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Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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Domani chiude, addio

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Il signor Roddi presta la sua villetta in Valsesia ai domestici. E marito e moglie Rajkapase prestano la loro casa in Sri Lanka al signor Roddi che vuol scoprire l’Oriente. Durante le vacanze gli extra tornavano a casa ma la crisi taglia i viaggi. Cosa fanno d’agosto nelle città vuote 4 milioni e 200 mila stranieri?

Quando l’immigrato e il “padrone” si scambiano la casa per andare in vacanza

01-08-2011

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Secondo i dati Istat, riferiti al 2010, in Italia vivono 4 milioni e 200mila stranieri, pari al 7% dei residenti. Una percentuale notevole, che però sembra ridursi drasticamente nel periodo delle vacanze estive: in spiaggia sotto l’ombrellone, o durante una passeggiata in montagna, è raro incontrare un immigrato. Ma dove vanno a finire durante le vacanze?
Da un’indagine condotta a Roma dalla Caritas nel 2009, basata su un campione di mille persone, emergeva che la tendenza dominante negli immigrati era ancora quella di tornare nel Paese di origine durante le ferie, quando le risorse economiche e i visti lo permettevano. A scegliere la vacanza di ritorno era circa il 65% degli stranieri intervistati.
Questa tendenza ha subito mutamenti a causa della crisi: generalmente si parte meno, ma il periodo che si trascorre in patria si è allungato, per due motivi. Anzitutto perché il costo del viaggio, in un periodo in cui è ancora più difficile mettere da parte risorse economiche, è diventato un investimento che occorre far fruttare il più possibile; tra l’altro nel calcolo non bisogna considerare solo il prezzo del biglietto, ma anche i soldi che si spendono per aiutare chi è rimasto in patria e per far vedere che in Italia si è raggiunto il «successo». Inoltre, molti scelgono di restare in patria un po’ più a lungo, in attesa di un momento più propizio per trovare lavoro in Italia.
Un fattore che incide profondamente sulla scelta di tornare o meno durante l’estate nel Paese di origine è la nazionalità: gli immigrati provenienti dall’Africa o dall’Est Europa sono ovviamente avvantaggiati, poiché devono compiere un viaggio più breve e di conseguenza meno costoso.
Un fenomeno interessante, rilevato da don Giancarlo Quadri, direttore della Pastorale migranti della diocesi di Milano, è l’usanza di tornare in patria per celebrare i matrimoni: «Nei mesi di marzo-aprile i nostri corsi per futuri sposi sono frequentatissimi – afferma don Quadri -. Si tratta di ragazzi che sfruttano le offerte per i voli nel mese di maggio, in bassa stagione, per tornare al Paese e sposarsi lì». In realtà non si torna solo per i matrimoni; spesso il viaggio di ritorno è un’occasione per occuparsi di questioni familiari, avviare un’impresa o sovrintendere alla costruzione di una casa.

FERIE ALL’ITALIANA
Ma chi resta in Italia che cosa fa? È strano che nessun istituto di ricerca sinora abbia cercato di studiare a fondo questo fenomeno, che ha interessanti potenzialità, ad esempio per il settore turistico. Se è vero infatti che la vacanza nel senso occidentale di svago, riposo e turismo è ancora un’abitudine estranea alla maggior parte degli immigrati (secondo la citata indagine della Caritas sarebbero il 15%), la quota potrebbe crescere in un futuro non troppo lontano.
Come spiega Antonio Russo, responsabile nazionale Acli per l’immigrazione, «i cittadini che si sentono sicuri dal punto di vista lavorativo e sociale, specie quelli da più tempo nel nostro Paese, sono sempre più propensi ad acquisire uno stile di vita italiano».
Un esempio è quello di Astrit, albanese in Italia da vent’anni. La sua storia assomiglia a quella di tanti connazionali: insegnante nel suo Paese, scappò con il grande esodo del 1991; oggi è funzionario in una società di Milano e, insieme alla moglie (italiana) e al figlio, va spesso in vacanza a Tirrenia, in Toscana. E non è l’unico albanese. «Lo scorso anno – racconta – siamo arrivati al residence e abbiamo trovato altre quattro famiglie di albanesi che non conoscevamo. Molti miei amici che prima non vedevano l’ora di tornare in patria d’estate, ora possono permettersi di andare al mare qui in Italia o magari in Spagna o in Croazia. E non è detto peraltro che si spenda di più che a tornare a casa, dove sei moralmente obbligato a portare regali per tutti…».
Anche Baye Ndiaye, senegalese, dirigente di un’importante società di assicurazioni e da più di 30 anni in Italia, viaggia spesso e volentieri. «All’inizio passavo le ferie nel paese di origine. Poi mi sono detto: “Abito in Italia, devo cercare di conoscere meglio il Paese in cui vivo”. Sfruttando anche la rete di amici, ho cominciato a viaggiare, ad esempio in Liguria, Toscana, Veneto, Romagna».

