Maurizio CHIERICI – Cari lettori, ecco chi siete (e noi chi siamo)
30-10-2009Lettera ai lettori che sfogliano “Domani”. Cinque mesi fa questo giornale era appena un progetto. Discutevamo quale piega dare al primo settimanale on line: interpretazioni e dubbi, ritmi e impostazione alla ricerca di un’identità. Con una certezza. Anche se l’ impegno sembra avvilito da promesse che invecchiano nell’informazione di carta, desideravamo osservare la realtà con gli occhi dei lettori. La rete avvicina le distanze e favorisce il dialogo; raccoglie abbandoni e rabbie per animare un confronto alla pari. Ogni voce indica aperture diverse. Guai trascurarle. E non pochi lettori sono diventati nostri autori Nel numero d’apertura abbiamo tralasciato le solite righe del chi siamo e cosa vogliamo. Ne stavamo discutendo e stiamo cercando di scoprirlo decifrando le vostre frequentazioni. Con un punto fermo: restare dalla parte dei senza voce confusi da un’informazione impura. Insomma, dalla parte della gente con problemi che si aggravano: morali, etici, soprattutto pratici. Quel lavoro che non ripaga, stipendi che non bastano, posti che non si trovano, futuro confuso e speranze immalinconite dai protagonisti Tv. Politici, soprattutto. Il proposito era raccogliere chi non si accontenta della sterilità delle diagnosi per immaginare, assieme, una società trasparente.
Sono passati cinque mesi. “ Domani “ è uno spazio frequentato da centinaia di migliaia di persone. Sorprendono e guidano le scelte con una precisione inattesa. Cinque mesi sono niente. E’ presto per capire davvero chi siete, ma una certa idea ce la siamo fatta. Siete giovani, non sempre giovanissimi. Il mito dell’on line, strumento esclusivo delle generazioni nuove, é naturalmente confermato, ma altre generazioni si affacciano nel recupero de linguaggio che trasforma la comunicazione.
E cominciano le sorprese. Le preferenze dei lettori di “ Domani “ contraddicono il pessimismo degli editori: Italia ormai in coda nella vendita e nella lettura dei libri. Se non sono best seller dalle copertine d’oro la frequentazione diventa complicata. Ma non è proprio così. La prosa chiara di chi legge per voi incanta moltitudini che richiamano l’attenzione delle case importanti. Consigli per libri da leggere, rileggere, non leggere. Paolo Collo rilegge “ L’ora di tutti di Maria Corti “, racconto di Otranto messa a fuoco dai pirati dell’Islam, cinquecento anni fa. Capolavoro dimenticato: 18 mila lo riscoprono. Da non leggere il supervenduto Faletti, “ Io sono Dio “, o il libro di Rutelli che chissà dove vuole andare. Federica Albini viaggia in treno e fa sapere ai pendolari quali sono i romanzi da sfogliare nel dondolio degli ex convogli operai quando, ormai, i clienti sono quasi sempre laureati: 24 mila letture per “ Una testa selvatica “. La libreria milanese per ragazzi di Gianna e Dante Denti è famosa in Italia: suggeriscono ai genitori cosa far sognare, ma non solo, bambini e adolescenti: 10 mila letture ad ogni consiglio. Ecco perché cominciamo a raccogliere la storia di cento piccoli editori dai soldi contati, eppure non si arrendono. Vorremmo mettere ordine nel catalogo di un ‘Italia la cui dignità culturale è colpevolmente trascurata. L’elenco dei temi è lungo. Per esempio: le scoperte dei ragazzi o la nostalgia di chi ha dimenticato la stagione delle mele per recuperare la memoria degli oggetti cresciuti da una generazione all’altra. Memoria di Lucia Masina per 70 mila curiosi.
Libri e oggetti sono solo una piega della vita. I giornali della tradizione la seppelliscono negli spazi disegnati con garbo ma confinati negli ultimi fogli. Le terze pagine della cultura d’antan erano proprio a pagina 3: sono scivolate dopo pagina 30. E l’attenzione culturale impallidisce. Le notizie della prima inseguono i tumulti di giornata per inseguire i Tg, mentre “ Domani “ si propone di raccogliere le une e le altre nella stessa dignità.
Ecco la politica, la vita quotidiana, le ansie religiose nell’eterno confronto tra gerarchie e preti qualsiasi. Altro segno che ci aiuta a capire chi siete: se l’ermetismo o l’ambiguità festosa di una politica trasformata in esercizio di potere vengono sopportate ma poco frequentate, la passione politica che rivolta i problemi raccoglie l’attenzione dei lettori che vuol capire: Giancarla Codrignani, Raniero La Valle, Ettore Masina, Mario Lavagetto dialogano con chi si specchia nei loro pensieri. D’accordo o disaccordo, non importa. Don Mario Farinella non è proprio prete da strada, ma un teologo che cammina nelle strade di tutti. E le gerarchie di Roma obbligate al recinto della diplomazia, a volte non gradiscono la sua chiarezza, spesso diffidano con l’ alibi di un’eresia che non c’é. Un plebiscito la partecipazione di chi risponde, consola, critica abbraccia o contesta l’autore che prega il Papa, i suoi vescovi e i suoi cardinali di non affogare nelle parole tiepide delle ragioni di stato il giudizio morale sul grande illusionista le cui intemperanze allontanano il popolo dei credenti.
