La strage di ordinaria follia avvenuta negli Usa arriva purtroppo dopo molte altre stragi ed è stata seguita dalle usuali riprovazioni, prese di distanza e pubbliche preghiere. Anche da parte di quella stessa Sarah Palin, che aveva stilato una lista di bersagli da colpire, di cui faceva parte la deputata democratica ridotta in fin di vita dal giovane folle. Ovviamente non è stata Sarah Palin a premere il grilletto, anche se le piace farsi fotografare mentre uccide (finora) grossi animali. Ma è stata Sarah Palin a sostenere che gli avversari politici, secondo il vecchio stile maccartista, non sono neppure «americani». A partire dal presidente Obama che, come dice Berlusconi, è «abbronzato». Ma anche da noi, nel nostro piccolo, c’è chi compila liste di nemici. E abbiamo visto il direttore del Giornale Sallusti in tv augurare a Mario Adinolfi botte che alcuni «folli giovani» si sono subito incaricati di recapitare. Così l’aspirante Santanché si è vista scippare il ruolo di Sarah Palin nella tragedia italiana.
Signorini e la sciarpa di D’Alema: quando il gossip diventa propaganda
Se dovessimo fare una classifica di quello che si è visto e discusso in tv nell’ultima settimana, in piena crisi economica e politica, sicuramente risulterebbe che al centro di tanto dibattito è stata la sciarpa di Massimo D’Alema. Potenza del (presunto) cashmire! Ma anche del fascino retroattivo del comunismo. Dell’episodio e della furba strumentalizzazione messa in atto da Alfonso Signorini si è parlato con garbo anche nel programma di Raitre Tv Talk. Ed è stato giustamente notato l’abile assemblaggio tra la promozione del settimanale Chi e la solita propaganda berlusconiana. Propaganda che, mentre fa dei comunisti il diavolo in Terra, li esalta evangelicamente come eterni poveri. Gente che dovrebbe continuare a vivere come la plebe lacera e divisa, prima del comunismo secondo Carlo Marx. E prima pure di Giuliano Ferrara, che si vede sostituito al fianco di Berlusconi da ideologi della potenza di Daniela Santanché e Alfonso Signorini.
La guerra di La Russa, ministro in tuta mimetica smentito dai “suoi” militari
Il ministro La Russa imperversa nei tg usando le diverse versioni sulla morte di Matteo Miotto come spot personale. Prima si è mostrato in divisa mimetica, cioè in tutto il suo orrore bellico, tra le truppe, poi ha dato notizia di una vera e propria battaglia che avrebbe portato alla morte del ragazzo, infine se l’è presa coi militari che avrebbero mentito. Ora, quale che sia la verità, noi spettatori conosciamo fin troppo bene La Russa per il suo protagonismo incendiario, di solito armato solo della faccia (che peraltro andrebbe proibita dalla convenzione di Ginevra). Lo abbiamo visto offendere chiunque in tv e non potremo mai dimenticare quando, comodamente seduto sulle poltroncine di Porta a porta, per difendere i bombardamenti Usa sui civili iracheni, disse che, in fondo, non sta scritto da nessuna parte che in guerra debbano morire solo i militari. Ed è per questi indiscutibili meriti bellici che Ignazio La Russa è diventato ministro della guerra in un Paese che la ripudia.
Il marchionnismo-leninismo di Masi, guardiano della Rai “comunista”
Uno degli aspetti perversi della cosiddetta civiltà dell’immagine (o dell’inciviltà della tv) è quello di aver demolito la certezza della parola, che un tempo era addirittura «Verbo». Dire e smentire, contraddire e confermare è tutt’uno. Così sentiamo una versione sulla morte dell’alpino Miotto in Afghanistan, che viene poi ribaltata dal ministro La Russa. Il quale però, di fronte alle sacrosante domande del padre della vittima, sostiene che la sua è stata solo un’integrazione delle notizie. Poi, in coda ai tg Rai, viene letto un comunicato del sindacato giornalisti Rai che informa gli spettatori di una condanna emessa nei confronti della direzione generale, per comportamento antisindacale. Segue la risposta di Masi, secondo la quale l’Usigrai dice il falso. La prossima mossa sarà un referendum nel quale chi non vota come vuole Masi sarà fuori dall’azienda. Dilaga il marchionnismo-leninismo. E meno male che, almeno per Berlusconi, ci sono ancora i comunisti, perché ce n’è proprio bisogno.
Il mantra del federalismo nell’Italia dei pensionati che si ostinano a vivere
Ogni giorno Bossi biascica in favore di telecamera il suo ultimatum (federalismo o morte!), ma il giorno dopo torna sui suoi passi e dice quello che Berlusconi vuole sentirgli dire. La faccenda dura da anni e ormai anche i leghisti duri e puri hanno cominciato a capire che il mantra del federalismo serve solo ai caporioni padani per tenere occupate le poltrone a Roma. Invece gli ultimatum di Marchionne, anche senza tv, non sfumano col calare delle tenebre. Infatti, una volta c’erano i padroni e oggi ci sono i manager, che sono anche peggio dei padroni, perché lavorano a cottimo. Ma stupisce il fatto che, da alcuni a sinistra, i manager siano giudicati «moderni». Anche se, in confronto a loro, i padroni delle ferriere erano dei bonaccioni. Ma soprattutto, non si capisce perché accettare di farsi sfruttare di più, essendo pure pagati di meno, dovrebbe essere considerato moderno anche dagli operai. Ai quali non si perdona di essere «fuori moda». Come ai pensionati di essere vivi.
L’omertà di Bossi e il triangolo delle Bermude
Uno a uno tornano sul luogo del delitto i vari talk show, dopo le feste. Anche se non si capisce perché i dibattiti politici debbano fare le vacanze scolastiche. A Omnibus, per esempio, ci sono solo giornalisti (per i politici è ancora Natale) e si discute animatamente del triangolo Tremonti-Bossi-Berlusconi, che è molto più pericoloso del triangolo delle Bermude. Ovviamente, poche ore dopo dai tg, Berlusconi ha smentito tutto, sostenendo che non c’è problema. E magari penserà di poter risolvere tutto mettendo ancora una volta mano al portafoglio. Ma qualche problemino per noi c’è, come dimostra l’eroico bofonchiare di Bossi nei microfoni. Eroico per lui che vuole farsi capire, come per noi che dobbiamo interpretare. Così, ancora non è chiaro perché il leader leghista abbia parlato solo ora delle cimici che lo spierebbero e di cui ha informato Maroni, ma si è guardato bene dal riferire ai magistrati. Infatti i leghisti considerano lo Stato «cosa loro», proprio come la mafia.
Sono nata a Ghilarza (Oristano), ho studiato lettere moderne all’Università Statale di Milano, in pieno 68. Ho cominciato a lavorare all’Unità alla fine del 73, quando era ancora ‘organo’ del Pci, facendo esperienza in quasi tutti i settori, per approdare al servizio spettacoli negli anni 80, in corrispondenza con lo straordinario sviluppo della tv commerciale, ovvero con l’irresistibile ascesa di Silvio Berlusconi. Ho continuato a lavorare alla redazione milanese dell’Unità scrivendo di televisione e altro fino alla temporanea chiusura del giornale nell’anno 2000. Alla ripresa, sotto la direzione di Furio Colombo, ho cominciato a scrivere quotidianamente la rubrica ‘Fronte del video’, come continuo a fare oggi. E continuerò fino a quando me lo lasceranno fare. Nel 2003 è stato stampato e allegato all’Unità un volumetto che raccoglieva due anni di ‘Fronte del video’.