TURISTI IN RETE
L’attenzione ai costi è ovviamente una costante. In generale la mentalità è simile a quella italiana tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta: le vacanze sono viste come un lusso eccessivo e quando si decide di partire si scelgono soluzioni a basso costo. Le mete più gettonate sono quelle del turismo di massa, i lidi romagnoli o località della riviera ligure come Andora o Pietra Ligure.
Un’altra abitudine consolidata è quella di sfruttare la propria rete sociale di riferimento per trovare ospitalità a costo zero: molti si recano da connazionali immigrati in altre parti d’Italia, una soluzione che, oltre a essere economica, permette di mantenere i rapporti con i vecchi amici.
È il caso di Daniel Tsegai, eritreo, in Italia da una trentina di anni: «Ho iniziato a fare le vacanze come le intendete voi italiani solo da quando è nata mia figlia. La portiamo al mare, prevalentemente sulla riviera romagnola. Sfruttiamo la nostra rete di amici e parenti che vivono o frequentano da anni località turistiche. Di solito troviamo ospitalità da loro. Oppure sono loro a suggerirci alberghi o pensioni».
«Talvolta – fa notare tra l’altro Pedro Di Iorio, presidente del Sai (Servizio accoglienza immigrati) di Milano – la vacanza da un amico che vive in un’altra regione italiana è anche un’occasione per guardare cosa offre il mercato del lavoro in quella zona».
E a proposito di connessioni tra ferie e occupazione, si registrano anche casi in cui è il datore di lavoro a mettere a disposizione la propria casa di vacanza. Un esempio è quello dei coniugi Nandana e Ayesha Rajapakse, srilankesi, che quest’estate passeranno due settimane nella villetta in Valsesia che gli è stata «prestata» dai Roddi, la famiglia presso cui lavorano come domestici da molti anni. In cambio l’anno prossimo i Rajapakse ospiteranno i Roddi in Sri Lanka.
Una soluzione a basso costo per molti immigrati che non avrebbero altrimenti la possibilità di andare in vacanza è offerta dalle associazioni, sia quelle di volontariato, sia quelle legate alle diverse comunità etniche. Donato, arrivato nel 1995 dal Congo, racconta: «Le prime vacanze “italiane” le ho fatte grazie al Coe (Centro orientamento educativo) a Santa Caterina Valfurva (Sondrio), dove l’associazione possiede una casa. Poi mi sono sposato con una donna italiana e ho iniziato a trascorrere le ferie nel paese natale di mia moglie in Calabria, ma continuo a frequentare il Coe. Partecipo all’iniziativa “Famiglie aperte”, che riunisce proprio a Santa Caterina un gruppo di giovani coppie per un periodo non solo di vacanza ma anche di condivisione».
I ragazzi delle seconde generazioni, avendo assimilato parte della cultura dei coetanei italiani, potrebbero essere i veri protagonisti del turismo dei prossimi anni. Un esempio è Stefano Kiriettige, studente diciannovenne di origine srilankese residente a Milano, che quest’anno dopo la maturità è andato in campeggio in Puglia insieme ai suoi compagni di classe. «Poi però – spiega Stefano -, sono tornato a Milano per passare le vacanze con la famiglia in città».

