Forse sono fuori tempo massimo. Forse sono fuori luogo dato che ben più gravi sono le preoccupazioni che assillano il paese. Tuttavia i fatti di costume sono sintomatici di un’epoca, non distinguibili dalla costituzione morale, economica, socio-politica di un popolo, ne sono un’escrescenza “sovrastrutturale”. Ma sono anche interdipedenti, si condizionano tra loro. La corruttela è l’effetto di un certo assetto istituzionale di leggi inique o “disattente”, e nel contempo le induce.
Queste riflessioni leggendo il diario di Leo Longanesi (1938-1945) “Parliamo dell’elefante”, ed. Longanesi, introvabile in commercio, che per molti aspetti della società detta massime e giudizi ancor oggi spendibili. Longanesi, è ben noto, era sì un antifascista nei tempi del fascismo, ma anche avverso a certe enfatizzazioni democratiche. Per dire meglio era un conservatore animato da un diffuso scetticismo.
Mi imbatto in questa annotazione che mi fa sobbalzare: “15 agosto 1942. C. mi dice «non sai quanto siano mandrilli i gerarchi. Non pensano che alle donne, dalla mattina alla sera. B., ad esempio, appena mangiato, ancora col boccone in bocca, corre nel suo scannatoio dove lo attende sempre qualche ragazza. E così tutti gli altri. L. è capace di avere due sedute com’è solito dire, con due donne diverse ogni giorno. Ha un libretto di indirizzi femminili che si arricchisce di ora in ora»”.
Scannatoio (da Emile Zola)è definizione cruda e violenta, come si usava tra camerati. Oggi ci si esprime, all’esterno, con eufemismi esoterici (bunga-bunga), o raffinati travestimenti (cene serie ed eleganti).
Segue un’ulteriore annotazione, che Vitaliano Brancati nel suo “Diari romani” ed. Bompiani, immediatamente successivo all’opera del Longanesi, definisce “scandalosa”, probabilmente per il suo contenuto (al tempo) scabroso:
“Quando i gerarchi sono assieme non parlano che di donne, «io ne ho fatte quattro oggi», dice uno, «io ne ho fatte cinque» dice l’altro”.
“Ieri andai da B., entrai nel suo studio e vidi tre donne sedute sul sofà in attegiamenti sguaiati e con le sottane in aria. Si vedeva tutto. Erano tre nobili: due contesse e una principessa. Quest’ultima amica di Ciano. Non mi conoscevano, ma non si tirarono giù le sottane. La conversazione precipitò. Non si parlò che di cose oscene. La signora più graziosa, moglie di un diplomatico, disse: «come manovro io con la mano destra non c’è nessun’altra a Roma». E spiegò minuziosamente la sua tecnica. La principessa fece qualche critica precisa. E si seguitò su quel tono per tutto il pomeriggio”.
A chi volesse scorgere analogie con i tempi presenti, obietto: nel regime l’eros era nobilitato da un’aurea crepuscolare, dannunziana, da antecedenti letterari, il gallismo narrato dallo stesso Brancati, che saliva dal meridione, e da sfumature futuriste.
Oggi il sesso è merce di scambio negli affari. Si immedesima nelle istituzioni scalando la piramide del potere politico ed economico. In una zona del nord è manifestazione da taverna, esibizione triviale tout court.
Colpisce che nel passato regime la riserva di caccia fosse l’aristocrazia, mentre oggi il fenomeno delle escort nasce dal basso, favorito dall’espansione del terziario mediatico. Non deve stupire poiché, secondo un altro testimone dell’epoca –Gian Carlo Fusco (“Le Rose del ventennio” Ed. Sellerio)- le aristocratiche erano tenute in gran conto nelle gerarchie, e venivano messe ai vertici a discapito delle donne che menavano le mani, per tale esclusione deluse ed irritate, quelle che avevano fatto la marcia su Roma e saranno le ultime raffiche di Salò. E tuttavia va ricordato che Mussolini fece un repulisti dei “plaiboisti bordellieri e rissosi”, ancorchè meritevoli per le loro ardite gesta, per non scandalizzare la bigotta borghesia (ancora Fusco, “Mussolini e le donne”, ed. Sellerio).
Tale fluida linea di demarcazione nelle avventure di letto è leggibile nei versetti dello squadrista Ettore Muti, scomparso misteriosamente a seguito di una di queste indagini capillari di vigilanza e di eliminazione dei “ricino-boys”:
“Mi domando perché mai/ ti vai a mettere nei guai/ con le dame aristocratiche/ rompiballe ed antipatiche/ quando invece puoi venire/ con soltanto dieci lire/ senza il rischio di un duello/ in un comodo bordello!”.
Ben altrimenti nei secoli precedenti le nobildonne erano cortigiane potenti ed intriganti: non certo un fenomeno di massa.
Nell’ultima edizione Donzelli di “150 anni di diritti e libertà in Italia: una storia ancora irrisolta”, Stefano Rodotà ricorda che solo con il dlgs luog. 1.12.1945 n. 23 alle donne viene esteso il diritto di voto. Senonchè rimanevano escluse, con una singolare discriminazione all’interno della categoria, le prostitute schedate che esercitavano il meretricio “fuori dai locali autorizzati”, esclusione estesa ai tenutari delle case chiuse. Tutto questo fin quando la situazione sarà superata dalla legge Merlin. La malizia del cronista non può mancare di rilevare che, per un’imprevedibile svolta del destino, in tema di elettorato passivo femminile oggi la esclusione si è risolta in un privilegio inclusivo.
Insomma, la storia si ripete cambiando le sembianze, così è più difficile evitare di ricadere nelle stesse situazioni.
Giacomo Voltattorni è un avvocato civilista di Parma.