Maria Luisa Busi ha debuttato su Raitre col suo programma sui diritti. Lo ha fatto con grinta e affrontando subito un tema difficile come quello dell’amianto nelle scuole. Durante tutta la puntata ha mostrato donne coraggiose protagoniste di lotte a nome e per conto dei propri figli; più una figlia che si batteva per il padre ucciso dal suo lavoro di insegnante. Come succedeva anche a “Mi manda Raitre”, le proteste e le accuse venivano parate dal muro di gomma delle controparti, sempre rappresentate da incredibili eroi del codicillo. Personaggi capaci di trovare una circolare che dimostri, col suo latinorum burocratico, come la responsabilità non sia mai dell’ente preposto, ma sfumi in un indistinto scarica barile. Così, un alto dirigente del ministero della pubblica istruzione, grande personaggio gogoliano, pur costretto ad ammettere lo sfacelo dell’edilizia scolastica, non smetteva di esaltare il ministro Gelmini, vero Attila della scuola italiana.
Le impronte di Silvio sulla sospensione (sospesa?) di Santoro
La prima puntata di Annozero dopo la «sospensione» che per fortuna ancora non c’è (e speriamo non ci sarà) è stata bella compatta. Santoro sembra essersi intestardito a dare il meglio di sé e il suo meglio non è il talk show, ma i servizi e le interviste, le folle e le piazze. Dove si vedono le facce e si ascoltano le voci dell’Italia che lavora, anzi che lavorava. Dove, tra l’altro, si scopre che sono facce bellissime, non segnate dal bisturi o dal botulino, ma dalla vita. Il direttore generale Masi non può competere con quelle facce e infatti già si sente dire da più parti che il suo ciclo Rai è finito. Comunque, restando alla serata di Annozero, abbiamo capito qualcosa di più dell’affaire Marcegaglia – Porro. Uno scherzo nel quale c’è poco da ridere, ripensando alla storia del Giornale ripercorsa da Travaglio e ricordando come Berlusconi (Silvio, non Paolo!) scippò Montanelli della redazione. Sempre gli stessi metodi: Berlusconi lascia le sue impronte su tutto quello che compra.
Regalate un nuovo paio di occhiali a Maroni: vede solo i suoi(?) meriti, ma non le sue(!) responsabilità
Ecco il ministro dell’interno Maroni coi suoi occhialetti, con rispetto parlando, da pirla (non li porta più neppure Luca Giurato) apparire nei tg per difendere il suo non operato dopo la sciagurata notte serba di Genova. Infatti, respinge ogni critica per quello che è accaduto sotto gli occhi delle telecamere e, anzi, pretende di attribuirsi il merito di tutto quello che ‘non’ è accaduto e cioè una strage. Interesse autopromozione, ma assolutamente indimostrabile. È come se uno si vantasse non di quello che ha fatto di buono, ma di tutto quello che non ha mai fatto di male. Per esempio, un ladro in tribunale potrebbe pretendere un premio per non aver ammazzato nessuno. Del resto, basandosi un po’ sullo stesso principio del non essere, il direttore generale Rai, Masi, ha ordinato l’esilio di Santoro dal video, non tanto come punizione del conduttore, ma come prova del suo (di Masi) non essere in grado di dirigere neppure la tv dello Zimbabwe. Motivo per cui Berlusconi lo vuole alla Rai.
Il sindaco di Adro rilancia. E minaccia di riportare i 700 soli delle Alpi nella scuola pubblica, da dove sono stati non asportati, ma almeno oscurati, per opera del preside. E figurarsi se il primo cittadino leghista, che da mesi ha conquistato le telecamere con atti contrari all’umanità prima e alla decenza istituzionale poi, rinuncerà alla sua visibilità. È quello che i leghisti hanno imparato da Berlusconi: campagna elettorale continua per raccattare voti e poi fare i propri interessi di partito, oppure quelli personali (che per Berlusconi è lo stesso). Anche il ministro dell’interno Maroni, del resto, si comporta così: mette il suo marchio su tutto quello che fanno i magistrati e le forze dell’ordine. E quando invece succedono disastri clamorosi, come le devastazioni provocate dai teppisti serbi a Genova o il fatto che le liste elettorali sono state riempite di «gente indegna» (parole di Pisanu), la responsabilità non è sua, ma di chissà chi. Magari degli immigrati e dei bimbi rom.
Sono nata a Ghilarza (Oristano), ho studiato lettere moderne all’Università Statale di Milano, in pieno 68. Ho cominciato a lavorare all’Unità alla fine del 73, quando era ancora ‘organo’ del Pci, facendo esperienza in quasi tutti i settori, per approdare al servizio spettacoli negli anni 80, in corrispondenza con lo straordinario sviluppo della tv commerciale, ovvero con l’irresistibile ascesa di Silvio Berlusconi. Ho continuato a lavorare alla redazione milanese dell’Unità scrivendo di televisione e altro fino alla temporanea chiusura del giornale nell’anno 2000. Alla ripresa, sotto la direzione di Furio Colombo, ho cominciato a scrivere quotidianamente la rubrica ‘Fronte del video’, come continuo a fare oggi. E continuerò fino a quando me lo lasceranno fare. Nel 2003 è stato stampato e allegato all’Unità un volumetto che raccoglieva due anni di ‘Fronte del video’.