiosità anacronistica praticata nelle catacombe della civilizzazione mediatica, da una minoranza nevrotica». E attorno, babele senza parole. E le curiosità che facevano arrabbiare anche Borges «quando gli chiedevano: a cosa serve la letteratura? Gli sembrava una domanda stupida. A nessuno si può domandare qual è l’ultilità del canto di un canarino o dei raggi di un crepuscolo».