VACANZE IN CITTÀ
Dopo quelli che tornano ai Paesi di origine e quelli che possono concedersi una vera e propria vacanza, il terzo gruppo di «turisti-immigrati» è composto da coloro che passano le ferie nel luogo di residenza, approfittando delle numerose iniziative che le varie comunità organizzano.
Qui le esperienze sono davvero numerose e impossibili da censire. Un classico però sono certamente i pic-nic nei parchi pubblici («In realtà, nel nostro caso, veri e propri banchetti», scherza Stefano Kiriettige), così come le gite fuori porta.
Le mete prescelte per questi viaggi in giornata sono soprattutto i santuari religiosi, anche se ultimamente un numero crescente di immigrati provenienti dal subcontinente indiano si reca nelle città d’arte, soprattutto quelle che si vedono nei film di Bollywood.
Al filone «religioso» appartengono anche le esperienze di Mebrat Beyan, eritrea, assistente degli anziani in una casa di riposo in provincia di Varese: «Sono in Italia da vent’anni ma vacanze vere non ne ho mai fatte. Nei fine settimana d’estate, però, prendo la mia chitarra e un libro e vado al Sacro Monte di Varese: leggo, suono e mi riposo. Oppure partecipo a ritiri spirituali di 2-3 giorni proposti dalla parrocchia. Sono momenti importanti in cui mi ritempro».
Di altro tenore le iniziative di cui racconta Edwin, 27enne ecuadoriano: «Da giugno ad agosto, a Milano, viene organizzato il festival Latinoamericando, con musica e cibo dal Sudamerica. Ogni anno c’è sempre più gente e sta aumentando anche il numero degli italiani. Poi si passa qualche giorno sulle rive del Ticino: partiamo alla mattina, facciamo una grigliata e nel pomeriggio prendiamo il sole».
A Roma, invece, molti immigrati dall’Est europeo, in particolare romeni e moldavi, amano andare a pescare nei laghetti fuori città e, se la giornata è andata bene, mangiare in compagnia quello che si è pescato.
Dai laghi romani a quelli lombardi: a Lecco un’alternativa per i giovani africani è offerta dall’Associazione giovani panafricani. Come racconta il responsabile, Ismael (nato in Burkina Faso), oltre a barbecue in riva al lago si organizzano anche giochi a squadre, balli e incontri culturali.
Da Trieste arriva invece la testimonianza della scrittrice di origini indiane Laila Wadia, ormai da molti anni residente nel capoluogo giuliano: «La domenica, il lungomare di Barcola accoglie numerose famiglie di cinesi, serbi, albanesi e romeni, e il molo Audace, luogo molto amato dai triestini doc, pullula di bengalesi intenti a giocare a carte e ad ascoltare musica».
A Torino, a offrire un’alternativa ai giovani che rimangono in città è l’oratorio San Luigi. Don Mauro Mergola, che lo dirige, spiega che oltre all’oratorio estivo, che accoglie per la maggior parte figli di immigrati che lavorano durante i mesi estivi, la parrocchia svolge anche un servizio educativo di strada, recandosi in luoghi di ritrovo giovanili come i Murazzi lungo il Po o il parco del Valentino. L’obiettivo è coinvolgere i ragazzi stranieri in attività ricreative, per prevenire comportamenti come l’abuso di alcol o stupefacenti.

IMBARAZZISMI
Ma gli italiani sono pronti ad avere un vicino di ombrellone straniero che non sia la solita, algida famiglia tedesca? Dou Dou Khouma, mediatore culturale senegalese, racconta: «Talvolta mi è capitato che al mare, vedendomi seduto su una sdraio o entrare in un albergo, qualcuno mi scambiasse per un venditore ambulante e mi ordinasse di andarmene». Un’esperienza simile è raccontata nel libro Imbarazzismi dello scrittore togolese Kossa Komla-Ebri: «Quando Kuma si recò con la sua adorata Serena in Sardegna per conoscere i futuri suoceri, lei lo portò ad assaporare la tiepida brezza salmastra della sera in spiaggia. Mentre Kuma apriva il borsone per estrarne la salvietta per sdraiarsi, gli si avvicinarono due amabili signore che con sollecitudine chiesero: “Non hai qualche braccialetto o collanina da vendere?”».
Ma Laila Wadia è ottimista, anche se non rinuncia a un pizzico di ironia: «Spesso per un italiano l’integrazione coincide con l’assimilazione o l’imitazione, per cui se vede un immigrato prendere la tintarella anziché vendere borsette, lo percepisce come simile a sé, perché sta facendo una cosa “all’italiana”, perciò lo accetta più volentieri».

 

Michele Ambrosini è un giovane giornalista che collabora a “Popoli”, rivista internazionale dei gesuiti di Piazza San Fedele, Milano (www.popoli.info).

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