Ha cambiato faccia molte volte: da agente Usa nell'Afghanistan occupato da Mosca a inventore del terrorismo anti occidente. Nei suoi segreti tanti soldi e troppi nomi. Wikileaks, una sciocchezza. Doveva tacere per sempre
Bin Laden, perché lo hanno ucciso?
02-05-2011Perché ucciso con “un colpo alla testa”? Fra vent’anni sapremo cosa è sucesso, ma nel momento del trionfo conta solo la felicità per l’incubo che non c’è più. Bisogna dire che Bin Laden in tribunale avrebbe fatto impallidire Wikileaks. Amicizie, protezioni, ricatti più o meno misteriosi. Trent’anni di trame nascoste nei cassetti di chi disegna il futuro di popoli inconsapevoli. Li ha attraversati con la doppia faccia di un miliardario dalle ambizioni di profeta armato, soprattutto di vanità. Voleva essere un protagonista ed è finito col nascondersi alle porte di Islamabad attorno a una scuola militare di eccellenza: nessuno poteva immaginare questo livello di connivenza coi servizi pakistani. La paziente diplomazia di Obama li ha convinti a liberarsi di un fantasma forse fuori gioco ma ancora simbolo carismatico di ogni trama integralista che agita il mondo arabo. Potevano gli 007 pakistani sopportare rivelazioni sconvolgenti per gli equilibri di un paese (atomica negli arsenali) in bilico tra democrazia e tentazioni armate? Ragionevole immaginare che abbiano preparato l’agguato per chiudergli la bocca. Anche Washington e la corona saudita (con la quale era imparentato, nobiltà di retrovia che non sopportava l’esclusione al trono), insomma, anche i soci del petrolio avevano interesse all’eterno silenzio del principe del male al quale si erano affidati quando era poco più di un ragazzo. Anni della guerra fredda che diventa calda nel ’79 appena Mosca invade l’Afghanistan. Il principe avventuroso che accetta di mescolarsi ai leader sconosciuti dell’Islam locale per snervare l’occupazione sovietica, è la benedizione che il Pentagono nutre con armi e capitali adeguati. E Bin Laden imperversa nella galassia araba per reclutare volontari da organizzare nelle imboscate che snervano l’armata rossa. L’idillio si rompe appena Bush padre prova ad invadere l’Iraq, 1991. Per non perdere la faccia di profeta dell’Islam, Bin Laden rompe con Washington e con la famiglia ripiegata sulla partecipazione saudita, ma – racconta la sua ombra egiziana, Aynman al Zawahiri – seppellisce documenti che compromettono sovrani dell’Arabia, presidenti, politici e holding degli Stati Uniti. E non solo. Immaginava di fermarli coi ricatti: il fallimento ne esaspera la lucida follia. Comincia una caccia segreta, Pentagono che manovra ma non compare. Raccoglie adesioni mai ufficiali di Cina, Russia, Afghanistan e Pakistan e affida una nuova missione ad un altro saudita, Turki el Faisal, vecchio ambasciatore a Londra e Washington, antico protettore del ragazzo Bin Laden. Incontra in Afghanistan Mullah Omar, grande Talebano: mari e monti se consegna il maestro della paura. Ma il Mullah promette e non mantiene. Resta l’incubo del Bin Laden con carte e racconti da esibire nei tribunale Usa, magari a Guantanamo: cosa sarebbe successo non solo tra i protagonisti affari e politica della famiglia Bush, anche nelle file di Obama? Meglio seppelirlo nel silenzio per il bene dell’umanità. Eppure l’inquietudine resta e la caccia continua anche se il protagonista ormai non disturba.