L’impostazione delle inchieste mette a fuoco apprensioni drammatiche perché il racconto non si appisola – come d’abitudine – nella scrittura educata di un giornalismo che guarda, riferisce e si rassegna alla denuncia. Trasmette la forza della testimonianza di chi diventa “ gente “ fra la gente. Azzurra Carpo scrive di America Latina con la consapevolezza della ragazza che ha vissuto nell’Amazzonia e nelle cinture delle città mostro: quindici, venti milioni di persone costrette all’emarginazione di comunità violente che non sono comunità ma accumulo di disperati senza collare. Annalisa Strada racconta l’angoscia dell’Aquila fra le tende dei profughi spogliati di tutto. 40 mila lettori continuano a seguirla. E migliaia e migliaia ascoltano il colloquio di una madre quando spiega all’adolescenza della sua ragazza la vergogna di un sindaco bergamasco impegnato a rimuovere la memoria di Peppino Impastato e la storia dei suoi cento passi fermati nel sangue della mafia. Le cronache di Qui Camorra, Qui ‘Drangheta, Qui Mafia ( Susanna Ambivero e Carlo Ruta ) aggiornano l’oscurità di protagonisti italiani, battezzati ed obbedienti al voto dei soliti padrini. Eppure il panorama è meno sconsolante delle apparenze. Le abitudini della modernità hanno cambiato il paese ma non sempre le giovani famiglie che aiutano i figli a crescere, sapendo. Gian Luca Grassi viaggia come viaggiavano i giovanotti di tanti anni fa: sulla corriera delle badanti che tornano in Ucraina. Abbracciano i figli cresciuti da un anno all’altro, mariti invecchiati, quei genitori che l’assenza ha portato via. I sentimenti non cambiano se la lingua è un’altra. Grassi raccoglie le voci dei pellegrini nel lungo cammino verso Compostela, passo dopo passo in compagnia di sconosciuti che la fede trascina ma per il momento non trasforma: insistono sulla superiorità del loro Dio, pregando affinché un giorno annienti gli stranieri dell’Islam. Con la sua faccia da straniero, Cleophas Arien Dioma ci guarda con gli occhi dell’ospite a volte mal sopportato. E’ un giovane intellettuale del Burkina Faso. Scrive per il teatro e scrive anche per noi: la sua prosa è il soffio che affascina. Com’è difficile essere diverso: nel lavoro o nell’amore con una ragazza lombarda. Al timore “ e se la mamma ci vede ? “ hanno risposto decine di giovani e non più giovani donne costrette alla tribolazione della diffidenza.
A proposito di queste paure: immaginiamo i lettori di “ Domani “ non spaventati dalle facce gialle, nere e marron incrociate per strada o sedute fra i banchi dei figli. Ed é l’altra sorpresa. Un forum voleva scoprire cosa pensate della proposta della Lega: rendere obbligatorio l’insegnamento del dialetto “ nelle scuole e oltre le scuole dell’obbligo “. 677 risposte. Non tante, ma un campione che fa pensare. Il 13,15 per cento chiede l’insegnamento del dialetto almeno nelle primarie. L’11,82 per cento lo allunga agli istituti superiori. Nove lettori non hanno idee precise ed è quasi una scelta, mentre il 73, 71 risponde con un rotondo, “ per carità “. Per Giovanni Scorazzino “ i prof di dialetto devono essere riservati a chi scrive senza errori in italiano “. Fiori che cominciano a diventare rari. E un po’ tutti si chiedono: e poi quale dialetto ? “ Abito a Sulmona nella valle Pelligra “, racconta Giovanni Dinino. “ In 15 chilometri si contano 10 comuni. A volte è già difficile capirsi quando si insite nella parlata del paese. Perché non esiste un dialetto regionale abruzzese ed é stupido sostenere la necessità di insegnare il dialetto a scuola ? “. L’ Italia è il paese spogliato da un secolo di emigrazione “, malinconia che unisce dalla Lombardia alla Sicilia: “ Gli emigranti sono partiti col dialetto nella valigia. E’ commovente ascoltare in Brasile, Argentina, Stati Uniti, Australia, Germania le cadenze incontaminate dei paesini nei quali sono nati nonni, bisnonni e padri “. Sono loro i depositari degli accenti che la Lega intende sciogliere in ogni scuola. Ha forse ragione Antonio Greco: “ Solo teatro per far credere ai suoi che lui pensa “ A noi resta l’incognita dell’identità del 25 per cento di lettori che pretendono la riforma della scuola col dialetto che accompagna l’ italiano. Perché ? E chi sono ? La scoperta continua.