“Dio non esiste”, Portaparole, novembre 2009
Engels diceva che esiste una sola domanda seria in filosofia: «materialismo o idealismo?». Oggi, piuttosto che idealismo — che usiamo con riferimento alla dottrina platonica — diciamo spiritualismo perché, nel migliore dei casi, è con il termine «spirito» che vogliono presentarci quelle “cose” immateriali che dovrebbero, se non creare la materia, almeno metterla in movimento, organizzarla, darle vita e talvolta, mediante un´evoluzione pilotata, produrre la coscienza.
Ormai da molti anni si assiste ad una vasta offensiva di coloro che, in un modo o nell´altro, negano alla materia la capacità di autostrutturarsi in maniera sempre più complessa, fino a produrre organismi pensanti. Tra questi si trovano le autorità delle grandi religioni, certamente, ma anche di diverse sette e perfino persone che si reputano scienziati o filosofi. È inutile fare nomi ma è sempre più necessario combatterli energicamente, non con la forza, a meno che non vogliano, loro stessi, imporre manu militari il rispetto delle loro credenze, ma con la critica filosofica.
Che cos’è il determinismo?
La famosa disputa sul determinismo spesso è resa inestricabile dal fatto che, in maniera implicita o esplicita, si parla come se si trattasse di un solo determinismo, generale e universale, analogo a quello immaginato da certe religioni che affermano — senza peraltro prendere sul serio una tale idea — che un dio decida in anticipo o un giorno per l’altro tutto ciò che deve accadere nel mondo. Invece, lungi dal vedere la presenza di un determinismo di tal genere, noi scopriamo l’esistenza nel mondo di una gran quantità di determinismi diversi che appaiono in occasione dei fenomeni più vari e hanno forme e modi d’azione differenti.
La constatazione dell’esistenza della causalità, del fatto cioè che certi fenomeni sono causati o determinati da altri, è vecchia quanto l’umanità. Si può perfino dire che, pur non potendola formulare astrattamente, alcuni animali la possiedano. Ad esempio, gli scimpanzé sanno che se si colpisce una noce posata su una pietra con un’altra pietra, la noce si apre; e le mamme scimpanzé insegnano ai loro piccoli a farlo. Allo stesso modo, i castori sanno fabbricare dighe sui ruscelli tagliando degli alberi, e così via. Si tratta di applicazioni pratiche di piccole leggi causali empiriche.
Anche noi abbiamo cominciato scoprendo sperimentalmente, attraverso lo sviluppo delle nostre attività, la gran quantità di proprietà e causalità esistenti al mondo: il fatto che sfregando adeguatamente due pezzi di legno si ottenesse il fuoco, la tecnica di fabbricazione di utensili e armi in silice, la cottura dei manufatti di creta, la lavorazione dei metalli, ecc.
Ho parlato di tecnica. Ma la realizzazione di una tecnica si fonda sull’applicazione di una causalità constatata sperimentalmente e riconosciuta come tale. Gli Egizi sollevavano enormi blocchi di pietra applicando senza saperlo il principio della leva di Archimede, così come, senza saperlo, il signor Jourdain faceva della prosa. E quasi tutti i popoli hanno potuto costruire imbarcazioni senza conoscere né il principio di Archimede né le leggi dell’idrodinamica. Abbiamo sempre sviluppato delle competenze tecniche ben prima di riuscire a sviluppare un sapere astratto, una scienza. Una scienza comincia quando si cerca, dietro a un certo numero di fenomeni, una causa unica, che li determini tutti. Questo significa uscire dal quadro sperimentale o operativo immediato e arrivare a formulare leggi astratte, che abbiano una portata più vasta e generale.
Del resto i primi tentativi di generalizzazione sono stati talmente astratti che riuscivano a generalizzare soltanto la nostra capacità di agire sul mondo: per il fatto che noi siamo in grado di fare delle cose, si è concluso che il mondo e ciò che vi accadeva dovevano essere stati fatti da qualcuno. L’essere o gli esseri sovrannaturali così immaginati servivano del resto a conferire un’autorità trascendentale alle leggi e alle regole sviluppate dalle diverse società.
Ma le necessità di sviluppo delle attività umane spingevano all’allargamento e alla generalizzazione della comprensione delle causalità reali, allo sviluppo delle scienze. Largamente iniziato dai Greci, ma soffocato dal Medio Evo cristiano, questo sviluppo ha preso definitivamente lo slancio nel Cinquecento, con la disciplina che servirà da base e da modello alla fisica e cioè la meccanica. Questa scienza è riuscita ad esprimere con due sole leggi — la legge dell’attrazione (che determina la forza che due corpi esercitano l’uno sull’altro in funzione delle loro masse e della loro distanza) e la legge della dinamica (che determina l’accelerazione di un corpo sotto l’azione di una forza data in ragione della sua massa) — una gran quantità di fenomeni che va dalla caduta delle mele ai movimenti dei pianeti e delle comete all’interno del sistema solare.
Tali leggi presentano due caratteristiche importanti: da una parte sono estremamente cogenti, nessun corpo può esserne esente; d’altra parte si esprimono molto semplicemente con formule matematiche inventate a questo scopo. Queste due caratteristiche, del resto, sono intimamente legate al punto che alcuni considerano scienza soltanto ciò che può essere espresso matematicamente. Tali aspetti si ritrovano in tutto lo sviluppo della fisica, che ha avuto il successo formidabile che sappiamo ma ha anche prodotto un doppio imperialismo.
Prima di tutto, se le leggi della fisica determinano il comportamento dell’universo formato dalla materia — interazioni e trasformazioni di particelle e radiazioni — tale comportamento, con tutto ciò che questo implica, deve essere determinato rigorosamente da quelle leggi, senza che vi sia posto per qualunque altra cosa. Poi, anche supponendo che esistano fenomeni che sfuggono a questo determinismo assoluto, lo schema del determinismo fisico — rigoroso e senza scappatoie — tende a imporsi come forma del determinismo in generale e per tutti i fenomeni.
Ora è evidente che non tutti i fenomeni sono determinati dalle leggi della fisica: se queste determinassero tutti i movimenti delle particelle che compongono un cane, come potrebbero esserci movimenti di insieme, manifestamente determinati dall’odore di salsiccia o dalla voce del padrone? E questa determinazione, che non ha il carattere stringente e ineluttabile delle leggi della fisica, non è per questo meno reale.
Ci troviamo quindi di fronte a un doppio problema: da una parte mostrare come sia possibile che l’universo fisico si sottragga al determinismo fisico e tale dimostrazione pertiene alla fisica stessa, non a una metafisica; dall’altra cercare di comprendere le altre forme di leggi e determinismi che vediamo operare nel mondo.
Il sorriso del fenicottero
Stephen Jay Gould racconta questa storia nel libro Il sorriso del fenicottero. Nella seconda metà dell’Ottocento c’era un naturalista scozzese molto erudito. Se gli si mostrava un fossile, o una pietra con un’impronta, lui sapeva dire a quando datavano, di cosa si trattava e da dove venivano. Era capace di spiegare tutto lo svolgimento dell’evoluzione della terra e delle specie viventi. E in più era un uomo religioso, che prendeva alla lettera la storia della creazione raccontata nella Bibbia. Per conciliare le due cose, aveva inventato una spiegazione illuminante: « Dio » diceva « ha creato il mondo proprio come è detto nella Bibbia, ma l’ha creato nello stato in cui avrebbe dovuto trovarsi dopo miliardi di anni di evoluzione ». Era semplice, bastava pensarci! Gould mette questa storia in parallelo con quella dell’ombelico di Adamo, che aveva messo in imbarazzo i pittori del Rinascimento. Perché c’erano due scuole teologiche: alcuni sostenevano che Adamo, non essendo nato da una donna, non dovesse avere l’ombelico che è la traccia del cordone che tiene legato il feto alla madre; « ah! attenzione », dicevano gli altri, « Dio ha creato Adamo come prototipo dell’uomo e quindi l’ha creato come sarebbe stato se fosse nato da una donna ». Evidentemente i pittori non osavano prendere posizione in un dibattito del genere e quindi velavano la zona ombelicale di Adamo.
Un giorno ho dovuto confrontarmi con una teoria altrettanto sottile. Una domenica pomeriggio, all’uscita di un parco vedo delle persone che distribuiscono volantini. Ne prendo uno, do un’occhiata, e scopro che si tratta di biblisti. Uno di loro si avvicina e ci mettiamo a discutere. È piuttosto bizzarro ma in fin dei conti lui ha trovato un argomento per difendere la Genesi, la creazione del mondo più o meno seimila anni fa, contro la storia dell’evoluzione: a quest’ultima lui rimprovera di fondarsi sull’idea che le leggi della materia e della natura siano sempre le stesse, mentre Dio potrebbe averle messe a soqquadro completamente, aver cambiato la velocità della luce, lo scorrere del tempo, aver modificato le leggi della fisica e tutto il resto…
Provi un po’ a discuterci, con uno così! Di fatto, appena si fa intervenire un dio nel mondo, anche con la buona intenzione di spiegare un fatto reale, si rimane fregati: a partire dal momento in cui si parla di un dio, si può dire qualunque cosa.
Nato a Vienna il 28 maggio del 1926 (naturalizzato francese dal 1950), Max Aplboïm vive a Parigi dal 1946. Figlio di genitori ebrei, arrivato in Francia all'età di 13 anni senza documenti, è stato salvato e avviato agli studi superiori dalla deportazione grazie a l’Œuvre de Secours aux Enfants (Ose). Dopo la laurea in Fisica alla Sorbona (1953), ha lavorato come ricercatore prima al Centre National de Recherche Scientifique (CNRS), poi come insegnante ricercatore di Fisica all’Università di Orsay.